February 22, 2007

Il più grande spettacolo del mondo

Quello della politica italiana è uno spettacolo fantastico. D’accordo, la politica nonostante i tanti palcoscenici sui quali i suoi personaggi si esibiscono, non è principalmente un circo, non è la tv e, men che meno, il varietà o l’avanspettacolo. Tuttalpiù, proprio volendo restare in tema di rappresentazione scenica, potrebbe essere assimilata alla tragedia—che so, il Giulio Cesare, Antonio e Cleopatra, Coriolano, ecc.

Comunque, anche se lo spettacolo è quello che è, sbaglia di grosso chi se ne allontana disgustato e si arrende all’«inutilità», non all’«impossibilità», di governare gli italiani—secondo l’efficace, ancorché brutale e offensiva, formula adoperata dalla “buonanima.” Bisogna, cioè, stare al gioco, conservare il buonumore, prendere le cose con filosofia e continuare a tirare la carretta.

Ma perché dico che stiamo assistendo ad uno spettacolo fantastico? Beh, mi pare ovvio, ma, siccome non tutti hanno le stesse percezioni, mi spiego. Avete per caso seguito Porta a porta ieri sera? Bene, presenti gli interventi dell’ottimo Willer Bordon? Era arrabbiatissimo con … l’opposizione. Una performance memorabile. Un altro esempio? Una dichiarazione come questa:


«È necessario rinsaldare la coalizione, criminale sarebbe consegnare il Paese alle destre o procedere verso ipotesi che tradirebbero il mandato elettorale, tipo larghe intese o ipotesi neocentriste».


Queste parole sono di Oliviero Diliberto, capocomico assoluto della scena italica. Un’analisi semantica minimamente approfondita, e persino un po’ rozza, della sentenza non può che produrre, a mio modesto avviso, effetti sconvolgenti nell’analizzatore. Dividiamola per comodità:
1. È necessario rinsaldare la coalizione
2. criminale sarebbe consegnare il Paese alle destre
3. o procedere verso ipotesi che tradirebbero il mandato elettorale …

Abbozzo di analisi:

1. In sostanza chi fa cadere un governo (perché lui, Diliberto, se siamo onesti intellettualmente, è quasi altrettanto responsabile del suo senatore “traditore,” con la differenza che quest’ultimo ha avuto il coraggio di dire quel che il suo capo e i tre quarti dei comunisti italiani, dai vertici alla base, pensano) lo vuole nel contempo rinsaldare: cosa normalissima, in fondo …
2. Scopriamo che c’è qualcosa di politicamente più criminale di sinistre che tengono perennemente sotto ricatto e fanno cadere un governo nientemeno che sulla politica estera: non ne dubitava nessuno, ad esempio consegnare il Paese ai fascisti (quelli che si dichiarano tuttora tali) o ai comunisti (idem).
3. Il tradimento del mandato elettorale evidentemente non abita dalle parti di chi dopo appena otto mesi provoca la caduta del governo …

A me tutto questo sembra geniale: un misto di Pirandello, Beckett, Jonesco, Kafka, Dario Fo (of course), Totò e giù per li rami fino ai Guzzanti e, naturalmente, al Bagaglino. Fantastico. E uno dovrebbe smettere di interessarsi alla politica? Ma come si può lasciare la scena mentre impazzano sui palcoscenici d’Italia protagonisti di questo livello?

Vabbè, passiamo a cose serie. Personalmente non ho molto da dire: è successo quello che mi aspettavo. E secondo me Prodi non è morto (non è neppure vivo, ma questo non vuol dire che sia morto: ci sono tante di quelle forme di vita …). Dunque mi aggancio ad autorevoli commenti altrui.

Sono molto d’accordo, per dire, con Ernesto Galli della Loggia, che nel suo editoriale odierno sul Corriere elogia D’Alema (che era e rimane—parlo per me—di gran lunga il migliore dei suoi):

Non ha mai mancato di rivendicare il significato e la coerenza della sua azione alla Farnesina, ha sottolineato la svolta che a suo giudizio quell'azione manifestava rispetto al governo precedente, ha sempre cercato di difenderla dalle pressioni che miravano a spostarla su un terreno più radicale, di rottura più o meno palese con il quadro tradizionale delle nostre alleanze. In questo sforzo quotidiano il nostro ministro degli Esteri ha fatto qualcosa che in Italia non è certo usuale: ha parlato con nettezza, e lo ha fatto ripetutamente. Ha detto fuori dai denti, rivolto ai turbolenti soci della sua coalizione militanti nella sinistra radicale, che un governo che si rispetti deve potersi reggere su una propria maggioranza in politica estera; che su un tema così decisivo non sono ammissibili apporti dell'opposizione; che se non si sta su questa strada allora l'unica alternativa è quella di abbandonare la partita. Non solo. D'Alema ha fatto di più: su ciò che andava dicendo ha deciso di impegnare la propria personale immagine di uomo di Stato. Dando una lezione di quella che si chiama «responsabilità politica», e insieme una lezione altrettanto importante di moralità politica, ha fatto chiaramente capire che in caso di sfiducia al suo operato di sicuro egli non avrebbe potuto restare al suo posto.

La lode, tuttavia, è a doppio taglio:

Una cosa sola pensiamo che l'opinione pubblica possa chiedere in questo momento a Massimo D'Alema: una parola, un gesto, veda lui quale, che comunque non dissipi la lezione di serietà, di impegno e di coerenza, che le sue parole hanno offerto al Paese nelle settimane passate.

Perfetto. Ben altra classe rispetto all’editoriale di Ezio Mauro su la Repubblica, che comincia bene:

Il dramma della sinistra sta alla fine in un paradosso: nelle condizioni attuali senza l'ala radicale non si vince, ma con l'ala radicale non si governa. E tuttavia si dovrà ad un certo punto parlar chiaro davanti ai cittadini, spiegando qual è l'Italia del futuro, che Paese ha in mente la sinistra, come lo vuole veder crescere. La lezione della crisi è quella di costruire al più presto una forte piattaforma riformista , il partito democratico, cioè una vera sinistra di governo con vocazione maggioritaria …

e finisce malissimo:


… capace di allearsi con i radicali sfidandoli per l'egemonia culturale, costringendo i leader a uscire da ogni ambiguità: perché anche in Italia non si può stare nello stesso tempo e per sempre in piazza e al ministero.

Insomma, le "convergenze parallele." Ma, a parte questo, l’Unione non è già ciò che Mauro prospetta, e cioè l’alleanza dei riformisti con i massimalisti?

Un giudizio al volo. Sbotta Enrico Boselli contro Fausto Bertinotti:

«Quando si dice "se potessi, anch'io andrei a Vicenza", prima o poi i guai arrivano. Si tira la corda. E ora si è spezzata».

Come si diceva sopra a proposito di Diliberto.

Concludo con Francesco Cossiga, intervistato da Il Tempo:

Qual è la prima nota sull’agenda di Napolitano, per le nuove consultazioni?
«Per il Capo dello Stato non vi è alternativa al reincarico a Prodi, perché l’unica maggioranza possibile resta quella a sinistra».
Con forze fresche, inevitabilmente.
«La chiave di tutto è leggere l’atteggiamento delle ultime ore all’interno dell’Udc. Hanno mandato un segnale trasparente: si sono astenuti al Senato su una questione tanto delicata, così da dire al centrodestra: non vogliamo far cadere l’Unione, e con voi non pensiamo neppure a governare».
Andiamo verso l’abbraccio totale al centro?
«Fino a 48 ore fa, l’Udc ripeteva alla Margherita: "vorrei ma non posso". Ora, con chiarezza, affermano: "si può fare". Naturalmente vorranno una cospicua contropartita».
L’ascesa di Pierferdinando. «Casini vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri».
E questo rafforzerebbe Prodi?
«Non dimentichiamo che in quell’area ha già Follini».
Niente larghe intese.
«Non ne vedo, al momento. Come fanno a cooptare An? E se si va alle elezioni occorrerà tener presente la variabile della sinistra radicale».
Che è quella che ha minato sin dagli esordi la stabilità dell’Esecutivo.
«Ma che non si schiererebbe mai con il Cavaliere. Mentre in un Prodi bis non si terrà fuori dal gioco delle poltrone. Non possono governare se non con questo tipo di scenario. Vedrà che Comunisti e Verdi restano dentro».



Chissà che non vada proprio a finire così. Non si può avere tutto dalla vita.