October 7, 2008

Non c'è che Max

E’ parecchio che su questo blog non si parla di Veltroni, e non a caso: uno non fa in tempo ad elogiare, a complimentarsi per le novità e le intuizioni dell’ex sindaco di Roma ed ecco che qualche settimana dopo si trova spiazzato e smentito clamorosamente da dichiarazioni e proclami che contraddicono in pieno le circostanze che avevano provocato l’iniziale esultanza!

Certo, uno può prendere il tutto con filosofia (o con un pizzico di cinismo), perché in fondo non è successo nulla—nulla di nuovo, cioè—e semplicemente tutto torna ad essere come è sempre stato, con una sinistra che non si schioda dagli animal spirits girotondini, marcotravalisti e dipietristi, ecc. Tutto un déjà-vu, déjà-vécu, insomma. Una scrollata di spalle e ognuno per la sua strada. Eppure dispiace, ma vabbè, così vanno le cose, così è l’Italia, così è la sinistra in questo Paese. E non consola constatare che persino i liberals americani non sfuggono a questo karma, basti pensare al trattamento riservato a Sarah Palin dai mainstream media, una cosa che lascia di stucco. Ma che diavolo è successo a questa gente?

Oggi, sul Giornale, Luca Telese ha fatto un po’ il punto sulla svolta veltroniana, ma anche sulle difficoltà e sugli ostacoli che Veltroni deve in qualche modo gestire. Una lettura utile, direi, anche a chi fosse rimasto assente dall’Italia per qualche secolo, vale a dire più o meno dall’era del “Veltrusconi” o del CaW, come dicono al Foglio, ad oggi (e tornando dubitasse di essere atterrato per sbaglio in un universo parallelo, tipo film di fantascienza). Non sto a riassumere o a citare, mi limito a segnalare. Quanto ai come e perché, di cui Telese non si occupa, ricordo soltanto un errore tanto madornale quanto evidente fin da subito: l’alleanza con Di Pietro. Errori e ingenuità come questi si pagano sempre. Si poteva evitare? Sicuramente sì, secondo me, anche perché la decisione di scaricare i comunisti—scelta “strategica” di grande coraggio e dignità—condannava automaticamente il Pd alla sconfitta (scontata già di suo), e dunque perché tirarsi appresso quegli altri, che con la cultura riformista e garantista della sinistra democratica c’entrano come i cavoli a merenda?

Poi una considerazione semplice-semplice: avere buone intuizioni/intenzioni, avere “visione” e coraggio—doti che Veltroni ha dimostrato di possedere, anche se gli è mancato quel sovrappiù di coraggio che sarebbe stato necessario per scaricare anche l’Italia dei Valori—non è sufficiente per essere uno statista. Ci vuole anche la capacità di tenere ferma la barra del timone, di infischiarsene di chi mugugna e di chi, ad esempio, lancia accuse di debolezza e subalternità.

Ma se Veltroni non è riuscito a essere/diventare uno statista, la colpa non è solo sua. E’ anche della compagine che lui deve rappresentare: un mix “micidiale” di ex comunisti ed ex cattolici democratici, niente ex socialisti (praticamente), niente liberali di sinistra, marginali personaggi come Letta e Bersani. Insomma, solo un vero statista, appunto, poteva riuscire nell’impresa di creare, con quelle premesse, un partito degno del nome che porta, non l’uomo del «ma-anche».

Ormai tutte le residue speranze sono nelle mani di Massimo D’Alema, l’unico leader vero di cui quel partito dispone. Lui forse ha quel manca a Veltroni, ma che possegga anche “visione” lo deve ancora dimostrare, ma gli auguro di cuore di riuscirci.