August 22, 2006

Severgnini, gli Italians e i Sopranos

Una parola sulla “mediocrazia” italica—se il termine non esiste, chiedo venia : non ho avuto il tempo di verificare per bene, ma mi suona tremendamente bene... Dunque, nella mediocrazia italica, se c’è una rubrica di scarso successo che andrebbe aiutata, questa è «Italians», di Beppe Severgnini. Imperversa, immeritatamente snobbata dai lettori più acculturati e raffinati, sul Corriere della Sera, particolarmente nella edizione online, fornita di lettere e rispostine (ai più fortunati) che se non sempre sono memorabili per i contenuti e per le qualità letterarie, sono di solito gradevolmente leggere e inoffensive, se non addirittura genialmente vacue.

Oggi Severgnini ha superato se stesso affrontando un argomento spinoso : la considerazione degli italiani all’estero. Rispondendo ad un lettore indignato, che protesta contro i pregiudizi anti-italiani e chiede maggiore durezza con chi esagera con le battutacce e le insinuazioni, ha sfoderato un’acutezza e una lucidità di cui, malheureusement, non sono in molti a fargli credito. Ha cominciato riconoscendo di aver sbagliato a minimizzare certi fenomeni:

In effetti, per anni, la mia risposta è stata: inutile reagire con rabbia o scegliere l’autarchia psicologica (ci ha provato il fascismo: non funziona). Meglio rispondere con serenità e, soprattutto, col comportamento. (…) Tuttavia, lo ammetto: le cose non migliorano. E l’atteggiamento di qualcuno, all’estero, appare veramente odioso. Parmalat ha appena mostrato come le critiche (giustificate!) al sistema di controlli in Italia si mescolino a brutalità storico-antropologiche sugli italiani (ingiustificate e superficiali). E ci cascano fior di giornali: non gli avventori nei pub delle Docklands (Londra), dopo quattro pinte di bitter.

Il ragionamento prosegue—inclinando un po’, stavolta, anche verso gli odiosi detrattori—con un intelligente riferimento alla situazione politica:

E’ vero che Silvio Berlusconi funge da catalizzatore. E’ inutile ripetere cose dette e scritte mille volte. Ma le sue televisioni, le sue amicizie, i suoi processi, le sue leggi, il suo stile, le sue battute e il suo lifting ne fanno un caso unico al mondo. Questo non è un giudizio: è un fatto. E la cosa non ci aiuta. Questo non è un fatto: è un giudizio.

Già, in effetti, non aveva mica torto il kapò (tormentone della scorsa estate), o l’Economist (quello che definiva il premier italiano unfit to lead Europe, se ricordo le parole esatte), che difatti Severgnini ha approvato entusiasticamente. Quel che è da dire è da dire, insomma. Ha ragione lui, mica quelli che si sono ribellati—come purtroppo il titolare di questo blog—e che, pur non essendo mai stati berlusconiani, hanno disapprovato un linguaggio così pesante nei confronti del Capo del governo italiano da parte di organi di stampa e uomini politici di paesi esteri che non sono propriamente in guerra con l’Italia. Insomma, riconosciamo i nostri errori anche noi, come Severgnini!

E poi, se è consentita una parentesi “letteraria”, che meraviglia quel gioco di parole (…Questo non è un giudizio: è un fatto. E la cosa non ci aiuta. Questo non è un fatto: è un giudizio). Che poi non è solo un gioco di parole : i fatti distinti dalle opinioni! Molto british, oltretutto. Come l’Economist insegna anche ai più duri di comprendonio.

Ma Severgnini riguadagna subito la sponda anti-anti-italiana, e aggiunge:

L’Italia ha personalità, fin troppa, nel bene e nel male. L’«immaginario mafioso» ha riempito il cinema e la letteratura, il linguaggio e la pubblicità. Spesso sull’argomento si buttano gli stranieri; ma qualche volta noi italiani li precediamo, o li incoraggiamo. Comunque, li perdoniamo. Nessun’altra nazione avrebbe avuto l’onestà di esportare «La Piovra», o la generosità (leggerezza?) di tollerare i «Sopranos».

OK, d’accordo per quanto riguarda La Piovra, il mondo ci è debitore di eterna riconoscenza per aver mostrato a tutti e con un’insistenza maniacale il nostro aspetto peggiore, però si poteva pure evitare … Ma fin qui nulla di nuovo, l’hanno già detto in tanti. Quel che sorprende—e nel contempo illumina inopinatamente le intelligenze pigre degli osservatori distratti della realtà—è il riferimento ai Sopranos. Una fiction che allo scrivente (povero stolto!) era sembrato un capolavoro di ironia e di intelligenza, di garbo e originalità, un modo elegante per sfotticchiare non tanto gli italoamericani—che per altro vi risultano molto più simpatici di quanto non sembrino nella stragrande maggioranza dei film d’autore che narrano di mafia americana—quanto certe compulsioni a delinquere vagamente pavloviane e un horror vacui che forse sta alla base di tante nevrosi.

Quale raffinato esercizio ermeneutico è mai questo, che ci mostra una realtà capovolta rispetto a quella che vediamo, che ci fa toccare con mano i nostri limiti interpretativi e nel contempo non ci umilia, ma ci innalza alle altitudini himalayane frequentate da quell’intuizione montanelliana che si chiama Beppe Severgnini? Già, il grande Montanelli—lo scopritore e il mentore, appunto, di un siffatto talento naturale. Nessuno è perfetto, come lui ci ha insegnato. E ne abbiamo appena avuto un’altra conferma…

[Questo post è stato pubblicato per la prima volta su windrosehotel.splinder.com il 12 febbraio 2004]

Analogie imbarazzanti

Composta ma severa la risposta di Emanuele Macaluso alle insinuazioni de L’Unità sull’assetto proprietario del Riformista. Fa riflettere, in particolare, la conclusione dell’articolo :


Il tentativo di cancellare gli avversari o le testate scomode con mezzi impropri è un vizio che speravamo fosse solo un brutto ricordo.

Un lettore distratto potrebbe perfino credere che a parlare sia il Cavaliere. Questi sono, infatti, argomenti oramai classici nelle allocuzioni berlusconiane—ovviamente con riferimento alla stessa parte politica di cui si sta parlando.

Ora, spiace dirlo, ma delle due l'una : o Macaluso ha “tracimato” o il presidente del Consiglio ha qualche ragione. Scegliere è praticamente d'obbligo. Per quanto riguarda questo blog la scelta per Il Riformista è un dato incontrovertibile.

[Questo post è stato pubblicato per la prima volta su windrosehotel.splinder.com il 25 gennaio 2004]

Ezio Mauro si è dimesso!

Direttore e vice-direttore del New York Times si sono dimessi, alcuni giorni dopo aver licenziato Jayson Blair, giornalista imbroglione. Proprio come è successo a Repubblica, dove Marco Lupis (a seguito delle clamorose rivelazioni del Foglio) è stato allontanato e l’ottimo direttore Ezio Mauro ha rimesso la carica e si è ritirato a vita privata. Si narra che quest’ultimo, dopo aver letto una lettera a lui indirizzata da un blogger ficcanaso—che lo invitava nientemeno che a far finta di essere di Boston anziché di Torino—e poco incline al compromesso, profondamente scosso e in piena crisi di identità, abbia pronunciato queste poche ma sofferte parole: “Chi sbaglia paga!”

il manifesto ..., la sinistra degli altri

Due pezzi di bravura sul manifesto di oggi, il primo senza virgolette, l’altro con.

1) «Per abrogare l'immunità appena approvata, il compagno Diliberto ha lanciato l'idea di un nuovo referendum. Un'idea fulminante.» (jena)

Niente male, vero?

2) Titolo : «Dialogo tra sordi tra Berlusconi e Fini»

Modesta proposta : Dialogo tra sordi Berlusconi-Fini.

Oppure : Berlusconi-Fini : [un] dialogo tra sordi.

Se proprio non piacciono le prime due: Berlusconi e Fini, [un] dialogo tra sordi.

Chi ha qualche altra proposta?

[Questo post è stato pubblicato per la prima volta su windrosehotel.splinder.com il 19 Giugno 2003]

Il bravo regista e l'indignato mancato

Il post di un blogger del Cannocchiale mi ha colto alla sprovvista. Dunque, scopro che un famoso regista manda il figlioletto alla scuola americana-britannica, la più costosa di Roma. Fosse qualcun altro non me potrebbe importare di meno. Ma si tratta del grande girotondino, del rifondatore della sinistra, del custode della pubblica moralità. E non si può dire che questo non modifichi la questione. Piccolo elenco di misfatti : a) la preferenza per l’inglese anziché per il francese (ah, povera gauche, povero Chirac anti-Bush, che tradimento!); b) la scelta della scuola privata anziché di quella pubblica (alla difesa della quale, giustamente, la sinistra è impegnata allo stremo—si fa per dire); c) la mancata ripulsa per uno status symbol alto-borghese (è appunto la scuola più cara della capitale).

Ebbene, mio malgrado ho dovuto riconoscere che sulla faccenda l’indignazione era d’obbligo. Che sottrarsi non era possibile. Dico “mio malgrado” perché all’incirca dal primo girotondo in poi sono arrivato alla conclusione che l’indignazione è un esercizio troppo radical-chic per i miei gusti. Avevo giurato a me stesso che non mi sarei mai più indignato. E invece, a quel punto, mi toccava!
E allora ? Semplice, à la guerre comme à la guerre! Visto che sfuggire non si poteva, che indignazione fosse: lunga, tosta, aspra!

La storia potrebbe essere finita qui, ma non è andata esattamente così. Infatti, dopo qualche minuto di dura indignazione—un’esperienza inebriante e “corale”, cioè di quelle che ti fanno sentire in armonia con l’universo—ho cominciato ad avvertire una strana sensazione…, per farla breve, un irrefrenabile impulso a ridere, al quale non ho potuto resistere che pochi, interminabili e angosciosi secondi!

Sarò in contraddizione con me stesso, però, a cose fatte, dopo aver riscoperto il piacere dell'indignazione, non posso fare a meno di ripetermi : che peccato sprecare un’occasione come quella! Ma che posso farci? Evidentemente indignati di professione si nasce, non si diventa. Come grandi attori, o come bravi registi, ça va sans dire.

[Questo post è stato pubblicato per la prima volta su windrosehotel.splinder.com il 18 Giugno 2003]