June 2, 2007

Volenterosi di tutto il mondo ...

Un Giovanni Sartori piuttosto in forma ha fotografato sul Corriere di oggi i mali della nostra democrazia, e naturalmente gli sono grati soprattutto gli stranieri che si sono trasferiti da noi di recente—non tanto quelli che sono qui da qualche anno, come Alex, che ha già capito da sé come stanno le cose (vedere commenti al post precedente)—e taluni nostri concittadini che si sono appena ripresi da quella strana sindrome che Oliver Sacks ha fatto conoscere al mondo intero con un bellissimo libro, Risvegli, da cui è stato tratto l’omonimo film con Robert De Niro e Robin Williams.

Siamo di umor nero e in vena di sarcasmi? No, per carità, anche se, a dire il vero, un raffreddore e il cattivo tempo hanno mandato all’aria qualche velleità di distrazione dai mali di cui sopra … Però, appunto, non si tratta di questo. E’ vero, piuttosto, che si sarebbe un po’ stufi di leggere/scrivere sempre sulle stesse cose, anche se una buona analisi di ciò che si conosce si fa leggere sempre più volentieri di una meno buona su ciò di cui si vorrebbe capire qualcosa in più (siamo quasi al Catalano docet, lo so, lo so …).

Ok, andiamo al sodo, cosa ha scritto Sartori? Tanto per cominciare ci ha regalato una bella citazione, corredata da un commento appropriato:

Benjamin Franklin, uno dei costituenti di Filadelfia, rispose così alla domanda su cosa la Convenzione avesse partorito: «Una repubblica, se sarete capaci di mantenerla».

Appunto: se sarete capaci di tenerla in vita. Uno dei principi fondamentali di qualsiasi organizzazione — e anche la democrazia lo è — è di saper premiare e di poter punire. Se una organizzazione contiene sacche di impunibilità, queste sacche diventano lestamente aree di inefficienza e di parassitismo. Pertanto una democrazia che diventa una «repubblica degli impuniti» è sicuramente una pessima democrazia. E l'Italia sopravanza tutte le tradizionali democrazie occidentali nell'essere caratterizzata dal premiare chi non merita premi (nel settore pubblico le promozioni sono per lo più automatiche) e dal proteggere chi invece merita castighi.


Naturalmente, a proposito di castighi (non previsti dal “sistema”) e di impunità (elargite a piene mani), il Romano Prodi di ieri, cioè quello che ha chiesto al vertice dei segretari dei partiti della maggioranza il mandato per chiudere la brutta storia di Visco, non ha certo dato un contributo apprezzabile alla soluzione dei nostri problemi, anzi, e come scrive oggi Il Foglio, ha fornito “un esempio da manuale di come non si deve comportare un uomo di stato.”

Seguono, nell’articolo di Sartori, considerazioni assai condivisibili sulla «casta» ottimamente raffigurata da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, e un proposta di cui il professore (e anche noi tutti, suppongo) conosce in anticipo il destino: “Verrà seppellita dal silenzio oppure da acutissimi strilli di dolore.”

La lettura rimanda a quello che aveva scritto Stefano Folli sul Sole-24 Ore di ieri a proposito della relazione annuale del governatore della Banca d'Italia:

C'era e c'è bisogno di una «rivoluzione liberale» a tutti i livelli, nonché di serietà e di senso civico. «Un mercato rigoroso e politiche pubbliche incisive»: secondo il commento di Mario Monti. Viceversa abbiamo una classe politica impacciata a cui gli italiani credono sempre meno, salvo eccezioni.


Sì, sì, salvo eccezioni. Va bene. Però bisognerebbe che queste eccezioni si facessero sentire un po’ di più. Ma lo sa benissimo anche Folli, che infatti conclude così:

Quel che colpisce è il silenzio dei cosiddetti «riformisti». Le parole di Draghi dovrebbero essere condivise da loro fino in fondo, volendo mandare un messaggio concreto agli elettori delusi. Invece Prodi, Fassino e Rutelli sono impegnati nelle loro battaglie di vertice sul Partito democratico e la sua leadership. La coalizione si scolla e tende a rifugiarsi nel consueto immobilismo. Draghi rischia di dire cose sensate, ma perse nel vuoto.



E nel centro-destra, nella coalizione che ha trionfato alle amministrative, che si fa, che si dice, come siamo messi? Temo che abbia colto nel segno Il Riformista quando (ieri) ha scritto, per esempio, che Berlusconi

non sa che fare. La verità è questa. Non sa decidersi se dare o meno la spallata a Prodi, non sa se fare il governissimo oppure scendere in piazza, non sa se candidarsi per la quinta volta oppure passare la mano, non sa se fare la federazione delle libertà o il partito unico, non sa se ascoltare l'ala estrema di Bossi o quella più moderata di Fini. Insomma, attendismo puro, altro che grande decisionista.


Ma penso che sia condivisibile anche il resto del ragionamento, cioè il cahier de doléances che riguarda gli altri partiti della Cdl. Il che, dato che le speranze possono essere ormai riposte quasi soltanto in quel settore dello schieramento politico, è piuttosto frustrante.

E allora? Beh, indubbiamente ci sarebbe bisogno di uno scatto di reni, di un sussulto di responsabilità e di coraggio. D’accordo, non sarà una conclusione originale per un post, ma che altro si può dire? Vabbè, forse si può essere più precisi: a volerla dire proprio tutta, innanzitutto bisognerebbe togliersi dalle spese il governo Prodi, e subito dopo avviare una fase creativa, fuori dagli schemi, super partes, mettendo insieme tutti coloro che sono intenzionati a realizzare sul serio la «rivoluzione liberale» di cui parlava Folli e che non è più rinviabile. E poi tornare a votare, destra contro sinistra, come in un qualsiasi paese normale. L’ho detto (ma non mi aspetto applausi).

E adesso decisioni collegiali!

Quando si dice Jena!

DECISIONISMO
L’altro ieri aveva detto: «O decido io o me ne vado». Ieri ha detto: «Adesso decisioni collegiali». Domani dirà: «Scusatemi, potreste gentilmente dirmi cosa avete deciso?».