April 26, 2007

La promessa mantenuta di Corvo Bianco

Fu soprannominato Corvo Bianco ed ebbe meriti e demeriti commisurati all’impresa nella quale si imbarcò, cioè grandi, anzi enormi. Dimostrò durezza e coerenza. Michail Gorbaciov, il suo storico rivale, ebbe modo di sperimentare di persona entrambe: quando, nel giugno 1990, l’allora presidente del Presidium del soviet supremo della Repubblica socialista federativa russa, dette il via ad un conflitto di potere devastante con il Cremino (retto appunto da Gorbaciov), e quando, prigioniero nella sua dacia in Crimea nei giorni del tentato colpo di stato del 19-21 agosto 1991, il fiero avversario Boris Nikolaevich ne ottenne la liberazione schierandosi apertamente contro i golpisti. Fu proprio in quelle drammatiche circostanze che la figura di Eltsin divenne di colpo famosa in tutto il mondo: chi non ricorda quando salì su un carro armato dei ribelli per arringare la folla davanti al Parlamento russo, riuscendo in tal modo ad evitare un bagno di sangue?

Oggi Avvenire, con un editoriale firmato da Luigi Geninazzi, ricorda e rende omaggio a un aspetto di Corvo Bianco meno noto, ma non per questo meno importante: con lui si è realizzata quel che Berdjaev chiamò «l’idea russa», vale a dire un rapporto specialissimo tra il popolo e la religione. Non è certo per caso che Boris Eltsin è stato il primo capo di Stato russo ad avere un funerale religioso dai tempi degli zar. In particolare, l’uomo seppe tener fede a una promessa:


Ci teneva alla libertà, prima di tutto quella religiosa. L’aveva promesso a Giovanni Paolo II nella prima storica visita che compì in Vaticano il 20 dicembre del 1991, all’indomani della fine dell’Unione Sovietica. In quell’occasione il presidente della Federazione Russa che di lì a cinque giorni avrebbe preso il posto di Gorbaciov al Cremlino affermò solennemente che avrebbe garantito la piena libertà «a tutte le confessioni religiose senza alcuna distinzione». L’avrebbe dimostrato coi fatti qualche anno più tardi, respingendo una legge sul culto, già approvata dal Parlamento, che penalizzava le minoranze religiose a cominciare dalla piccola comunità cattolica. E, vale la pena ricordarlo, si rifiutò di firmare una legge iniqua nonostante le pressioni della Chiesa ortodossa e gli umori nazionalistici della Russia profonda.

Giustamente l’editoriale non nasconde che vi furono errori, anche molto gravi, ma fa presente che non si può non onorare la memoria di un uomo che si distinse “per la sua strenua difesa del principio di libertà in un Paese che era diventato sinonimo di dittatura.” Mi pare che la definizione sia perfetta. E se posso—non solo perché "zar Boris" mi era simpatico—la faccio mia.