March 19, 2008

Paura della religione?

Alan Patarga sul Tibet: un articolo pubblicato sul Foglio di oggi e poi ripreso sul blog. Di che riflettere.

C'è una rosa che profuma di buon senso ...

Dunque, questa è una campagna elettorale più civile, sostanzialmente caratterizzata da un certo reciproco rispetto tra i due maggiori partiti. E’ un segno dei tempi che si unisce ad altri segnali positivi, che qui abbiamo più di una volta rilevato con soddisfazione. E i meriti—per dirla senza giri di parole—vanno spartiti equamente tra Veltroni e Berlusconi. Bene, insomma. Anzi, molto bene.

Questo, però, è un discorso che non vale tanto per i contenuti della campagna stessa, quanto per tutto ciò che potremmo definire “il contesto,” vale a dire le scelte che hanno determinato le forme e i modi dei “contenitori,” la rinuncia ad alcune ambiguità che erano presenti nelle vecchie coalizioni e che erano diventate sempre più insopportabili. Anche se, d’accordo, l’abbraccio (mortale?) tra Veltroni e Di Pietro da una parte, e l’incorporamento della Mussolini e del Ciarrapico dall’altra, rappresentano dei mezzi passi falsi (al contrario della scelta veltroniana di aprire ai radicali, che è strategica e perfettamente comprensibile, anche se dovrebbe indurre molti cattolici ad emigrare in più spirabil aere, detto ovviamente con il massimo rispetto per i cosiddetti “laici”).

I contenuti, si diceva. Già, ci sono anche quelli, per quanto sappiamo che pure con i suddetti si può giocherellare, in un Paese espertissimo nel famoso gioco delle tre carte. Però, però c’è un limite a tutto. Insomma, abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno e, per così dire, togliamoci dalla palude.

C’è una questione, innanzitutto, che meriterebbe un po’ più di onestà intellettuale e di chiarezza, E’ la questione per eccellenza: la riduzione della pressione fiscale. Ci sono diagnosi largamente condivise sia dal Pdl di Berlusconi sia dai Democratici di Veltroni, ma … (e qui è d’obbligo una citazione):


nessuno dei due è convincente e puntuale sulla cura da attuare ed, inoltre, sorvolano sulla caratteristica più deleteria del tessuto economico italiano: il sommerso, ossia quell’ingente quantità di ricchezza che, prodotta in nero, sfugge alle statistiche (reddito nazionale) e, cosa ancora più grave, non partecipa alle entrate dello Stato, né come Irpef e neppure come contributi sociali, essendo strettamente legata a quel lavoro nero,svolto spesso da cittadini extra comunitari irregolari, che qualcuno pretende di espellere perché non in grado di dimostrare di avere un reddito e di un lavoro stabile, quindi il danno e la beffa, sfruttati e perseguitati.


L’addebito, onestamente, mi sembra giustificato. Così come considero convincente il seguito del ragionamento, cioè la pars construens, di cui cito solo una parte:


La quadratura del cerchio l’ha escogitata Bruno Tabacci, leader della Rosa Bianca che, differenziandosi dalla soluzione proposta da Visco e Tremonti, che prevede un incremento dell’organico della Guardia di Finanza, punta su un sistema già sperimentato in diversi paesi occidentali, tra cui gli USA, consistente nell’innestare un conflitto d’interessi tra i contribuenti. Agisce utilizzando, per diminuire la pressione fiscale sugli onesti, le deduzioni fiscali di tutto o di parte delle spese che le famiglie sostengono, e per le quali c’è rivolta la solita subdola domanda: le serve la fattura? se non le serve le faccio risparmiare l’IVA. Non vi elenco i gentiluomini che ci fanno questa proposta, ci siamo passati tutti quanti è sappiamo bene di chi stiamo parlando.


Orbene, se tanto mi dà tanto, e considerata la centralità della questione, mi limito ad osservare che l’ipotesi di un voto disgiunto Camera/Senato mi riesce abbastanza congeniale. E non per la ragione che sembra persuadere di più alcuni ex democristiani nostalgici del “partito cattolico.” Tutt’altro, direi. Qui si cerca semplicemente di dar retta al buon senso. Perché non occorre essere degli economisti per capire che il ragionamento di Tabacci “va al dunque,” al contrario di quello di tanti altri.

E Benedetto colui che ruppe il silenzio



Ne ero certo, e per questo ho resistito alla tentazione—fortissima, lo confesso—di scrivere uno di quei post che non sai se definire più presuntuosi, ingenui o in buona fede che cominciano con un classico “Santità,” per poi proseguire più o meno così: “Capisco che non è semplice, che ci sono un mucchio di cattolici cinesi che rischiano, rischiano di brutto, ma La supplico, dica una parola …” (e comunque sarebbero state parole che venivano dal profondo del cuore, da amico ad amico, se posso permettermi, perché l’amicizia ti fa osare, sempre, se è autentica).


Ora questa parola è stata detta, e non possiamo che pregare Dio che venga ascoltata: i miracoli talvolta accadono, questo lo crediamo, perché altrimenti, come cristiani e cattolici, saremmo debolucci assai. Questo lo crediamo perché se così non fosse saremmo tutto, all’infuori di ciò che diciamo di essere. Questo lo crediamo perché … crediamo. Ed anche, un po’, perché paradossalmente, a volte, niente è più razionale, cioè giusto e lungimirante, che lasciare semplicemente, deliberatamente, che i miracoli accadano.