June 27, 2007

La favola bella del Grande Comunicatore

Che Veltroni sia un grande comunicatore—qualunque sia il significato che attribuiamo a questa espressione un po’ abusata—è una di quelle bufale che solo in un Paese fatto per metà di buontemponi e per l’altra metà di pseudo-furbi poteva avere tanto successo. A me, il giorno dell’incoronazione veltroniana non ha “comunicato” nulla che anche vagamente potesse assomigliare alla malia di certi capi-popolo del passato. Non parlo di gente come Ronald Reagan e Bill Clinton, che pure nel genere anglo-americano rasentavano la perfezione, perché le barriere linguistiche e di cultura politica rendono poco praticabile ogni paragone diretto. No, parlo di leaders politici che hanno avuto qualche parte nella storia recente di questo Paese, e di cui, avendo all’incirca l’età del Nostro, io stesso ho potuto apprezzare in diretta l’arte oratoria. Al confronto di Veltroni, per dire, Amintore Fanfani era un Marco Antonio, Martelli una via di mezzo tra Gaio Gracco e Gerolamo Savonarola (vabbè …), Amato un perfetto Marco Tullio Cicerone, Andreotti un Demostene e Craxi un Mussolini un po’ più introverso e, ovviamente, molto, molto più Democrat nonché Liberal.

Lungi da me, comunque, qualsiasi intento denigratorio nei confronti del “Sindaco d’Italia,” anzi, se devo essere sincero, il Walter l’ho trovato quasi simpatico, e proprio per l’evidente emozione, per l’impaccio, addirittura, con il quale ha letto—grazie a un ”gobbo” elettronico dove le parole scorrevano un po’ più velocemente del dovuto—il suo “storico” discorso d’investitura.

E tuttavia, anche per quanto riguarda i contenuti, ben più importanti, l’impressione non è stata eccelsa. E’ stato chiaramente un discorso in gran parte piatto, molto attento a calibrare toni e concetti, a distillare con la massima prudenza una parolina più di destra e un’altra più di sinistra rispetto alle impostazioni tradizionali del suo partito, con l'evidente intento di dare l'impressione di proporre cose nuove ma rimanendo saldamente ancorato al vecchio (onde non incorrere nel tragico errore di buttare via l’acqua sporca con il bambino ...). Tanto che lo scadimento nell’ovvietà era quasi inevitabile. E infatti, ecco qualche battuta presa qua e là (accompagnata da qualche commento esplicativo):


«La ripresa economica non è né di destra né di sinistra» (Qui, nessun commento)


«Sarà il partito del nuovo millennio e della libertà, che sfiderà i conservatorismi di destra e di sinistra.» (Fantastico!)

«Vedo la tendenza all'illegalità diffusa, a difendere con i denti i grandi e piccoli privilegi. E vedo crescere uno stato d'animo di malessere, di stanchezza e pessimismo. Questi sono segni di un declino mentre l'Italia ha bisogno di crescita». (E vorrei vedere!)

«Bisogna combattere il vento dell'euroscetticismo.» (Vabbè, qui è una questione di opinioni.)

«Non si può però dire di no all'alta velocità se poi l'alternativa è il traffico che inquina e la qualità della vita che peggiora. Non si può dire no al ciclo di smaltimento dei rifiuti moderno ed ecologicamente compatibile e lasciare che l'alternativa siano le discariche a cielo aperto. Il nostro è l'ambientalismo dei sì». (Già, mi pare che su queste parole sacrosante proprio non ci piova. Ma in pratica, di grazia, che significano?)

«L'innalzamento dell'età anagrafica non è una disgrazia.» (E ci mancherebbe altro, sennò sai gli scongiuri in sala, data l’età media dei presenti?)

Contro l'«immobilismo sociale»: «Perché mai oggi un ragazzo non deve avere le stesse opportunità dei suoi coetanei inglesi?» (Già, sarà mica che la sinistra britannica è passata attraverso dieci anni di blairismo, mentre da queste parti …)

«Pagare meno, pagare tutti»: (nel senso che) «è realistica una riduzione delle tasse nei prossimi tre anni.» (Ora andiamo tutti a letto più tranquilli.)


«Nessuno definisca razzista un padre che si preoccupa di una figlia in un quartiere che non riconosce più […]. Ci vogliono più forze di sicurezza sul territorio in modo che i cittadini onesti possano avvertirne la presenza sul territorio». (Non dico che questo sia un ragionamento da Rifondazione comunista, però mi domando quanti padri rifondaroli di figlie femmine—e che non siano dei perfetti imbecilli—si risentirebbero per queste parole …)


«È ormai matura una profonda riforma della politica. […] La politica può essere diversa ma bisogna voltare pagina.» (Qui, però, Veltroni ha messo i puntini sulle “i” con un appello che non si può non condividere:)

«Facciamo in modo che non si formino più schieramenti contro qualcuno, ma schieramenti per affrontare le grandi sfide. Si può essere in disaccordo, senza essere nemici. Si può ammettere anche che l'altra parte possa avere avuto qualche volta una idea migliore». (Ed è piuttosto imbarazzante, per me, sottolineare che il pezzo del discorso che mi è piaciuto di più è in fondo il più «buonista»)


C’è, comunque, qualcosa di autenticamente nuovo e, per certi versi, rivoluzionario nel discorso veltroniano, vale a dire questa affermazione perentoria:


«Un partito moderno non può dirsi tale se non è composto per metà da donne.»
(Qualcuno, magari, mi spiegherà quali potrebbero essere le modalità «democratiche» di un arruolamento che in qualche caso potrebbe non essere del tutto spontaneo.)

Insomma, via, non è stato un granché come discorso. Né per i contenuti, né, tanto meno, per le forme. Verrebbe da concludere, come accennavo all’inizio, che la favola bella del Grande Comunicatore non ha retto alla prova del Lingotto. Però, attenzione: se persino a me, che un suo fan non lo sono mai stato, l’impaccio del leader ha fatto (un pizzico di) simpatia, un piccolo dubbio bisogna che me lo faccia venire: e se il fascino del comunicatore consistesse proprio nella sua mediocrità? Beh, allora, mettiamoci l’anima in pace: il Nostro ci avrebbe messo tutti nel sacco!

P.S.: Mai sottovalutare il diabolico compiacimento che la gente prova nel pensarsi governata da uno che, in fondo, non è migliore di noi, anzi, quasi quasi …

June 26, 2007

Tutto, meno che la chiarezza

Riprendo il filo dei discorsi, dopo la pausa dei giorni scorsi, e dico subito che non è una cosa tanto automatica. Perché la politica nostrana—almeno, penso, per chi non è coinvolto in prima persona con qualche partito, partitino, gruppuscolo e via dicendo—è ormai una faccenda alla quale ci si può dedicare soltanto con uno spirito simile a quello di chi ha scelto di infliggersi un qualche castigo per i giorni spensierati che è riuscito a strappare alla vita, in epoche lontane e irraggiungibili. Ma se il fardello è pesante, c’è sempre la speranza di meritare il premio promesso, cioè «il centuplo quaggiù e la vita eterna» (cfr. Mc 10, 29-30).

E allora ecco due temi belli freschi—si fa per dire—come quelli della futura ledership veltroniana del futuro Pd e della «Costituente socialista» per una nuova (futura) forza politica che ricomponga i frammenti di un mosaico perduto nelle tempeste della storia. Del secondo argomento ha scritto Pierluigi Battista in uno struggente editoriale pubblicato sul Corriere di oggi. Lo scenario è così mirabilmente riassunto:

Oggi riparte l'affanno­sa ricerca di una nuova, improbabile sintesi che do­vrebbe comporre i frammenti del mosaico che si rifà al socialismo. Un disegno che dovrebbe rimettere ordine in una galassia socialista che, se si eccettua quella sua parte stabilmente confluita in Forza Italia assieme a una parte consistente dell'elettorato del Garofano sfio­rito dell'era craxiana, oggi assomiglia a una congerie di segmenti in perenne ricerca di una casa: i socialisti di De Michelis che vanno in minoranza nel nuovo Psi, insofferenti dell'abbraccio berlusconiano; gli spezzoni dei Ds di Mussi e Angius refrattari al Partilo democra­tico in nome dell'identità socialista e tuttavia tentati, in una Sinistra democratica ancora confusa, dall'alle­anza con l'area politica tuttora di denominazione comunista; ex diessini di vena libertaria come Turci e Caldarola; maggiorenti dell'ex Psi come Rino Formi­ca ed esponenti di spicco del migliorismo filo-sociali­sta dell'ex Pci come Emanuele Macaluso. Una Costi­tuente socialista così frastagliata che assomiglia piutto­sto a un adunata di riottosi condannati a un esito mino-ritario e residuale.


Molto bene, di diceva. Il problema, con Pierluigi Battista, è però la soluzione proposta, vale a dire il mantenimento dell’alleanza con i radicali. Battista dice che il patto consentirebbe di tener fermi “quattro punti identitari dolorosamente assenti nell'attuale cen­tro-sinistra,” vale a dire

la scelta di una linea di libertà economiche in contrasto con una maggioranza nello schiera­mento di governo vulnerabile alle tentazioni del dirigi­smo neo-statalista. Un'opzione esplicitamente filo-occidentale che avrebbe potuto far da contrappeso a una linea di politica internazionale diffidente se non con­flittuale con la politica degli Stati Uniti. La difesa di una trincea garantista mai messa definitivamente al sicuro dai richiami della foresta giustizialista ancora massicciamente presente nella sinistra. E infine una scelta a difesa della laicità dello Stato e dei diritti civili che facesse da contrappeso alle forze cattoliche della coalizione, senza smarrirsi in un anticlericalismo ag­gressivo e vociante che della laicità della politica è solo una verbosa degenerazione.

Il ragionamento, almeno da un certo punto di vista, sembra filare, però il vicedirettore del Corriere dà troppo poco peso al pessimo risultato elettorale di un anno fa. E qui, appunto, casca il palco. Il guaio è che è facile dare consigli a chi deve prendere i voti senza pagare il pedaggio dei voti che non si prendono. E’ un’eterna storia, ma Battista probabilmente non ha mai fatto politica attiva, o se l’ha fatta ha giustamente cambiato mestiere. Io insisto sulla mia vecchia idea che i riformisti dovrebbero andare a rafforzare il debole e contraddittorio riformismo del Pd, mentre i Mussi e gli Angius sarebbe meglio che seguissero il richiamo della foresta dei loro vecchi sodali dell'area politica “tuttora di denominazione comunista,” per usare l’elegante dizione battistiana. Ma tutto sembra valere, nelle vicende politiche di questo Paese, meno che la chiarezza concettuale e l’onestà intellettuale.

Un’amara constatazione che, mi sembra, si adatta a perfezione anche al caso Veltroni-Pd. La scelta sul sindaco di Roma, infatti, è con ogni probabilità una non-scelta: il Pd non ha bisogno di ecumenismi—che sono la «cifra» del futuro capo partito—ma di scelte di campo, non può puntare sulla politica degli «et-et», come suggeriva Eugenio Scalfari nel solito, anodino, sermone domenicale su Repubblica, rinunciando a quella degli «aut-aut», e vendere una non-scelta come il passaggio «dall’ideologia al pragmatismo». Ma il Fondatore ci ha abituato a queste acrobazie logico-politiche. Nello stesso articolo, ad esempio, ha regalato ai lettori un’altra chicca:

Si dice anche: ogni popolo ha la classe dirigente che si merita, ma questo è sbagliato. Questo modo di dire va capovolto: ogni classe dirigente ha il popolo che si merita.


A rigore si potrebbe ribattere che il ragionamento sarebbe giusto … se non fossimo in democrazia: una classe dirigente auto-proclamatisi tale e, di conseguenza, auto-referenziale, ha certamente il popolo che si merita, ma con il libero suffragio universale è vero invece che il popolo ha esattamente la classe dirigente che si merita. Che poi certi meccanismi perversi possano stravolgere in qualche misura il nesso di causa-effetto non inficia la sostanza della questione. Io sospetto che a Scalfari, pur di estrazione azionista, la pluridecennale contiguità con i comunisti e i loro derivati abbia giocato un brutto scherzo, nel senso di avergli confuso le idee sul concetto di democrazia liberale. Il problema, semmai, è quello di creare meccanismi e circoli virtuosi che inducano classe dirigente e popolo a migliorarsi reciprocamente, non certo impegnarsi affinché la prima si faccia carico dell’elevazione del secondo se questo non lo pretende. Sia chiaro: non voglio sottilizzare inutilmente, voglio solo dire che se non si è capaci di ragionare correttamente non si possono neppure dare consigli a chi ci deve governare.

Comunque, per tirarsi fuori dalla palude scalfariana e veltroniana—due teste dello stesso monstrum politichese e parolaio—, è sufficiente leggere ciò che ha scritto ieri Angelo Panebianco sul Corriere, pur con spirito bipartisan e senza sbattere aprioristicamente la porta in faccia al neo-leader. In particolare, ecco la strada che Veltroni non dovrebbe seguire:

E' la strada dell'ecumenismo, dell'embrassons nous, del niente ne­mici a sinistra, dei segna­li a centoottanta gradi agli interessi — pubblici e privati — che contano, il tutto infiocchettato nel­le più o meno suggestive genericità verbali della «bella politica».

Ora, sinceramente nemmeno io vorrei sbattergli la porta in faccia. Ho dei brutti presentimenti, questo sì, che posso farci? Ma in fondo non costa nulla aspettare ancora un po', magari solo fino a domani, per sciogliere tutte le riserve del caso.

June 25, 2007

Taj Mahal

Per Rabindranath Tagore la sua forma era “una lacrima sul volto del tempo.” Purtroppo il Taj Mahal manca alla mia personale esperienza diretta, e se ha ragione Bill Clinton, secondo il quale “il mondo si divide tra quelli che hanno visto il Taj Mahal e quelli che non l’hanno visto,” io devo incartarmela e rassegnarmi a collocarmi tra coloro i quali, nella divisione tra gli umani, hanno decisamente e chiaramente qualcosa in meno.

Fortunatamente, su la Repubblica di ieri, Federico Rampini ha concesso ai suddetti un surrogato di visita che, potenza della parola, riesce comunque a dare l’idea di qualcosa di veramente sublime. Peccato che, a quanto mi consta, quelle due pagine di (grande) corrispondenza da Agra non siano on-line.

Rampini, ad ogni buon conto, ci informa sullo stato di salute del celeberrimo mausoleo, quasi a sottolineare che c’è sempre tempo:



Eppure resiste, in uno stato di salute stupefacente, per ricordare che in India i miracoli sono possibili. Il più importante è di quattro secoli fa, un girello dell’arte di tutti i tempi nato dall’amore fra un uomo e una donna, e dall’incantevole unione tra la civiltà indiana e l’Islam.

Per il momento, mi limito a trascrivere altre due citazioni riportate nell’articolo:



“E’ l’incarnazione di tutto ciò che è puro, santo e infelice. E’ il cancello d’avorio sotto il quale passano i sogni.”
—Rudyard Kipling

“Il Taj Mahal è, ben oltre il potere delle parole per descriverlo, una cosa adorabile, forse la più adorabile di tutte le cose.”
—Salman Rushdie

June 21, 2007

A risentirci

[Comunicazione di servizio]
Salve, solo un telegramma per dire a risentirci quanto prima (forse già in serata). Mi spiace per la pausa forzata.

June 16, 2007

Black Diamond Strings

A song by Guy Clark which he recorded with Emmylou Harris for his 1995 Dublin Blues album. In the video, from 1996 Transatlantic Sessions, the two performing together “Black Diamond Strings.” Backing by, amongst others, Jay Ungar, Russ Barenberg and Jerry Douglas.

June 15, 2007

Regicidio?

Stavolta Berlusconi l’ha fatta grossa. E, per favore, non tiriamo fuori la storia che qui in Italia, dipo tutto, ci abbiamo avuto quello là, mentre colui che oggi, in teoria, dovrebbe sedere sul trono è questo qua. In realtà, nulla, assolutamente nulla, può giustificare una confusione come quella in cui è inciampato il Cavaliere ...

June 14, 2007

Scrivi cento volte '7 in condotta'

Puntata teoricamente interessante di Otto e Mezzo, dato l’argomento, ma un po’ confusionaria. Del resto non è facile discutere—dicendo cose sensate—su una questione come quella della professoressa che ha fatto scrivere cento volte "sono un deficiente" a un suo alunno discolo e, diciamo, non particolarmente brillante sotto il profilo intellettuale, ancorché in parte giustificato dalla circostanza di esser nato in una famiglia che Madre Natura non ha trattato troppo generosamente.

Gli ospiti di Alessandra Sardoni (che ha probabilmente bisogno di tempo per riuscire a dare il meglio di sé nel ruolo di conduttrice) e Pietrangelo Buttafuoco (che sta migliorando visibilmente) erano Rocco Buttiglione e gli scrittori Salvatore Niffoi, Antonella Landi e Giuseppe Genna. I primi due sono insegnanti-scrittori, e soprattutto il primo ha detto cose interessanti. Il terzo credo che sia scrittore e basta, e infatti mi è sembrato che di scuola capisca poco, tanto che, per usare la sua geniale invenzione lessicale, ha cercato (invano) di trasformare Otto e Mezzo in Rocco e Mezzo. Quanto allo stesso Buttiglione, penso che il prof possa fare di meglio che riproporre il verbo di CL in maniera abbastanza mnemonica.

Forse tutti i partecipanti al dibattito avrebbero fatto meglio a mettere al centro dell’attenzione la proposta del ministro Fioroni di ripristinare il sette in condotta, imprimendo alla scuola un’inversione di marcia rispetto al codice berlingueriano del 1999, che di fatto abrogava il provvedimento in oggetto annullandone le conseguenze concrete sulla carriera scolastica di chi se l’era guadagnato.

Penso, cioè, che puntare sul ritorno del principio di autorità, come fanno Buttiglione e Buttafuoco, sia doveroso sul piano culturale e in una prospettiva di medio-lungo termine, ma non sia di alcuna utilità nell’immediato—e il problema è appunto che c’è bisogno di fare qualcosa subito, non fra dieci o quindici anni. Inoltre bisogna tener conto che non appena nomini l’«autorità» salta fuori qualcuno che, come il bravo Salvatore Niffoi, ti corregge e parla di «autorevolezza», e poco importa se, alla fin fine, all’atto pratico, si tratta della stessa cosa ma detta in maniera più digeribile per i laici e i progressisti. Chiacchiere, o poco più (dalle quali, per giunta, una volta accettato il contraddittorio non ci si può più salvare).

Si tratta sicuramente di uno strumento piuttosto modesto. Modesto, tuttavia, nel senso di puramente pragmatico e non di scarsamente efficace. Al contrario. Come nell’evoluzione della specie umana, uno strumento può cambiare il mondo più di qualsiasi filosofia, pedagogia, psicologia dell’età evolutiva, e via discorrendo.

June 13, 2007

"Politica senza ideali"

Oggi, in un editoriale di Avvenire:

«Oggi ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si avverte una crescente difficoltà nel trasmettere alle nuove generazioni i valori base dell'esistenza e di un retto comportamento». Sono parole di Benedetto XVI, pronunciate - guarda caso - proprio lunedì, parole semplici e per questo pesanti come pietre. Pietre che nessuno vuol gettare addosso a D'Alema o ai politici in genere, ma che debbono far riflettere. Sia detto senza alcuna fregola moralistica.

Appunto, lasciamo stare D’Alema, che a fare il capro espiatorio sembra abbia sviluppato una particolare attitudine che lo accosta inevitabilmente ad un altro celebre “antipatico,” ma della cosiddetta prima repubblica. Però, perché non prendersela coi "politici in genere," che incolpevoli non sono mai, neanche quando gli appioppano (si fanno appioppare) l’etichetta di “buonisti” e campano di rendita?

Ad ogni modo, c’è del vero nell’editoriale. Chi segue la politica con attenzione ci ha fatto il callo, alle bassezze della medesima, e per giunta è talmente disgustato dai falsi moralisti che pur di differenziarsi gioca a fare un po’ il cinico della situazione. Ma, se pensiamo alle nuove generazioni, l’editorialista di Avvenire ha ragioni da vendere. Lo spettacolo offerto non può che avere effetti devastanti. E difatti …

June 12, 2007

E Di Pietro la disse giusta

Cerchiamo di spiegarci bene sulle intercettazioni: non si tratta di maramaldeggiare—attitudine moralmente disgustosa e politicamente squallida in cui di solito la sinistra è magistra—, però cerchiamo di non esagerare neppure nel senso opposto. Come ha fatto, dispiace dirlo, Giuliano Amato. Non sono sicuro, cioè, che l’uso delle intercettazioni sia «una follia tutta italiana», nel senso che ho dei dubbi, innanzitutto, che si tratti di una «follia» e, in subordine, che si sia di fronte a un fenomeno tipicamente «italiano».

Ma di una cosa sono ragionevolmente certo: che «il vero problema non è pubblicare o meno le intercettazioni. È invece commettere o non commettere fatti di commistione tra la politica e affari», anche perché «chi fa politica non può farla nell’interesse di corporazioni e lobby, ma deve farla nell’interesse di tutti» (ibidem). Sono parole di Di Pietro, e c’è da credermi se confesso che il trovarmi d’accordo con lui su una materia come questa non mi entusiasma affatto. Ma tant’è. Essere garantisti non significa approvare la politica dello struzzo.

Dopodiché discutiamo pure sui “poteri forti” e sulle loro trame, sulle coincidenze che si moltiplicano, sul coordinamento che si intravede dietro alcune vicende e soprattutto su chi ha fatto in modo che l’opinione pubblica ne venisse a conoscenza “al momento opportuno,” discutiamo su tutto, avanziamo dubbi e sospetti, ipotesi e controipotesi, ma cerchiamo di non perdere di vista la sostanza. Parlando di blogosfera, ad esempio, fa male, molto male, Luca Sofri-Wittgenstein a minimizzare (e banalizzare). Ha fatto un po’ meglio Camillo-Christian Rocca:


Max-facci-sognare-D'Alema ha ragione: non siamo uno stato di diritto. Non si capisce, però, come mai non l'abbia mai detto quando quello che oggi accade a lui – tutto sommato pochino – è capitato a centinaia tra avversari politici, soubrette e dirigenti di squadre per cui non fa il tifo.

(Quanto al merito politico: non dovrebbe spiegare come mai ai tempi dei furbetti si indignava con chi metteva in relazione i Ds con la sognante scalata Bnl dell'Unipol?)


Che non siamo uno stato di diritto, comunque, sarà anche vero in generale, ma dedurre ciò dalle vicende in questione penso sia qualcosa che meriterebbe qualche ulteriore approfondimento.

Sempre restando agli aspetti non tanto di immagine (compromessa) quanto di sostanza, e per dare uno sbocco concreto alle solite querelles, penso che il suggerimento “provocatorio” gentilmente porto su un piatto d’argento da Riccardo Barenghi, stasera a Otto e Mezzo, sia molto sensato: facciamo in modo che le cose siano chiare ed esplicite, e cioè che siccome la politica ha i suoi costi, ecc., ecc. Così, aggiungo io, la finiamo una volta per tutte di blaterare di “superiorità morale” e compagnia bella.

Un suggerimento che non è destinato a ricevere l’autorevole endorsement del compagno rifondarolo Migliore, né quello di Travaglio Marco (anche loro ospiti di Otto e Mezzo stasera). Quest’ultimo, tuttavia, ha affidato al suo sito Web un articolo (che sarebbe dovuto comparire sull’Unità di oggi se non fosse stata in sciopero) che, fatta la tara della ben nota cordialità nutrita dal Nostro per il Cavaliere, potrebbe sembrare persino leggibile (oggi gli ossimori stanno di casa a WRH …):


Se in Italia non esistesse Berlusconi con la fairy band dei Previti e dei Dell’Utri, ce ne sarebbe a sufficienza per chiedere le dimissioni di Massimo D’Alema da vicepremier, di Piero Fassino da segretario dei Ds e di Nicola Latorre da vicecapogruppo dell’Ulivo al Senato. Quello che emerge dalle loro telefonate con Giovanni Consorte (e, nel caso di Latorre, anche con il preclaro “compagno” Stefano Ricucci) ha un solo nome: conflitto interessi, e dei più gravi. Naturalmente tutto il dibattito è falsato dalla presenza in Parlamento di Berlusconi e della fairy band, al cui confronto il gravissimo conflitto d’interessi Ds-Unipol-coop rosse impallidisce. Ma in un paese normale (espressione cara a D’Alema), nel quale dunque Berlusconi & C. fossero già stati sbattuti fuori dalla vita pubblica, i telefonisti rossi se ne dovrebbero andare su due piedi.

Un paese normale, tuttavia, non avrebbe prodotto un fenomeno Berlusconi, per la semplice ragione che non ci sarebbero stati né il più grande partito comunista dell’Occidente, né, di conseguenza, cinquant’anni di ininterrotto governo democristiano, né i fenomeni Di Pietro e Borrelli, e Travaglio, e chi più ne ha più ne metta. Perché, non mi stancherò mai di ripeterlo, tout se tient, mes chers amis.

Ricordo di Richard Rorty

Gianni Vattimo sul grande filosofo americano Richard Rorty, mancato venerdì scorso nella sua casa di Palo Alto, California, dopo una lunga malattia. Su La Stampa di ieri. Grazie a Azioneparallela.

Rorty pensa [...] che il mondo è una faccenda che implica cose e persone, non c'è niente come un astratto rapporto del «soggetto» con l'«oggetto», come lo pensava la filosofia moderna da Locke a Cartesio e poi a Kant e a Husserl. Questo è il tema del grande libro su La filosofia e lo specchio della natura e delle opere che vi hanno fatto seguito, da Conseguenze del pragmatismo (1982) a La filosofia dopo la filosofia (1990) a Verità e progresso (1998).

[...]

Rorty non è affatto scettico; rivendica però, con coerenza, la qualifica di relativista, perché - come Heidegger, come Nietzsche, come lo stesso Hegel - sa che non può guardare al mondo «da nessun luogo», è sempre coinvolto in una situazione storica e in un punto di vista particolare.

Tibet, a distressing picture


[UPDATED]
“If the present situation is the same in 15 years then I think Tibet is finished,” said the 71-year-old Dalai Lama in Melbourne a few days ago. “China has almost completed its aim to totally destroy Tibet,” he added. Yet, AP reported that Australian Prime Minister John Howard has refused to announce whether he will meet—he said he was checking his schedule ...—with the Nobel Peace Prize winner, who is set to visit Canberra later this month, a prospect that prompted China's foreign ministry to warn Australian officials against engaging His Holiness the 14th Dalai Lama, Tenzin Gyatso.

In confirmation of Dalai Lama’s warning a 79-page report entitled “No one has the liberty to refuse,” released on Sunday, June 10, 2007, by Human Rights Watch, says that the Chinese government is forcibly relocating Tibetan herders to urban areas and farmland, destroying their livelihoods and way of life, and denying them access to justice for violations of their rights. Many of them have been required to slaughter their livestock and move into newly built housing colonies without consultation or compensation. Since 2000 the Chinese government’s campaign has put traditional lifestyles and livelihoods at risk for the approximately 700,000 people who have been resettled in western China, says the report.


That is why Human Rights Watch, the international organisation which monitors respect for human rights throughout the world, called on the Chinese government to impose a moratorium on all resettlements

until a mechanism can be established whereby independent experts carry out a review of policies that require or produce displacement and resettlement of Tibetan herders and other rural populations in Tibetan areas, the confiscation of their property, or imposed slaughter of their livestock. This review should entail assessing the compliance under Chinese law, such as the new Property Rights Law 2007, and international law with the rights of Tibetan herders.

As it was not enough, according to Kai Mueller, Executive Director of ICT-Germany, there is now also an environmental emergency. In fact he ‘roof of the world' is threatened by melting glaciers and other extreme weather phenomena, with disastrous predictably consequences for the lives of millions of people in Asia as well as those on the high plateau (a recent report by the UN Intergovernmental Panel on Climate Change forecast that, if current trends continue, 80% of Himalayan glaciers will be gone in 30 years). China's presence in Tibet for more than half a century, says Kai Mueller,



“has had devastating effects on the environment so far, particularly as a result of Beijing's plans for fast-track economic development of the region. Deforestation, mega-projects such as the new railway to Lhasa, water shortages and hydro-power projects, unchecked effects of the extractive industry and the beginning of mass tourism are serious threats to the fragile Tibetan high-altitude environment, which matters to the whole of Asia and the rest of the world.”

This is indeed a very distressing picture of the situation. ICT has called upon the G8 to press President Hu to move forward with an environmental plan for Tibet that takes into account the fragility of the unique high-plateau environment, which is so critical to the rest of the world.
UPDATE — June 12, 2007, 11:00 am
1. Australian PM John Howard will meet the Dalai Lama. After first saying Howard was trying to find time in his schedule to meet His Holiness the 14th Dalai Lama, Tenzin Gyatso, the prime minister's office said Tuesday the two would meet “later in the week.”
2. Speaking in Canberra, the Dalai Lama has warned major nations not to try to contain China's economic and military rise, but has urged countries like Australia to use their trading clout to pressure Beijing on human rights, Reuters reports.

June 11, 2007

Quella piazza del Popolo cosi' deserta

Dunque, in piazza del Popolo, alla manifestazione anti-Bush dei rifondaroli e dei dilibertiani, erano in quattro gatti. C’è di che pensare, indubbiamente. Come del resto davano da pensare le chiare parole scandite davanti alle telecamere di un tg dall’Oliviero medesimo in corso d’opera e alla sua maniera: «Io sono comunista, ma non sono stupido, e dunque sono qui a manifestare contro Bush, non contro il governo Prodi». Dichiarazione solenne, accompagnata per altro da una mimica facciale assai espressiva: se ho afferrato il concetto, il messaggio era rivolto a quelli che, per loro fortuna, non sono stupidi, ché con tutti gli altri, tanto, è inutile discutere (parole sante!). Certo, pure a prescindere dal tasso di comunismo (o di anticomunismo, come nel mio caso) di ciascuno, viene appunto da riflettere anche su questo: essere comunisti non significa essere stupidi. E l’excusatio non petita di Diliberto—autentica lezione di onestà intellettuale—lo conferma oltre ogni ragionevole dubbio.

A sinistra, però, quello di Diliberto non è stato l’unico colpo d’ala. Massimo Cacciari, infatti, ha messo il suo sigillo ad un’altra manifestazione di superiorità intellettuale. Il che, ovviamente, non sorprende che gli sprovveduti, giacché tutti conosciamo l’acume e la profondità del sindaco-filosofo. Dunque, su Repubblica di ieri si leggeva un’intervista che, datemi retta, è da incorniciare. Si iniziava, per la verità, con alcune constatazioni un po’ sbrigative, tipo questa:


«Il flop di piazza del Popolo? Bene, benissimo. Così diventa sempre più evidente: Giordano, Diliberto & company sono dei conservatori, forze del passato remoto, residui di ideologia. Con l’innovazione non hanno nulla a che spartire. Ecco perché non li segue più nessuno».

Si può condividere, io direi, però che diamine, c’è modo e modo! Comunque il colpo di genio viene subito dopo. L’intervistatore, Umberto Rosso, fa un’obiezione: «Ma Il governo Prodi si regge anche grazie a loro …». Ed ecco la risposta secca di Cacciari:


«Oggi è così. Che altro vuol fare, con i numeri che abbiamo? Siamo costretti. Per questa legislatura. Perché nella prossima mi auguro che il nodo venga sciolto una volta per tutte. Il Partito democratico deve smetterla di andargli sempre dietro, fanno zavorra».

Devo dire che sono estasiato. Soprattutto per la prima parte della risposta, che ha fatto strame del diniego di Gerhard Schröder a fare l’alleanza con i comunisti in Germania, il che gli ha fruttato, pensate un po’, la sconfitta elettorale e il matrimonio forzato con la CDU per dar vita alla famigerata große Koalition. Altro che Schröder, signori miei: quello è un perdente nato, imparate dal filosofo!

Ma non è tutto. Sentite questo elogio di Casarini, che fa giustizia di qualsiasi meschina aspirazione alla coerenza politica e ideale:


«Possiamo dire tutto il male possibile di Casarini, ma almeno qualcosa di nuovo l’hanno portato: un bisogno della politica, del desiderio, dell’utopia, chiamatela come vi pare».

Già, l’utopia. Ecco cosa manca al Pd: mica una buona dose di riformismo fattuale e non parolaio, no, gli manca un po’ di cara, vecchia, sana utopia! Imparare da Casarini, compagni!

E’ finita? Neanche per sogno. C’è un’altra perla. Quando l’intervistatore, poveretto, prova a insinuare il dubbio che «a recitare il doppio ruolo di sinistra di lotta e di governo alla fine si paga pegno», lui subito risponde, senza alcuna esitazione, che

«Berlinguer era di lotta e di governo. Ma le manifestazioni del suo Pci erano oceaniche. Allora come la mettiamo?»

Oceaniche, già, bei tempi! E allora, come vogliamo metterla? Ma andiamo, Cacciari indica due Maîtres à penser come Casarini e Berlinguer, e l’Umberto non capisce che la Via maestra è questa, soltanto questa, nient’altro che questa? Suvvia, guardiamo al futuro!

June 9, 2007

George W. Bush in Rome

Just wanted to say "Welcome to Italy!"




God Bless the U.S.A.
by Lee Greenwood


If tomorrow all the things were gone
I'd worked for all my life,
And I had to start again
with just my children and my wife,
I'd thank my lucky stars
to be living here today,
'Cause the flag still stands for freedom
and they can't take that away.


I'm proud to be an American
where at least I know I'm free,
And I won't forget the men who died
who gave that right to me,
And I gladly stand up next to you
and defend her still today,
'Cause there ain't no doubt I love this land
God Bless the U.S.A.


From the lakes of Minnesota
to the hills of Tennessee,
Across the plains of Texas
from sea to shining sea.
From Detroit down to Houston
and New York to L.A.,
There's pride in every American heart
and it's time we stand and say:


I'm proud to be an American
where at least I know I'm free,
And I won't forget the men who died
who gave that right to me,
And I gladly stand up next to you
and defend her still today,
'Cause there ain't no doubt I love this land
God Bless the U.S.A.

June 7, 2007

La politica è morta, viva la politica!

Poca voglia di scrivere, oggi, e di leggere resoconti e commenti. Sbaglierò, ma che diavolo volete che abbia voglia di dire, o di farsi raccontare, analizzare o spiegare «una persona normale» che per avventura abbia seguito anche soltanto di sfuggita la sessione del Senato di ieri? "Lasciamo perdere, che è meglio," dirà. Va bene, un “Vai al diavolo, Padoa Schioppa, e con te quelli della tua specie, siano essi politici di razza o mezzosangue, super-tecnici o tecnici per cooptazione!” ci sta tutto, ma basta così, e non vale neanche la pena di argomentare, tanto chi voleva capire ha capito e chi non voleva è perché si fa gli affari suoi (vabbè, anche quelli degli altri, ma è inutile sottilizzare).

Semmai, riuscendo a trovarne la forza e andando decisamente controcorrente, mi piacerebbe spezzare una lancia per la politica … Ma, come ho già premesso, ho poca voglia di fare alcunché, oggi, quindi mi limito a scarabocchiare sul foglio virtuale “qualche storta sillaba e secca come un ramo.”

Ok, perché spezzare una lancia per la politica? Beh, proprio perché è un’attività in caduta libera e praticamente, da ieri, ufficialmente sputtanata (ufficiosamente, è ovvio, lo era già da un pezzo). Sì, perché la politica—insisto, come si vede, sulla “p” minuscola, ché di quell’altra, con la “P” maiuscola, è meglio che si occupino quelli di Repubblica—potrà magari essere stracciona, ma i voti se li deve conquistare uno per uno, e per farlo, anche con il sistema elettorale cui Giovanni Sartori ha affibbiato l’epiteto di “porcellum,” è ogni singolo politico, non delle astrazioni, che ci deve mettere la faccia, che deve parlare con la gente, entrare in sintonia, spiegare, convincere. E, si sa, la gente puoi farla fessa una, due, tre, quattro volte, ma alla fine ti castiga.

Concretamente, e solo (ehm ...) per fare un esempio qualsiasi, se uno fa il tecnico prestato alla politica, mica deve andare il giorno dopo a spiegare ai propri elettori perché ha fatto questo o quest’altro, ma i senatori che ieri hanno difeso Visco e insultato Speciale, domani sera, nel proprio collegio o circoscrizione elettorale, dovranno render conto a qualcuno di ciò che hanno fatto e detto. A me sembra che questa sia una ragione sufficiente per non disprezzare troppo la politica, e per non prendere per oro colato, tanto per fare soltanto un altro esempio a caso, le campagne di stampa di questi giorni—l’ultimissima è quella inaugurata ieri da La Stampa contro il solito D’Alema.

In buona sostanza, il Day after la Caporetto politico-istituzionale dovrebbe indurci a stringerci attorno alla politica, non a celebrare il suo funerale. Perché è sempre meglio chi deve render conto al popolo sovrano, anche, diciamolo chiaramente, quando si tratta di una sinistra che, secondo la definizione pannelliana, in questa circostanza (e non solo) si è dimostrata davvero “buona a nulla, ma capace di tutto.”

Dopodiché diamo pure a Stella e a Rizzo quel che è di Stella e di Rizzo (e di Montezemolo), riconoscendo che una «casta» politica non possiamo e non dobbiamo permettercela.

Come dicevo, volevo solo scarabocchiare un paio di concetti. In effetti, questo post mi è costato—ma quando ci decideremo a pagarli, i bloggers?

June 6, 2007

La faccia che si merita

Quasi si scusa, l’editorialista del Foglio, per un’esercitazione politico-letteraria ai confini della stravaganza e dell’impertinenza. Ma siccome il risultato, secondo me, non è affatto infelice, non c’è proprio niente da farsi perdonare (sempre a mio modestissimo avviso). Anzi: buttarla sulle facce può dare una mano a capire “in profondità.”

Ad esempio, a me sono rimaste impresse nella memoria le facce dei capi di governo europei che il 29 ottobre 2004 firmarono in Campidoglio la Costituzione europea, sì, quella che poi giustamente ha fatto una fine ingloriosa. Mi ero organizzato, avevo fatto in modo di «esserci», di assistere, cioè, almeno alla diretta tv all’evento. Garantisco che quella volta a tutto pensavo meno che alle facce. E invece furono proprio quelle che attirarono-catturarono, la mia attenzione. Non entro nei particolari, dico solo che lo spettacolo fu desolante: facce che avevano quasi tutte qualcosa di inquietante in comune, un ghigno, non so, un’estenuazione, un senso di esaurimento per intima consunzione … L’emblema, la summa di tutto ciò, spiace dirlo, era la faccia di Jaques Chirac.

Ora l’editorialista del Foglio sembra raccogliere quella mia (mai raccontata) frustrazione, e mi testimonia che, forse, lo sgomento provato in quella e in tante altre circostanze non era, non è, una specie di allucinazione privata: siamo almeno in due a captare certe vibrazioni …


Totò, guarda caso ne “I Tartassati”, ci dice che “ognuno ha la faccia che ha, ma qualche volta esagera”. Se uno aggiunge che “dopo i trent’anni ognuno è responsabile della faccia che ha”, la marachella è fatta. Non sia mai che si voglia parlare di volti, vizio tendente all’inelegante se non al razzismo. Però, per non essere tacciati di un banale trucco alla “Cesare taccio”, diciamo che nel volto, nella società della tv, c’è il corpo, il portamento, l’umore. Giochiamo dunque al piccolo Linneo del potere, navigando a vista tra i corpi floridi nei sondaggi alla Botero e quelli in decomposizione alla Lucien Freud. Vedi il sorriso volitivo e ipercinetico del presidente francese, con gambe e pantaloncini corti, corti alquanto, e maglietta dei poliziotti di New York, e capisci che le riforme tutte e subito: può fallire, ma la forza di volontà c’è. Guardi il ciuffo ingovernabile del futuro premier inglese, quel qualcosa di stonato perché senza gioia, e cogli il logorio che ha logorato chi il potere a lungo non lo ha avuto, desiderandolo. Osservi il ghigno soave e un po’ incosciente del presidente del governo spagnolo e scopri che il potere della fantasia, da Alice nel paese delle meraviglie, ha una sua energia. Scopri l’educata fermezza della cancelliera tedesca e capisci che la leadership è femmina di per sé, senza bisogno di ostentarlo. Se poi i capelli sono rossi, ci sono le stimmate della predestinata al comando, alla Vittoria. Quando infine si sente l’acquolina di un insperato ritorno da Champions League, il sorriso supera il numero naturale dei denti e allora il potere si gode gli ultimi momenti scravattati prima del ritorno al lavoro. Se però per trovare l’ultima foto sorridente devi andare indietro di mesi, a un finto rilassato giro in bici da professore in vacanza, vuol dire che la classe tollera il prof. ma già spera in meglio per il corso dell’anno prossimo. Se a ogni vertice stile reggia di Caserta che passa la profondità e la lunghezza delle due rughe rivolte verso il basso delle guance aumentano vuol dire che, come insegna La Bruyère, l’infelicità nasce dall’incapacità di stare soli e che il muso dell’incompreso, con o senza balcone, non si addice al capo. Se i volti del potere sono Prodi e Visco perfino un generale della Finanza diventa simpatico agli italiani. Poi Speciale, parola di Fiorello, bonario lo è davvero, tanto che sorridendo dà un buffetto amichevole al successore e neanche fa causa. Mentre il potere che mette il broncio dimostra che si sta esaurendo o che è esaurito.

And now, the end is near (for Prodi)

The warning, this time, comes from the Organisation for Economic Co-operation and Development. As yesterday’s Financial Times reported, the OECD praised the government's efforts at achieving fiscal discipline but said Italy's public debt remained precariously high.

The OECD report comes at a critical time for Prime minister Romano Prodi, just a few days after a crushing defeat in local elections and while the opposition is incensed that Deputy Economy Minister Vincenzo Visco has refused to resign over his alleged interference in the official inquiry into the “red” Unipol scandal, having put pressure last July on tax police (Guardia di Finanza) general commander, Roberto Speciale, to transfer four inspectors. But not only is the opposition incensed that Visco did not resign as minister, they are angered that the Government transferred Roberto Speciale—who, however, rejected the office through a letter sent to Finance Minister Padoa Schioppa—to the Financial Court (Corte dei Conti).

As it was not enough, this weekend's visit to Rome by US President George W Bush will take place amid potentially violent anti-American street protests—two separate rallies, organized by pacifist and anti-globalisation groups, are expected for Saturday in Rome.

The worst thing for Prodi and his centre-left government is that the opposition is planning a no-confidence motion against Visco—and perhaps the entire government—in the Senate today. A very risky affair for the Prime minister, given that his coalition holds only two more seats in the upper chamber than the opposition.

Yet, should Prodi overcome the obstacle, he would then have to face two other difficult tasks: to forge a consensus on pension reform that would satisfy moderates and leftwingers in his coalition, and to bring the project of the Tav in Val di Susa (a tunnel built for high speed trains that will be over 50 kilometres long and cost nearly 20 billion euros) to a successful conclusion, by overcoming the fierce (internal) opposition of Greens and Communists, not to mention social movements and local communities.

Well, to be honest, I don’t think there are many Italians who think that the Government will manage to succeed. But, to tell the truth, even little over a year ago, there were many, myself included, who were predicting that Prodi would fail—and it was not at all a risky forecast, IMHO, given the fact that Prodi had put together an impossible coalition of irreconcilables, which, in addition, is de facto dominated by the radical Left.

Hopefully, the end is near, but a whole year has been wasted. Not exactly what this Country needed.

June 4, 2007

Si fa rispettosamente presente ...

Si fa rispettosamente presente che sul Giornale di oggi c'è una citazione interessante e attuale, riproposta dal giurista Paolo Armaroli (è ordinario di Diritto Pubblico comparato nella Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova):

«Il Presidente della Repubblica non è l’evanescente personaggio, il motivo di pura decorazione, il maestro di cerimonie che si volle vedere in altre Costituzioni […] egli rappresenta e impersona l’unità e la continuità nazionale, la forza permanente dello Stato al di sopra delle mutevoli maggioranze. È il grande consigliere, il magistrato di persuasione e di influenza, il coordinatore di attività, il capo spirituale, più ancora che temporale, della Repubblica».

[Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75, nella relazione all’Assemblea costituente presentata il 6 febbraio 1947.
Leggi il resto dell'articolo.]

June

 Il Ciclo dei Mesi (giugno), Torre Aquila del Castello del Buonconsiglio, Trento.
A noise like of a hidden brook
In the leafy month of June,
That to the sleeping woods all night
Singeth a quiet tune.

—Samuel Taylor Coleridge, The Ancient Mariner (pt. V, st. 18)

June 2, 2007

Volenterosi di tutto il mondo ...

Un Giovanni Sartori piuttosto in forma ha fotografato sul Corriere di oggi i mali della nostra democrazia, e naturalmente gli sono grati soprattutto gli stranieri che si sono trasferiti da noi di recente—non tanto quelli che sono qui da qualche anno, come Alex, che ha già capito da sé come stanno le cose (vedere commenti al post precedente)—e taluni nostri concittadini che si sono appena ripresi da quella strana sindrome che Oliver Sacks ha fatto conoscere al mondo intero con un bellissimo libro, Risvegli, da cui è stato tratto l’omonimo film con Robert De Niro e Robin Williams.

Siamo di umor nero e in vena di sarcasmi? No, per carità, anche se, a dire il vero, un raffreddore e il cattivo tempo hanno mandato all’aria qualche velleità di distrazione dai mali di cui sopra … Però, appunto, non si tratta di questo. E’ vero, piuttosto, che si sarebbe un po’ stufi di leggere/scrivere sempre sulle stesse cose, anche se una buona analisi di ciò che si conosce si fa leggere sempre più volentieri di una meno buona su ciò di cui si vorrebbe capire qualcosa in più (siamo quasi al Catalano docet, lo so, lo so …).

Ok, andiamo al sodo, cosa ha scritto Sartori? Tanto per cominciare ci ha regalato una bella citazione, corredata da un commento appropriato:

Benjamin Franklin, uno dei costituenti di Filadelfia, rispose così alla domanda su cosa la Convenzione avesse partorito: «Una repubblica, se sarete capaci di mantenerla».

Appunto: se sarete capaci di tenerla in vita. Uno dei principi fondamentali di qualsiasi organizzazione — e anche la democrazia lo è — è di saper premiare e di poter punire. Se una organizzazione contiene sacche di impunibilità, queste sacche diventano lestamente aree di inefficienza e di parassitismo. Pertanto una democrazia che diventa una «repubblica degli impuniti» è sicuramente una pessima democrazia. E l'Italia sopravanza tutte le tradizionali democrazie occidentali nell'essere caratterizzata dal premiare chi non merita premi (nel settore pubblico le promozioni sono per lo più automatiche) e dal proteggere chi invece merita castighi.


Naturalmente, a proposito di castighi (non previsti dal “sistema”) e di impunità (elargite a piene mani), il Romano Prodi di ieri, cioè quello che ha chiesto al vertice dei segretari dei partiti della maggioranza il mandato per chiudere la brutta storia di Visco, non ha certo dato un contributo apprezzabile alla soluzione dei nostri problemi, anzi, e come scrive oggi Il Foglio, ha fornito “un esempio da manuale di come non si deve comportare un uomo di stato.”

Seguono, nell’articolo di Sartori, considerazioni assai condivisibili sulla «casta» ottimamente raffigurata da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, e un proposta di cui il professore (e anche noi tutti, suppongo) conosce in anticipo il destino: “Verrà seppellita dal silenzio oppure da acutissimi strilli di dolore.”

La lettura rimanda a quello che aveva scritto Stefano Folli sul Sole-24 Ore di ieri a proposito della relazione annuale del governatore della Banca d'Italia:

C'era e c'è bisogno di una «rivoluzione liberale» a tutti i livelli, nonché di serietà e di senso civico. «Un mercato rigoroso e politiche pubbliche incisive»: secondo il commento di Mario Monti. Viceversa abbiamo una classe politica impacciata a cui gli italiani credono sempre meno, salvo eccezioni.


Sì, sì, salvo eccezioni. Va bene. Però bisognerebbe che queste eccezioni si facessero sentire un po’ di più. Ma lo sa benissimo anche Folli, che infatti conclude così:

Quel che colpisce è il silenzio dei cosiddetti «riformisti». Le parole di Draghi dovrebbero essere condivise da loro fino in fondo, volendo mandare un messaggio concreto agli elettori delusi. Invece Prodi, Fassino e Rutelli sono impegnati nelle loro battaglie di vertice sul Partito democratico e la sua leadership. La coalizione si scolla e tende a rifugiarsi nel consueto immobilismo. Draghi rischia di dire cose sensate, ma perse nel vuoto.



E nel centro-destra, nella coalizione che ha trionfato alle amministrative, che si fa, che si dice, come siamo messi? Temo che abbia colto nel segno Il Riformista quando (ieri) ha scritto, per esempio, che Berlusconi

non sa che fare. La verità è questa. Non sa decidersi se dare o meno la spallata a Prodi, non sa se fare il governissimo oppure scendere in piazza, non sa se candidarsi per la quinta volta oppure passare la mano, non sa se fare la federazione delle libertà o il partito unico, non sa se ascoltare l'ala estrema di Bossi o quella più moderata di Fini. Insomma, attendismo puro, altro che grande decisionista.


Ma penso che sia condivisibile anche il resto del ragionamento, cioè il cahier de doléances che riguarda gli altri partiti della Cdl. Il che, dato che le speranze possono essere ormai riposte quasi soltanto in quel settore dello schieramento politico, è piuttosto frustrante.

E allora? Beh, indubbiamente ci sarebbe bisogno di uno scatto di reni, di un sussulto di responsabilità e di coraggio. D’accordo, non sarà una conclusione originale per un post, ma che altro si può dire? Vabbè, forse si può essere più precisi: a volerla dire proprio tutta, innanzitutto bisognerebbe togliersi dalle spese il governo Prodi, e subito dopo avviare una fase creativa, fuori dagli schemi, super partes, mettendo insieme tutti coloro che sono intenzionati a realizzare sul serio la «rivoluzione liberale» di cui parlava Folli e che non è più rinviabile. E poi tornare a votare, destra contro sinistra, come in un qualsiasi paese normale. L’ho detto (ma non mi aspetto applausi).

E adesso decisioni collegiali!

Quando si dice Jena!

DECISIONISMO
L’altro ieri aveva detto: «O decido io o me ne vado». Ieri ha detto: «Adesso decisioni collegiali». Domani dirà: «Scusatemi, potreste gentilmente dirmi cosa avete deciso?».