October 25, 2006

Souad Sbai, un ottimo acquisto per l'Italia

Su Avvenire, ieri, ha detto la sua sul velo Souad Sbai, presidente della Confederazione delle comunità marocchine in Italia e membro della Consulta islamica. In sintesi, secondo lei, il velo:

1) non è affatto parte integrante della religione e della cultura islamica;
2) non è neppure quel simbolo del pudore e della modestia delle donne musulmane che si vuole far credere, al contrario, è l'esibizione di un messaggio politico e di potere;
3) ha la funzione precisa di isolare le donne musulmane, di impedire che entrino in relazione con la società, di tenere lontano «l'infedele».

Ragion per cui, proibire l'uso del velo nelle scuole e nei luoghi di lavoro non è per niente una prepotenza che di fatto incoraggia lo scontro di civiltà.

In realtà, misure come queste vanno nella direzione opposta: tendono una mano alla parte più viva e avanzata delle comunità musulmane. In Francia dall'anno scorso c'è una legge che vieta l'uso del velo nelle scuole pubbliche. Dopo le proteste scatenate dai fondamentalisti nei primi tempi, i sondaggi dicono che la stragrande maggioranza delle allieve e delle donne delle comunità si sono apertamente schierate a favore della legge. Ora ci sentiamo più libere, confessano: più libere di parlare, di vivere, di essere noi stesse.
[…]
[L]'imposizione del velo rivela una concezione del mondo che non vela soltanto la donna ma anche l'uomo, la società, la mente. Che mortifica la sua parte migliore, la sua storia di civiltà e di creatività.

Souad Sbai, a modesto avviso di chi scrive, è una di quelle persone che l’Italia può dirsi onorata di avere accolto. Di lei mi ero occupato già un’altra volta su questo blog. La signora Sbai, tra l'altro, è stata recentemente ospite a Otto e mezzo (il link porta alla pagina contenete una sintesi e la registrazione della trasmissine) ed ha intrattenuto un interessante carteggio con Emma Bonino. Mi riprometto di tenerla d’occhio anche in futuro.

Murder in the Himalayas


Buddhist monk Thubten Tsering was one of the 75 Tibetan who, on September 30, were making a secret trek across the border into Nepal, moving in single file across a mountain slope near the 19,000-foot-high Nanpa La Pass, when Chinese border guards opened fire. “There was no warning of any kind, […] the bullets were so close I could hear them whizzing past. We scattered and ran,” he told reporters in Delhi on Sunday.”

Now that the accounts of survivors, now safely in India, can be pieced together with those of the mountaineers who witnessed the shooting and with the video footage taken by a Romanian cameraman who was at advance base camp on Mount Cho Oyo at the time, the full story of what happened that day in the Himalayas has emerged. Read The Independent article here for details.