December 21, 2007

Silent Night



Imagine a snowy Christmas Eve, a small church in a little mountain village, deep inside a pine forest. Inside the church a kids choir is singing an unknown but amazing song:

Stille Nacht! Heil'ge Nacht!
Alles schläft; einsam wacht
Nur das traute hoch heilige Paar …


This is, more or less, the kind of experience the villagers of Oberndorf, Austria, must have had some two centuries ago. On that Christmas Eve, a song was born that would have been translated into hundreds of languages, and is now sung by countless millions every December all over the world.

As Christmas historian Bill Egan puts it, the German words for the original six stanzas of the carol we know as “Silent Night” were written by assistant pastor Fr. Joseph Mohr in 1816. On December 24, 1818 he journeyed to the home of musician-schoolteacher Franz Gruber. Joseph showed Franz the poem and asked him to add a melody and guitar accompaniment so that it could be sung at Midnight Mass. The rest is history.

Tomorrow is the fourth Sunday of Advent. To live it properly, I thought the listening of the carol might be helpful. But, to point out the universality of “Silent Night,” how about Enya’s Irish version going along with the images of a Christmas Tree at Lagoa Rodrigo de Freitas, Rio de Janeiro?


A proposito di moratoria

Trasferita dal piano morale a quello legislativo, la denuncia angosciata e scandalizzata della “morte legale” procurata dall’aborto non può approdare a una irrealizzabile, metafora a parte, “moratoria dell’aborto”, bensì solo alla conservazione o al ripristino della “morte illegale”, cioè della clandestinità dell’aborto e della persecuzione penale delle donne in carne e ossa. Che non è, finora, l’orizzonte dichiarato del redattore dell’appello, e mi auguro che non lo diventi mai.

Questa la conclusione della “Piccola posta” di Adriano Sofri sul Foglio di ieri (e ripubblicata oggi in seconda pagina). La risposta di Giuliano Ferrara è uno degli editoriali di oggi. Sono due piccoli capolavori, e soprattutto sono la dimostrazione di come può e, forse, dovrebbe essere il dialogo su una materia come l’aborto tra persone che la pensano in maniera diversa. Cito solo la conclusione del direttore del Foglio, con la quale concordo e nella quale mi riconosco in maniera sostanziale.

Quanto al ripristino della morte illegale e della persecuzione legale verso le donne incinte, sai bene e lo scrivi che non ci penso nemmeno. Ma una drastica rottura nell’accondiscendenza vile, sottolineata dall’ipocrita e soddisfatta campagna sui diritti umani universali in tema di pena di morte, obliosa dell’essenziale, ci vuole. Io la chiamo moratoria. Tu chiamala come vuoi, nell’amicizia di sempre.