December 31, 2007

Benedetto futuro


Il momento è solenne: finisce il 2007, sta per iniziare il 2008. Embè, direbbe chiunque a questo punto, che c’è di così solenne? Da quando si festeggia il capodanno, il passaggio è di routine, pura convenzione festaiola, semplice scusa per far baldoria. Vero, ma è anche il momento in cui si tentano dei bilanci, ci si guarda un po’ dentro, ci si interroga sul «futuro», questo incubo del nostro tempo—o almeno così è per molti, a torto o a ragione.

Prendiamo ad esempio due piccoli pezzi di bravura come le riflessioni di fine anno di Barbara Spinelli e Lucia Annunziata, entrambi su La Stampa di oggi. Della prima è ammirevole questa frase, che meriterebbe di diventare una massima da collezione:


La storia non si fa con i se ma il futuro sì, è sempre ancora nelle nostre mani farlo andare in una direzione o l’altra.

Da proporre senz’altro per Bartlett’s Quote-a-Day. Segue persino una spiegazione, del tipo “istruzioni per l’uso,” perché non si sa mai, giustamente, in mano di chi andranno certe perle di (laica) saggezza:

Bisogna trovare un equilibrio naturalmente, tra la presunzione dell’onnipotenza e la passività di chi crede che le cose accadano o non accadano senza il nostro concorso.

Grazie, dunque, signora Spinelli. Ora abbiamo il viatico che ci mancava per l’anno nuovo.

Di Lucia Annunziata—che è un’italiana quasi del tutto americanizzata nel tipo di approccio alla sua professione, e questa è una bella cosa—è apprezzabile il linguaggio diretto e tutto il ragionamento, a partire dall’idea centrale: il ‘68 è acqua passata, e dunque “Good By sixties—la pace sia con voi.” Anche qui, ovviamente, ci sta un bel «grazie, signora Annunziata», perché, se anche la “scoperta” non è da premio Nobel, ci si rende benissimo conto che non è mica facile scrivere queste cose quando si ha un certo background. E questo nonostante il fatto che, indubbiamente,


le star italiane di quei tempi accusano qualche mal di testa. Paolo Mieli, direttore due volte del Corriere, il più importante giornalista uscito dalle fila degli Anni Sessanta, è oggi un astro dell'establishment italiano, Ferrara fa la dieta contro l'aborto, D'Alema vive elegantemente fuori dal Paese, Capanna si occupa di Omg, Sofri è un gentile signore che dispensa saggezza, e tutti noi ci guardiamo allo specchio venti chili e quarant’anni più tardi. Più grassi, più comodi e più che mai convinti di noi stessi - in completo diniego del nostro transito su questo palcoscenico.

Non è toccante questa foto di gruppo quarant’anni dopo—esatto, nel 2008 saranno 40 tondi tondi!—, ciascuno coi suoi “mali di testa,” le panze e il grigio inesorabile dei capelli? Toccante e lacerante, forse, almeno per coloro i quali di una speranza come questa—una speranza che salva!—pensano di poter fare a meno, e fanno in effetti a meno. A tutti gli altri, invece, magari il futuro preoccupa un po’ meno, perché c’è sempre quella “pazza idea” che, comunque, la strada porta laddove la fede e l’impegno personale dei singoli—che tutti insieme fanno una gran bella squadra!—è giusto che portino: un mondo nuovo, più giusto, più «gentile» e «più tutto» è non solo possibile, è una promessa precisa, un impegno assunto in circostanze inequivocabilmente … impegnative. Sì, si può obiettare, ma quando? Ok, oltre il tempo e lo spazio, certo, ma anche hic et nunc. Non dimenticare: il centuplo quaggiù e l’eternità (cfr. Mc 10, 29-30). Altro che paura del futuro! Altro che il terrore di andare oltre quella che è stata una breve stagione, the Sixties, appunto, la generazione dei baby boomers, della quale Annunziata canta il malinconico ma ineluttabile tramonto!

Ora, con questo non si vuol rivendicare alcunché e, men che meno, sbertucciare alcuno, semplicemente si vorrebbe far sommessamente presente per quale ragione alcuni non sono più di tanto afflitti per il futuro, cui anzi vanno incontro con animo sereno, per dir così, e si sentirebbero in colpa qualora dovessero cedere anche per un solo istante al pessimismo e al «malessere» di cui ha parlato il New York Times.

Comunque, Buon Anno a tutti. A prescindere, è chiaro.
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P.S.: A risentirci tra qualche giorno.

December 30, 2007

Ferrara e l'Innominabile

San Michele sconfigge Satana, Raffaello Sanzio, 1518 - Parigi, Musée du LouvrePuò un giornalista “benintenzionato” ma “spregiudicato” farla a Giuliano Ferrara e ricevere in cambio—oltre che un amichevole buffetto di rimprovero—un po’ di pubblicità gratuita al suo sito Web? Certo che può, a patto che Giulianone utilizzi il blog di Camillo e che l’autore dello scherzetto riveli al mondo che il Cardinale Lopez Trujillo, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha inviato una lettera di incoraggiamento al direttore del Foglio per la sua proposta di “moratoria sull’aborto.” E che il "reo" in oggetto fornisca informazioni dettagliate su quel che Ferrara pensa (forse senza saperlo) di certe trame oscure ordite da un personaggio ingiustamente trascurato dalle cronache, nonché dai teologi e da un sacco di preti, ma non da Benedetto XVI, che al contrario ha deciso di occuparsene approfonditamente e con la massima determinazione—salvo smentite poco convincenti.

December 29, 2007

La dieta speciale di Giuliano Ferrara

Giuliano Ferrara si sta dando parecchio da fare a sostegno della sua proposta di “moratoria sull’aborto.” Su Camillo, come molti già sapranno (qui, tra un cambiamento "strutturale" del blog e un altro, ci s’era dimenticati di darne notizia), il direttore del Foglio tiene un diario della “dieta speciale” che sta seguendo per richiamare l’attenzione sulla questione:

Una dieta speciale per la moratoria sull’aborto. Perché siano garantiti fondi al movimento per la vita e ai centri di assistenza che lavorano contro l’aborto, come ha chiesto ieri il giornale dei vescovi e come dovrebbero chiedere i giornali borghesi e laici. Una dieta semplice, che consiste nell’assumere soltanto liquidi dalla vigilia di Natale (dalla mattina della vigilia di Natale) al primo dell’anno (alla mattina del primo giorno del 2008). Non lo chiamo digiuno perché sono grasso, sebbene io pensi in generale di essere felicemente grasso e di recente mi senta un grasso molto in forma, orgoglioso di avere lo stesso peso corporeo (quello mentale è un altro paio di maniche) attribuito a Tommaso d’Aquino.

La dieta, dunque, scade il primo gennaio, e così il diario, si presume, quindi c’è ancora tempo per leggere e per riflettere. Retrospettivamente segnalo la risposta a un’intervista di Carlo Maria Martini a Europa, in cui il cardinale che ha scelto di vivere a Gerusalemme se la prende con gli «atei devoti». Nell’occasione Ferrara insiste sull’idea di “festeggiare il quarantennale della Humanae vitae, e comunque la vita e la famiglia, con cinque milioni di pellegrini a Roma, nella prossima estate,” il che, a suo avviso, “sarebbe un eccellente segno di contraddizione e di modernità della chiesa cattolica.”

December 28, 2007

You may not be interested in war ...

Michael Barone on Benazir Bhutto's Tragic Death:

Her death is a reminder that we really do live in a dangerous world. Pakistan is a nuclear power with a military and a secret service that seem laced with supporters of Islamist terrorism. Many Americans would like to go back on holiday from history. But as Leon Trotsky is supposed to have said, “You may not be interested in war, but war is interested in you.” I suspect that this tragic event will have an effect on the campaign going on so hot and heavy right now in Iowa and New Hampshire.

Emergenze nazionali

Che uno non possa occuparsi di tutto, ad esempio tenersi informato, riflettere, confrontare e formarsi opinioni su qualsiasi emergenza, è un fatto di cui occorre farsi una ragione, anche se a volte dispiace molto. Una delle questioni che sicuramente meriterebbero di essere studiate e approfondite accuratamente è l’emergenza rifiuti di quella bellissima regione italiana che è la Campania. Che poi uno, dopo qualche inutile tentativo di capirci qualcosa, si arrenda e aggiunga questa alla lunga lista delle cose di cui ha smesso di occuparsi, è appunto motivo di frustrazione e di rammarico. Poi, d’accordo, c’è una remora che potremmo definire imbarazzo, ma questo è un fatto privato. Comunque ho letto una cosa che mi è sembrata utile: non dico a capire, perché solleva quasi soltanto domande, ma insomma è meglio che niente.

December 27, 2007

Benazir Bhutto assassinata

Benazir Bhutto, ex primo ministro pakistano e presidente del Pakistan People Party (PPP), è stata assassinata da un kamikaze a Rawalpindi. L'attentato è stato rivendicato da Al Qaeda. Disordini in tutto il Paese.

December 23, 2007

Merry Christmas!


And now, folks, it’s time to remind ourselves what the spirit of Christmas is all about. The following lovely ballad from Johnny Cash—not heard very often—is just an idea …


Ed ora, gente, è arrivato il momento di ricordarci che cos'è veramente lo spirito del Natale. La ballata che segue—pochissimo conosciuta—del grande Johnny Cash è soltanto un'idea ...


MERRY CHRISTMAS TO YOU ALL!

BUON NATALE A TUTTI!



Christmas As I Knew It

One day near Christmas when I was just a child
Mama called us together and mama tried to smile
She said you know the cottoncrop hasn't been too good this year
There's just no spending money and well at least we're all here
I hope you won't expect a lot of Christmas presents
Just be thankful that there is plenty to eat
That's quite a blessing that'll make things a little more pleasant
And us kids got to thinking how really blessed we were
At least we were all healthy and best of all we had her
Roy cut down a pigapple tree and we drug it home Jack and me
Daddy killed a squirrel and Louise made the bread
Reba decorated the tree with popcorn strings before we went to bed
Mama and daddy sacrificed cause this Christmas was lean
But after all there was the babies Tom and Joanne babies need a few things
I whittled a whistle for my brother Jack and though we fought now and then
When I gave Jack that whistle he knew I thought the world of him
Mama made the girl's dresses out of flower sacks
And when she ironed them down you couldn't tell that they hadn't come from town
A sharecropped family across the road didn't have it as good as us
They didn't even have a light and it was way past dusk
And mama said well I bet they don't even have coaloil or beans to boil
A log apples cranges and such
Me and Jack took a jar of coaloil nd some hickernuts we'd found
We walked to the sharecropper's porch and set 'em down
A poor old ragged lady eased open the door
She picked up the coaloil and hickernuts and said
I sure do thank ye and quickly closed the door
We started back home me and Jack and about halfway we stopped looked back
And in the sharecropper's window at last was a light
So for one of the neighbors and for us it was a good Christmas night
Christmas came and Christmas went Christmas that year was heaven sent
Then daddy put on his gumboots waited for the thaw back home in Dyess Arkansas.

December 21, 2007

Silent Night



Imagine a snowy Christmas Eve, a small church in a little mountain village, deep inside a pine forest. Inside the church a kids choir is singing an unknown but amazing song:

Stille Nacht! Heil'ge Nacht!
Alles schläft; einsam wacht
Nur das traute hoch heilige Paar …


This is, more or less, the kind of experience the villagers of Oberndorf, Austria, must have had some two centuries ago. On that Christmas Eve, a song was born that would have been translated into hundreds of languages, and is now sung by countless millions every December all over the world.

As Christmas historian Bill Egan puts it, the German words for the original six stanzas of the carol we know as “Silent Night” were written by assistant pastor Fr. Joseph Mohr in 1816. On December 24, 1818 he journeyed to the home of musician-schoolteacher Franz Gruber. Joseph showed Franz the poem and asked him to add a melody and guitar accompaniment so that it could be sung at Midnight Mass. The rest is history.

Tomorrow is the fourth Sunday of Advent. To live it properly, I thought the listening of the carol might be helpful. But, to point out the universality of “Silent Night,” how about Enya’s Irish version going along with the images of a Christmas Tree at Lagoa Rodrigo de Freitas, Rio de Janeiro?


A proposito di moratoria

Trasferita dal piano morale a quello legislativo, la denuncia angosciata e scandalizzata della “morte legale” procurata dall’aborto non può approdare a una irrealizzabile, metafora a parte, “moratoria dell’aborto”, bensì solo alla conservazione o al ripristino della “morte illegale”, cioè della clandestinità dell’aborto e della persecuzione penale delle donne in carne e ossa. Che non è, finora, l’orizzonte dichiarato del redattore dell’appello, e mi auguro che non lo diventi mai.

Questa la conclusione della “Piccola posta” di Adriano Sofri sul Foglio di ieri (e ripubblicata oggi in seconda pagina). La risposta di Giuliano Ferrara è uno degli editoriali di oggi. Sono due piccoli capolavori, e soprattutto sono la dimostrazione di come può e, forse, dovrebbe essere il dialogo su una materia come l’aborto tra persone che la pensano in maniera diversa. Cito solo la conclusione del direttore del Foglio, con la quale concordo e nella quale mi riconosco in maniera sostanziale.

Quanto al ripristino della morte illegale e della persecuzione legale verso le donne incinte, sai bene e lo scrivi che non ci penso nemmeno. Ma una drastica rottura nell’accondiscendenza vile, sottolineata dall’ipocrita e soddisfatta campagna sui diritti umani universali in tema di pena di morte, obliosa dell’essenziale, ci vuole. Io la chiamo moratoria. Tu chiamala come vuoi, nell’amicizia di sempre.

December 20, 2007

E che la Forza sia con voi

Per la prima volta, da molto tempo a questa parte, il dibattito politico è tornato ad essere interessante—oltre che, come al solito, estenuante, ma a questo, purtroppo, non c’è rimedio—, e tuttavia, della “pregnanza” del momento non tutti si sono accorti, a giudicare dai commenti che si ascoltano e leggono in giro (anche nella blogosfera). Qualcuno, come lo stolto del proverbio orientale, a chi gli indica la Luna muove obiezioni sul dito. Veltroni e Berlusconi, ciascuno alla sua maniera, hanno il merito di aver restituito alla politica il ruolo centrale che le spetta, ma c’è chi continua a far finta di niente, probabilmente perché non si è ancora reso conto che un’era è irrimediabilmente finita.

Di Berlusconi e della svolta che, piaccia o no, ha impresso al centrodestra, si è già parlato su questo blog, e non credo, per quel che mi riguarda, di aver molto da aggiungere. E’ di Veltroni, invece, che qui non s’è detto ancora (quasi) nulla, e dunque è ora di colmare la lacuna. Da cosa cominciare? Beh, dall’intervista al Foglio di martedì scorso (che ieri, in un ritaglio di tempo, ho riprodotto qui in vista di questo post), cui è stato appioppato un titolo ambizioso: “Il manifesto politico di W.” Scelta azzeccata, direi. Quello che più di tutto colpisce, nell’intervista, è la capacità di «visione», e questa, lo confesso, è una sorpresa (per me), per quanto piacevole. E’ visione—corroborata da una buona dose di coraggio—il ragionamento sull’«identità» (“figlia della storia, delle culture, delle radici, delle ragioni,” cioè “un valore”), sul rapporto tra stato laico e punto di vista religioso (“riconoscimento della rilevanza nella sfera pubblica e non solo privata delle religioni e delle varie forme di spiritualità”) e sulla bioetica (“non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito”). E’ visione l’approccio ad un tema particolarmente spinoso della politica estera quale l’«esportazione della democrazia»:


«Credo […] che non si possa avere un atteggiamento ideologico di contrapposizione all’idea che la democrazia possa nascere da un sostegno esterno, quando non nasce spontaneamente. Se mi si chiede cosa hanno fatto i soldati americani i cui corpi sono sepolti ad Anzio e a Nettuno, io risponderei così: “Hanno cercato di portare la libertà e la democrazia in un continente dove la libertà e la democrazia ce l’eravamo giocate.”»
[…]
«Rispetto a Saddam Hussein sicuramente le cose stanno migliorando. Quando si vive sotto una dittatura è chiaro che quando la dittatura finisce le cose migliorano.»

E’ visione il giudizio su Berlusconi:


«Io considero quello di non aver capito Berlusconi un sottosistema di un problema più grande, cioè il fatto di non aver letto le trasformazioni della società. Berlusconi è stato in grado, per esempio, nel rapporto con l’imprenditoria di dare voce a un’Italia che voleva rompere un po’ di lacci sulla quale ha messo una cosa che a me non piace culturalmente, e cioè una visione del mondo egoista, se vogliamo, individualista della crescita sociale. Combattere la politica di Berlusconi è stato ed è giusto, ma l’errore della sinistra è stato naturalmente quello di demonizzarlo.»

Ed sono visione i riferimenti all’«impazzimento giustizialista» dell’epoca di Tangentopoli (ma in questo è stato preceduto da Fassino e D’Alema), alla “Cosa bianca,” al partito senza correnti, a Nicolas Sarkozy e a Bernard Kouchner, e soprattutto il discorso sulle riforme, sulla necessità che il Pd corra da solo e l’auspicio che altrettanto facciano gli altri. Si può essere d’accordo o meno, in tutto o in parte, ma non si può negare che Veltroni sta dimostrando di essere un leader e di voler diventare uno statista, perché sono appunto il coraggio—di sfidare l’impopolarità e di farsi dei nemici, dentro e fuori il suo partito—e la visione ciò che fa veramente la differenza, e statista è colui che riesce a perseverare e a mantenere la rotta a qualunque costo quando è convinto di essere nel giusto, ma di questo, ovviamente, Veltroni deve ancora dare dimostrazione, anche se sembra sulla buona strada.

Del resto, come si legge oggi sul Corriere, pare che Walter Veltroni sia costretto a ripetere sempre più spesso, negli ultimi tempi, una frase significativa: «Guardate che io non mi faccio bruciare a fuoco lento». Significativa e sintomatica. Nel pezzo di Maria Teresa Meli si legge che Massimo D'Alema, in un'intervista a Vanity Fair, mette in guardia Veltroni dal fare una legge elettorale su misura di Pd e Forza Italia. E’ uno stop vero e proprio, scrive la Meli, e penso che abbia ragione. E non c'è solo D'Alema, chiarisce la Meli, a mettere i bastoni fra le ruote, c'è anche Piero Fassino (“i fassiniani si sono incontrati in gran segreto l'altro giorno …”).

C’è da sorprendersi? Macché, semmai ci sarebbe da sorprendersi del contrario: è una lotta per la sopravvivenza politica, cioè un diritto esercitato da tutti coloro che fanno politica (questo va detto per stoppare preventivamente gli ipocriti, che sono una brutta razza). Dunque non c’è da stracciarsi le vesti. Bisogna piuttosto sperare che Walter tenga duro, e che tenga duro anche Silvio. E che entrambi escano vincitori da una “guerra” che sarà senza esclusione di colpi. Ma questa è sempre stata la politica.

Il futuro, come è normale che sia, è nelle mani dei leaders dei due maggiori partiti: sta a loro dare all’Italia la grande riforma attesa da decenni. Sistema tedesco o francese, importa relativamente poco, quel che conta è innanzitutto un sistema elettorale che ci consenta di andare oltre il bipolarismo che abbiamo conosciuto e che ha fallito miseramente, e poi realizzare le riforme istituzionali che meglio si coniughino con la legge elettorale che si sceglierà. Senza pasticci e, possibilmente, volgendo la prua verso un tendenziale bipartitismo—nulla da spartire col bipolarismo, of course—che, ovviamente, non potrà suscitare gli entusiasmi dei “nanetti” di sartoriana memoria. E che la Forza sia con voi.

December 18, 2007

Ayman al-Zawahiri: che gli ha preso?

Ayman al-Zawahiri, l’ideologo di al-Qaeda e il vice di Osama bin Laden, è infuriato con il mondo intero (o quasi). Infatti, in una lunga intervista messa su Internet lunedì da al-Sahah, il dipartimento informazioni di al-Qaeda, ha innanzitutto attaccato il re saudita Abdullah e Benedetto XVI, il primo per es­sere andato in udienza dal secondo, il quale è pur sempre «il Papa che ha offeso l’islam», e dunque dovrebbe essere considerato infrequentabile da tutti i buoni musulmani.

Ma un momento prima, nel medesimo video, al-Zawahiri ave­va malmenato gli ule­ma che oggi vietano ai musulmani di com­piere contro gli americani quel jihad che avevano considerato un do­vere, in altri tempi, quando avevano a che fare coi russi.

Nel video, inoltre, ce n’è anche per l’Iran, che sarebbe in combutta con gli Stati Uniti per spartirsi l’Iraq. Per al-Zawahiri, praticamente, le minacce rivolte da Ahmadinejad ad Israele sarebbero «pura propa­ganda». La ciliegina sulla torta, infine, è un attacco ad al-Jazeera, sia pure senza nominare esplicitamente la famosa emittente araba.

Che cosa gli ha preso? Per capire, la cosa migliore è leggere attentamente un paio di articoli pubblicati su Avvenire e sul Messaggero di oggi. Il primo riporta l’opinione di padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della San­ta Sede e di monsignor Gian­franco Ravasi, presidente del Pontifi­cio Consiglio per la Cultura. Il secondo l’ha scritto di suo pugno il generale Carlo Jean.

Ecco cosa dice padre Lombardi:
«I contatti di dialogo portati avanti da autorevoli esponenti musulmani co­me il re d’Arabia e i 138 teologi e in­tellettuali islamici sono un fatto significativo per tutto il mondo musulmano. Si trat­ta di voci che vogliono esplicitamen­te impegnarsi per la pace. […] Queste vo­ci hanno una importan­za crescente e questo evidentemente preoccupa chi questo dialogo non vuole».

Ed ecco l’opinione di monsignor Ravasi:
«Che ci siano quelli che vogliono sicu­ramente il duello e lo scontro, noi lo sappiamo ed è una costante: questo at­teggiamento è la via più semplice che vuole evitare qualsiasi incontro, qual­siasi comprensione, qualsiasi forma di umanità. […] D’altra parte bisogna dire che queste persone non rappresentano as­solutamente l’orizzonte intero di mol­ti credenti, anche dell’islam».

Sul Messaggero, invece, Carlo Jean spiega molto bene come si sono messe le cose per “la vera perdente,” vale a dire al-Qaeda, che “non è riuscita a trasformare l’Iraq in un Vietnam, per indurre gli americani al ritiro, lasciando mani libere ai radicali ed aprendo la strada alla loro presa di potere anche in Arabia Saudita.” Non solo, il bilancio in Iraq, dove evidentemente il surge e il nuovo approccio politico del generale Petraeus e dall’ambasciatore Crocker stanno dando ottimi risultati, è semplicemente disastroso (per al-Qaeda, of course):
forte diminuzione del numero delle vittime; deflusso dei jihadisti stranieri; ritorno di rifugiati e sfollati; accordi fra i capi tribù sunniti e gli Usa per la costituzione di reparti per un totale di 65.000 soldati, a cui vanno aggiunti altri 12.000 dei battaglioni tribali di protezione; nuova legge sulla de-baathizzazione, che consentirà il recupero di funzionari preparati; frammentazione del fronte sciita a danno degli elementi filo-iraniani; tentativo di accordo con i sunniti del pittoresco Moqtada al-Sadr, ed altri ancora.

Ma segnali altrettanto negativi per al-Qaeda provengono anche dall’esterno dell’Iraq:
la conferenza di Annapolis, a cui ha partecipato anche la Siria, isolando Iran, Hezbollah e Hamas; migliori rapporti fra gli Usa e l’Iran, consolidati dalla pubblicazione del rapporto Nie, che sdrammatizza la minaccia del nucleare iraniano, aprendo la strada ad accordi fra i due Paesi; invito ad Ahmedinajad da parte del re saudita Abdullah di partecipare alla Hajj, il pellegrinaggio annuale che, dal 18 al 20 dicembre, riunirà oltre due milioni di pellegrini nei Luoghi Santi dell’Islam.


Insomma, non c’è da meravigliarsi che lorsignori siano imbestialiti. E che siano disperatamente alla ricerca di qualche via d’uscita.

''They lose. We win''

This is what I'd like my Country's future leader to look like, but at the moment I'm pleased with the fact that Rudy is the most prominent candidate for president of the United States of America:



Giuliani's remarks in Tampa, Florida.

Click here to read the full transcript of the speech.
[Hat tip: rudy08.blogspot.com]

December 16, 2007

What the New York Times doesn't say (updated)


“All the world loves Italy because it is old but still glamorous,” as Ian Fisher wrote in his report on the Bel Paese, published in the New York Times last Thursday. But these days, he added,

for all the outside adoration and all of its innate strengths, Italy seems not to love itself. The word here is “malessere,” or “malaise”; it implies a collective funk — economic, political and social — summed up in a recent poll: Italians, despite their claim to have mastered the art of living, say they are the least happy people in Western Europe.

This is quite true, as well as the rest of Fisher’s wide-ranging report. The malaise is generalized, though, for instance, unemployment is low, at 6 percent, and the Country “does have Ferrari, Ducati, Vespa, Armani, Gucci, Piano, Illy, Barolo—all symbols of style and prestige.” I would say that, in addition, Italy also has hundreds of thousands of highly competitive small enterprises, scattered throughout the national territory, which are the real strength of this Country, but perhaps it’s easier for an American journalist to refer to the above mentioned and well known “symbols of style and prestige,” rather than to spend extra time trying to give account of what is going on throughout the Country. Well, to tell the truth, the Author gives credit to Peter Kiefer, who contributed reporting from Trieste, but the state of the art of the chair-making sector isn’t perhaps as representative as it could seem at the first sight.

Yet, the “malessere” is generalized. It’s mainly a psychological malaise, due to essentially political causes, namely the result of a massive political failure, as shown by La Casta (“The Caste”)—a book, as Fisher fairly noted, which sold a million copies “by exposing the sins of Italy’s political class and how it became privileged and unaccountable.”

But Fisher doesn’t fail to mention and to give scope to the hero of the moment, Beppe Grillo, a comic actor, comedian & blogger who, even though with a reputation for eccentricity, has always been politically engaged, especially in defiance of political uses/abuses, corruption, ineptitude, inefficiency, etc. One of the battles Grillo is being fighting in these days is directed not so much against the politicians as against the system of parties in itself.

What is not so intelligible is that the report fails to mention that both La Casta and Beppe Grillo are somehow being successful in forcing the system to reform itself. Which would be a good reason to be cautiously optimistic about the future of this Country. Whatever Beppe Severgnini, as well as other famous Maîtres à penser providentially interviewed by the NYT, might think about the whole matter.
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UPDATE December 27, 2007
On December 21, Giuliano Amato, the Minister of the Interior of Italy, wrote to The New York Times in response to the article by the NYT’s Rome correspondent Ian Fisher. Amato argued that Italy is doing fine, the article’s view was “only a parody:”

Take a look at the data. According to the most recent research by Mediobanca, Italy hosts a “fourth generation capitalism” with an export growth rate in the last decade of 6 percent (11 percent in 2007) and a growth in revenue of 5 percent. The industries concerned have become multinationals, with investments in China, and by now represent 33 percent of our productive system.
In trade, Italy has lost position in terms of volume, but not in terms of value. We have started to export higher value products, with higher quality, more research and innovation. This applies not only to fashion, wine and furniture, but also to helicopters, cruise ships, motorcycles, car components, and high-tech machinery.

Mr. Fisher, in turn, answered him, and, in general, discussed the reaction to his article in Italy with The Lede. He quoted for himself, among others, no less than Rev. Raniero Cantalamessa, the preacher for the pope and the papal household Just today, and Umberto Eco, Italy’s most prominent writer and essayist. But he knows that, “for as long as I am here, […] I will be known as ‘the guy who wrote that story’—and people will either like me or hate me for it.”

December 14, 2007

Aiutaci, Italia!

Angela Merkel, di fronte alle proteste cinesi, lo aveva detto senza giri di parole: «Nella mia veste di cancelliere federale, decido io chi ricevere e dove». Prodi, evidentemente, è fatto di un’altra pasta. Ma, come diceva don Abbondio, uno il coraggio, se non ce l’ha, non se lo può dare, e quindi, anche se Della Vedova ha ragione («Prodi si vergogni: non era all'estero, lo ha evitato»), non è il caso di farne un dramma. Mettiamoci una pietra sopra, dunque, e smettiamo di torturarci.

Del resto non vogliamo ascoltare il consiglio buddista che il Dalai Lama ha impartito ai parlamentari che l’hanno ascoltato oggi a Roma? «Amore e buon umore, calma e compassione—ha detto—riducono lo stress, perché l'odio e la diffidenza fanno male al corpo e all'anima». Vabbè, l’odio, in ogni caso, lo lasciamo agli irriducibili anti-Cavaliere, ché qui non ne saremmo capaci neanche se volessimo. Diciamo, piuttosto, niente malumori, arrabbiature selvagge e mancanza di carità cristiana, e così riduciamo lo stress e stiamo in salute.

Più o meno allo stesso modo, cioè da vero buddista, sembra essersi regolato Massimo D’Alema, che pure avrebbe avuto un buon motivo per essere risentito nei confronti di Tenzin Gyatso, e invece ha reagito con grande equilibrio e saggezza. Giudicate voi: innanzitutto ha chiarito, doverosamente, che «il governo non è disposto a cedere a nessuna pressione nel suo sostegno per l'affermazione dei diritti umani in Cina», ma subito dopo ha aggiunto che neppure intende «cedere», il governo medesimo, «a chi pretende di definire l'agenda di incontri del Dalai Lama, che non sono stati chiesti». Insomma, era quasi offeso, il Ministro degli Esteri, che Sua Santità non avesse chiesto alcun incontro, ma con ineffabile magnanimità ha saputo infine aggiungere un magnifico «siamo lieti che sia qui» (e si è percepito appena un filo di malsimulato rammarico per essere stato ingiustamente snobbato).

Una cosa è certa: a noi, di tutto questo gran dibattere di colloqui richiesti o no (ma di fatto, ad ogni buon conto, preventivamente negati) resterà ben poco nella mente e nel cuore, quel che non potremo facilmente scordare sono queste parole rivolte al popolo italiano:


«Abbiamo bisogno del vostro sostegno morale, pratico e concreto. E' importante per noi che dall'estero venga espressa preoccupazione […]. Fino a quando i cinesi non si renderanno conto che non si può andare avanti in questa maniera, non si potrà trovare una soluzione.»

December 13, 2007

Eppur si muove ...

Qualcosa sembra muoversi davvero, al centro. Per informazioni chiedete a Bruno Tabacci, ma prima date un'occhiata qui.

Oltre ogni limite di stupidità

E’ una cosa che penso da molto, un sospetto atroce, troppo surreale per essere esternato, troppo poco credibile per essere argomentato. E pure quando la «notizia» irrompe nella vita di tutti i giorni si stenta a filarci dietro. Ma una notizia è una notizia, e fino alla smentita ufficiale resta in piedi, volenti o nolenti. Ma nessuno, finora, pare abbia smentito. E allora? Allora, se tanto mi dà tanto, io esterno, in omaggio a sua maestà la notizia, che poi, nella fattispecie, è quella che abbiamo appreso dal Giornale di ieri, tramite la lettera al Direttore spedita da un lettore il cui figlio frequenta la classe IV C della Scuola Elementare “Villani” di Firenze:


La maestra di disegno ha nei giorni scorsi invitato gli alunni a fare un disegno che rappresentasse il Natale e mio figlio si stava quindi accingendo a rappresentare la «Natività di Cristo» quando è intervenuta detta maestra «vietando» al bambino di disegnare «Gesù bambino».Mio figlio è rimasto molto amareggiato da questa vicenda, anche perché non è riuscito a comprendere la ragione di tale assurdo divieto ed ha riferito il proprio turbamento a noi genitori.Pensando l'incidente si fosse verificato per un equivoco, mia moglie si è quindi recata personalmente a parlare con la maestra di disegno ma questa, appresa la ragione del colloquio, si è «inalberata» affermando che sarebbe «una scemenza» (testuali parole) voler rappresentare la nascita di Gesù Cristo ed associarla al Natale […].


Che ci si creda o no, questa cosa pare sia accaduta veramente. Tanto che oggi, su Avvenire, si può leggere un editoriale che la commenta—e che condivido, nella sostanza—in maniera giustamente, comprensibilmente indignata. Ma il sospetto che ho, come dicevo sopra, è atroce, e quindi, da un certo punto di vista, il commento di Marina Corradi mi sembra piuttosto inadeguato, come le considerazioni—parimenti indignate, giustificate, comprensibili—di quel genitore nella lettera al Giornale. Il sospetto che ho è questo: che si stia consolidando, nella nostra società, una componente laicista che, nelle sue frange più estreme (ma non per questo inconsistenti sul piano “quantitativo”), abbia varcato drammaticamente il Rubicone dell’imbecillità, della più proterva e irriducibile chiusura mentale, e dunque di un oscurantismo e di un’intolleranza che non hanno più freni e limiti.

Mi vengono in mente gli anni lontani della “contestazione” studentesca e in particolare la rivendicazione del diritto alla creatività e alla libertà di espressione artistica: fiorirono allora, opera di giovani e brillanti talenti, i primi murales: a volte stupendi, quasi sempre gradevoli e, a loro modo, intelligentemente provocatori. Poi il “verbo” è arrivato ai meno dotati, ed ecco che i murales sono spariti per far posto ai “graffiti” assolutamente idioti, privi di qualsiasi qualità artistica, che deturpano le nostre strade, i monumenti, i palazzi. Temo che il laicismo “nobile” e sempre rispettabile di un tempo si sia fatto soppiantare dal laicismo volgare e incolto di gente come quella di cui si occupa l’ottimo editoriale di Avvenire.

White Christmas


So I keep on posting about Christmas stories, legends, songs, poems, etc. This time is White Christmas’ turn, a widely celebrated song, perhaps the most famous and popular of all the Christmas songs. After all, who on Earth isn’t dreaming of a White Christmas? Ok, I know, must there be someone, statistically speaking, but if you have ever met one you would have walked away from them, wouldn’t you?

The morning after Irving Berlin wrote the song (it was early 1940) the great American songwriter went to his office and—as related by Wikipedia—told his musical secretary, “Grab your pen and take down this song. I just wrote the best song I've ever written—hell, I just wrote the best song that anybody's ever written!”

First performed by Bing Crosby in the 1942 musical Holiday Inn—in a duet with Marjorie Reynolds, dubbed by Martha Mears (click here to see the YouTube video)—the song went on to receive the Academy Award for Best Original Song. Since then “White Christmas” has become a Guinness Book of World Records song: over 100 million copies sold worldwide (this encompassing all versions, including on albums).

It is also to be recalled that the lyrics of the song struck a chord with the soldiers fighting in the Second World War and their families who were waiting for them back home.

In the video below Bing Crosby’s velvety smooth voice goes along with old-fashioned picture postcard landscapes—a touching jump into the past ... Enjoy!



December 11, 2007

Il dilemma del centro

Sul Corriere di oggi, Angelo Panebianco (come tutti) si interroga sulla possibile nascita di un partito di centro, qualora naturalmente venga varata una nuova legge elettorale proporzionale. Cosa sarà? “Un partito piccolo,” dice il professore, ma anche, come chiunque può immaginare, un partito che potrebbe disporre di un grande «potere coalizionale». Ebbene, questo sarebbe un fatto positivo? E a quali condizioni?

Tra due forze maggiori, definite un po’ perfidamente come una “socialdemocrazia annacquata” e un “liberalismo economico annacquato,” potrebbe mai il nuovo partito smentire la regola che la competizione elettorale ideale sia quella tra due grandi partiti alternativi tra loro e che affidare le sorti del Paese a un partito di centro, “ago della bilancia,” ecc., ecc., procura solo guai? Panebianco sembra piuttosto pessimista. E non a torto, credo. A meno che, aggiungerei, non si verifichi un fatto veramente nuovo per la politica italiana, e cioè che l’iniziativa di occupare il centro del sistema politico sia assunta, come scriveva qualche giorno fa su La Stampa Luca Ricolfi (un articolo tempestivamente segnalato da Walter),

anziché dalle forze del mondo cattolico, da sempre parte integrante del «partito della spesa» - dalle minoranze riformiste e liberali presenti sia nei partiti sia al di fuori di essi. Penso a uomini politici come Daniele Capezzone, Bruno Tabacci, Giorgio La Malfa, Nicola Rossi. O a membri della classe dirigente come Luca Cordero di Montezemolo, Mario Monti, Mario Draghi. In questo caso quel che nascerebbe al centro del sistema politico non sarebbe una piccola Dc, ma un medio partito liberal-democratico. Non il partito dei dipendenti pubblici e delle clientele, ma il partito della modernizzazione e del merito.

Consegnarsi a un partito ago della bilancia, ovviamente, presenterebbe i suoi risvolti negativi, ma questi, faceva notare Ricolfi, “forse” sarebbero compensati dalla “vocazione riformatrice e liberale” di quella formazione.

Ecco, qui si comincerebbe a ragionare. Un partito che pratica la “politica dei due forni,” infatti, non è un male in sé e per sé: se in questo modo si costringono i due partiti maggiori a contendersi l’alleato facendo a gara a chi è in grado di recepire nella maniera più convincente e sostanziale impegni e programmi autenticamente liberali e riformisti, ci si può anche stare, perché il gioco vale la candela.

Ma, come si diceva, l’ipotesi è alquanto remota, quella più probabile è che venga fuori una piccola Dc. In tal caso, un bel «no, grazie» interpreterebbe in maniera elegante i sentimenti della stragrande maggioranza del corpo elettorale, che avrebbe tutte le ragioni del mondo.

December 10, 2007

Paola Binetti e la libertà di coscienza

Giuliano Ferrara, ancora lui. Stavolta in casa (sul Foglio) e in difesa di Paola Binetti. E contro l’uso strumentale della «libertà di coscienza» da parte “del­l' illuminismo del tipo dark,” cioè quando essa “e l'obiezio­ne che sgorga dal fondo del cuore” sono rivolte rigorosamente “contro il presbitero, il vescovo, il car­dinale o più semplicemente l'avversario.” Ché quando “la purezza inappellabile di una decisione presa nel foro interiore” sfavorisce coloro, ecco che gli Illuminati si stracciano le vesti.

Croce, del resto, diffidava del termine «coscienza», giudicato rettorico, e forse, in un certo senso, non aveva tutti i torti. Così sembrerebbe, ad esempio, stando al ragionamento del direttore del Foglio, che avanza un’interessante ipotesi: che cioè

Croce avesse intuito, avendo vissuto con tutte le sue ambiguità la fase moder­nista del cattolicesimo europeo, il ser­peggiare, per lo meno potenziale, di una nozione di coscienza come violazione sciatta della disciplina e della coesione razionale del pensiero, per non dire (e non era affar suo) dell'unità e del vigore dogmatico di una fede incarnata nella storia e proiettata fuori della storia.

Ma per noi non-crociani non è inevitabile diffidare del termine in se ipso, lo è piuttosto il ritenerlo troppo spesso abusato da retori e ipocriti.

Il relativo del satiro (e l'assoluto del satireggiato)

E’ stata, quella del Satiro, una buona trovata, avendo meritato l’ottima risposta del Satireggiato che si legge oggi su Repubblica. Non che tutto sia condivisibile, però, a cominciare dalla scelta degli Exempla, almeno due dei quali—Benigni e Forleo—era meglio che non venissero accostati all’epurato, ma all’ingrosso si può dire che i conti tornano, ad abundantiam. In particolare, ho apprezzato questo passaggio:

Il fondamento di una democrazia ormai sfasciata e sgangherata come la nostra è questo: Dio è relativo, è un culto privato, invece la libertà assoluta, è l'unico culto pubblico ammesso. E' noto che non sono d'accordo con questa impostazione e che penso sia vero il contrario. Ci sono criteri di valore e di vita non negoziabili, e pubblici per definizione anche al di là della fede religiosa o civile confessata, e invece la libertà, che prediligo e vorrei la più ampia possibile in ogni situazione della mia esistenza e di quella degli altri, è relativa. Culturalmente non sono spinoziano, sono cattolico romano. E' dunque naturale che io la pensi così. "Che c'entra?", direte. C'entra, c'entra.

Perché ogni discussione sulle esperienze limite, e l'esercizio crudele della satira è una di queste esperienze, è una discussione sulla libertà e sui termini del suo esercizio. Il comunicato de La7 ha fissato un limite, e la società vive anche di limiti. E' culturalmente la stessa cosa di un divieto alla produzione sperimentale e assassina di embrioni, ha lo stesso valore linguistico pur trattandosi in questo caso di faccende per fortuna effimere.

Già, che un limite debba esservi è poco ma sicuro, ma che, in effetti, siano “faccende effimere” quelle che hanno offerto lo spunto per tali giuste considerazioni, non v’è parimenti alcun dubbio. E sarà bene tenerlo a mente, nella foga delle polemiche.

December 7, 2007

Where faith falters, art comes to rescue

An important part of Benedict XVI’s new encyclical Spe Salvi is dedicated to the Last Judgment, a chapter of the Christian faith, which has “faded” in favour of an individualistic vision of man's destiny. This is also why—according to the Pope—a self-criticism of modern Christianity is necessary.

But where faith falters, art comes to the rescue, as shown in the recently published The Sistine Chapel: A New Vision, a splendid book by Heinrich W. Pfeiffer, a German Jesuit and a professor of the history of Christian art at the Pontifical Gregorian University. A book which—according to Italian Vativanist Sandro Magister—should also be read (and viewed) to supplement the reading of Spe Salvi. In Magister-maintained website, the pages on the Last Judgment, hell, paradise, and purgatory in Benedict XVI's encyclical on hope are reproduced. This will be well worth a visit.

Ecco i campioni delle riforme

Scampato pericolo anche stavolta: governo salvo grazie a Francesco Cossiga, che ha reso un grande servizio al Paese. Perché ci sono delle priorità, evidentemente. Se, cioè, quello che—per ragioni misteriose—viene chiamato “decreto espulsioni” è stato salvato da uno come Cossiga, deve esserci una ragione molto seria, che va al di là sia del merito specifico del provvedimento (che è un autentico disastro) sia della sopravvivenza in sé e per sé del governo Prodi (che è, se possibile, ancora più disastroso). Non erano principalmente in gioco il decreto e il governo, infatti, ma le riforme: se cadeva il governo potevamo scordarcele. O almeno così la vedo io.

Ma la causa delle riforme ha anche un altro campione: Fausto Bertinotti. Lo ha capito e spiegato perfettamente Antonio Polito. Vedasi l’intervista pubblicata sul Giornale di ieri. Ma il giorno prima aveva capito tutto anche Stefano Cappellini, come si evince dalla lettura di questo articolo apparso sul Riformista.

Ecco cosa aveva scritto Cappellini:

Se Bertinotti è arrivato a tanto è perché ritiene che Prodi abbia passato il segno: passi per gli affronti che Rifondazione ha subito su pensioni, welfare e altre materie di governo, ma il ruolo di «garante dei piccoli» che il Prof si è ritagliato nella trattativa sulla nuova legge elettorale rischia di mandare all’aria tutti i piani strategici del Prc. Perché blocca ogni riforma aprendo la via al referendum e perché offre a Pdci e Verdi, che non chiedono altro, la sponda di cui necessitano per sfilarsi dal progetto della Cosa rossa. A palazzo Chigi il segnale è arrivato forte e chiaro.
[…]
L’uscita bertinottiana ha creato qualche problema anche a Veltroni, che certo non ne era bersaglio. Il leader del Pd non ha gradito lo sconfinamento prodiano nel dibattito interno all’Unione, ma il vertice democrat di domenica sera ha tracciato la via di un possibile compromesso parlamentare. E Veltroni, per inseguirne la realizzazione, ha “dovuto” puntellare l’esecutivo: «Penso - ha detto ai cronisti - che in questo momento creare difficoltà al governo significa anche indebolire la prospettiva delle riforme istituzionali ed elettorali».


Dunque, inseriamo anche Veltroni tra gli “indomiti riformatori,” visto che il puntello al governo era praticamente il tributo da pagare alle riforme.

Polito, per parte sua, si è speso in un elogio incondizionato al Presidente della Camera. Fausto Bertinotti, secondo lui, «è un coraggioso», e «ha fatto bene a dire chiaramente a Prodi di non mettere il governo e la maggioranza di traverso sulla strada delle riforme». Così come fanno bene

«tutti quei “coraggiosi” che non si lasciano frenare e intimidire nel percorrere la strada verso quella che io chiamo la Terza Repubblica, ossia verso un cambio radicale del sistema politico che lo renderà meno frammentario e più corrispondente alla realtà e alle necessità del Paese. E tra i coraggiosi annovero anche Walter Veltroni e Silvio Berlusconi, con il suo Pdl fondato dalla Mercedes».

Berlusconi, giustamente. Con lui si chiude il cerchio.

Queste mi sembrano le uniche cose degne di nota del momento politico. Tutto il resto è poco rilevante. Non so se anche altri commentatori, oltre a Polito e Cappellini, abbiano centrato la questione in modo altrettanto perspicace (tutto non si può leggere), ma ho qualche dubbio: come al solito mi sembra che i più siano troppo dediti ad occuparsi di aria fritta e di polemiche oziose per accorgersi che le cose che contano sono altre.

December 5, 2007

Crollerà anche quella muraglia ...

Se chi legge è emotivamente troppo sensibile alla causa dei diritti umani nel mondo, e in particolare al destino di una tradizione e di un popolo unici e irripetibili, come sono senza dubbio la tradizione e il popolo del Tibet, beh, forse è meglio che, possibilmente, eviti di procedere nella lettura di questo post, anzi, dell’articolo del Foglio di cui si dà conto.

L’autore è già noto ai lettori di WRH ed è uno che conosce l’argomento come pochi in Italia. In più, è capace di raccontare cinquant’anni di sofferenza e di prepotenza in una maniera asciutta e nel contempo vivida, senza mai dar l’impressione di voler apparire per come non è: un testimone distaccato ed equidistante (semmai è possibile essere imparziali in certi frangenti). Il risultato è letterariamente magnifico, ma umanamente … è devastante (nel senso migliore e, se vogliamo, «cristiano» del termine). Leggere Buldrini, insomma, è un modo per vivere la tragedia tibetana. Ma, proprio come nella tragedia greca, la rappresentazione ha una valenza catartica, per chi se ne lascia coinvolgere.

Con questo voglio dire che io resto fiducioso. Ma sì, se dopotutto è crollato il muro di Berlino, crollerà un bel giorno anche la muraglia cinese. E sapete perché? Perché credo fermamente che un sogno come questo del Dalai Lama non potrà non realizzarsi:


«Il mio sogno è quello di trasformare l’intero altopiano del Tibet in un luogo dove le persone provenienti da ogni parte del mondo possano trovare il vero significato della pace dentro se stessi. Il Tibet potrebbe diventare così un vero centro creativo per la promozione e lo sviluppo della pace».


Noi dobbiamo solo fare ciò che è nostro dovere fare: parlarne, scriverne, marciare e … pregare. Il resto «accadrà», semplicemente, un giorno. Questo, a scanso di equivoci, per dire che il pensiero tautologico, o wishful thinking che dir si voglia, abita qui. Chiaro?

Ed ecco, qui di seguito, l'articolo di Carlo Buldrini (Il Foglio di mercoledì 5 dicembre 2007):


“Imiei colleghi e io personalmente le porgiamo il benvenuto e le più vive felicitazioni per il suo incolume arrivo in India. Siamo lieti di offrirle tutta l’assistenza necessaria per la sua permanenza in questo paese”. Il telegramma era firmato “Jawaharlal Nehru, primo ministro dell’Unione Indiana”. Un funzionario del governo consegnò il messaggio al giovane Dalai Lama a Tawang, un piccolo centro della North-East Frontier Agency indiana. Era il 3 aprile 1959. Tre giorni prima, in groppa a uno “dzo”, l’animale che nasce dall’incrocio tra una vacca e uno yak tibetano, il ventiquattrenne Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama del Tibet, aveva attraversato visibilmente malato il confine che separa il Tibet dall’India.

La medaglia del Congresso americano
Il 17 ottobre di quest’anno, quello stesso Dalai Lama, oggi settantaduenne, nella rotonda del Campidoglio di Washington D.C., ha ricevuto dalle mani del presidente americano George W. Bush la medaglia d’oro del Congresso americano, la più alta onorificenza civile concessa dagli Stati Uniti. Consegnando la medaglia, il presidente Bush ha detto: “Onoriamo nel Dalai Lama un simbolo universale di tolleranza e di pace. Si tratta di una guida spirituale, per i suoi fedeli; di una persona che tiene viva la speranza, per un intero popolo”. Sul retro della medaglia era incisa una frase dello stesso Dalai Lama: “La pace è la manifestazione della compassione umana”. Prima di incontrare il presidente americano alla Casa Bianca, il Dalai Lama è stato ricevuto dall’allora primo ministro australiano John Howard e dal cancelliere tedesco Angela Merkel. Subito dopo la tappa negli Stati Uniti, è stato il primo ministro canadese Stephen Harper a incontrare ufficialmente il leader spirituale del popolo tibetano.

Quando il 7 ottobre 1950 quarantamila uomini dell’Esercito popolare di liberazione di Mao Tse Tung iniziarono l’occupazione militare del paese, il Tibet era una nazione libera e indipendente. A stabilirlo fu la stessa Commissione internazionale dei Giuristi che, riunita a Ginevra nel 1960, affermò che “dal 1913 al 1950 il Tibet aveva tutte le caratteristiche di una nazione indipendente, così come stabilito dalle leggi internazionali”. E, nel 1961, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la risoluzione numero 1.723 con cui si riconosceva al Tibet il “diritto all’autodeterminazione”.

La colonizzazione del Tibet da parte della Repubblica popolare cinese è avvenuta in tre fasi. Al periodo della “collettivizzazione”, iniziato subito dopo l’occupazione militare del 1950, fece seguito quello della Rivoluzione culturale (1966- 76). Durante queste prime due fasi, come diretta conseguenza dell’occupazione cinese, in Tibet morirono 1.200.000 persone su una popolazione di sei milioni di abitanti. Nel 1979, con la “liberalizzazione” di Deng Xiaoping, è iniziato il terzo atto della colonizzazione del paese. Una fase che dura tuttora e che il Dalai Lama ha definito di “aggressione demografica”. L’idea risaliva a Mao Tse Tung. Il Grande Timoniere, nel “Renmin Ribao” del 22 novembre 1952, scriveva: “Il Tibet copre una vasta superficie ma è scarsamente popolato. Bisogna aumentare di almeno cinque volte la sua popolazione”. Nel 1960 gli faceva eco Zhou Enlai: “I cinesi sono in gran numero e sono più progrediti economicamente e culturalmente. Tuttavia, nelle regioni che essi abitano, il terreno coltivabile e le risorse del sottosuolo non sono così abbondanti come nelle zone abitate dalla fraterna nazionalità tibetana”.

L’aggressione demografica
A partire dagli anni Ottanta è iniziato un massiccio trasferimento della popolazione cinese in Tibet. Con l’apertura, il primo luglio 2006, della ferrovia Golmud- Lhasa questa “aggressione demografica” ha subito una forte accelerazione. La conseguenza è stata che oggi, a Lhasa, la popolazione cinese è più del doppio di quella tibetana. Nella capitale del Tibet, nelle scuole medie, non si insegna più la lingua tibetana. Nelle campagne, alle donne tibetane, e in particolar modo a quelle appartenenti alle popolazioni nomadi, viene imposto un rigido controllo delle nascite. Molte sono costrette ad abortire. Anche le giovanissime vengono sottoposte a sterilizzazioni forzate. La libertà religiosa è solo di facciata. Le istituzioni religiose sono controllate dal partito comunista attraverso il Religious Affairs Bureau e i Democratic Management Committee di ogni monastero. Nel mese di ottobre di quest’anno l’Amministrazione statale per gli Affari religiosi della Repubblica popolare cinese ha approvato l’“Ordinanza numero 5” sulle “misure amministrative per la reincarnazione dei Buddha viventi in Tibet”. Con questa legge, il governo di Pechino si arroga il diritto di riconoscere il prossimo Dalai Lama e garantire così che sia un semplice burattino nelle mani del regime comunista cinese.

Il Tibet sembra non avere più un futuro. “Se questo processo continuerà – dice il Dalai Lama – sarà una tragedia per il mondo intero. Un’antica cultura scomparirà per sempre”. Per il suo paese, invece, il Dalai Lama aveva un sogno. Aveva detto: “Il mio sogno è quello di trasformare l’intero altopiano del Tibet in un luogo dove le persone provenienti da ogni parte del mondo possano trovare il vero significato della pace dentro se stessi. Il Tibet potrebbe diventare così un vero centro creativo per la promozione e lo sviluppo della pace”.

Il leader spirituale tibetano sarà in Italia da oggi al 16 dicembre.

December 4, 2007

Tranquilla, Clementina, è tutto a fin di bene ...

La vice presidente della Prima Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura, Letizia Vacca, preannuncia un “orientamento unanime” del Csm verso l’apertura di una procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità nei confronti del Gip di Milano Clementina Forleo. E puntualizza: «Lo spirito che ci muove non è certo persecutorio nei confronti di Forleo. Il nostro problema è riportare la serenità negli uffici giudiziari di Milano».

Va da sé che alla vice presidente—membro laico dell’organo di autogoverno della magistratura, su designazione del centrosinistra—la puntualizzazione non deve essere sembrata la classica excusatio non petita. Beata lei (quando si è dei “puri di cuore,” d’altra parte, a certi possibili risvolti, speculazioni malevole, ecc., non si è tenuti a far minimamente caso).

December 3, 2007

Anche questo è Tenzin Gyatso

Quello che del Dalai Lama si preferisce non ricordare (Avvenire di domenica, 2 dicembre):

Nel maggio dello scorso anno, ad esempio, Tenzin Gyatso rilasciò al quotidiano britannico Daily Telegraph un’intervista che fece scalpore, nella quale precisava la sua posizione riguardo a temi di morale oggi particolarmente caldi come i rapporti di coppia, l’aborto, il rispetto per la vita, la concezione generale dell’esistenza. In quell’occasione il Dalai Lama difese il matrimonio tra uomo e donna e la procreazione come una relazione che consente lo sviluppo armonico della persona, prese le distanze dalle unioni omosessuali e quanto all’aborto si limitò ad esprimere compassione per le donne che ricorrono a tale 'soluzione'. Così, su questo giornale, uno scrittore di ispirazione buddhista, commentò tale esternazione: «È stata, la sua, una puntualizzazione importante, che è servita a riequilibrare una visione del buddhismo un po’ new age che, complici a volte anche i maestri, viene diffusa adeguandosi alle richieste di vie facili alla spiritualità che provengono da un Occidente ripiegato sul pensiero debole».

L'intervista al Telegraph, per chi avesse voglia di verificare, è qui.

December 2, 2007

The Christmas Guest

Domenico Ghirlandaio, Visitation, Louvre Museum, Paris

Today is the first Sunday of Advent, the beginning of a new Liturgical Year. It is the Sunday in which we remember the hope we have in Jesus. That is most likely why Pope Benedict’s second Encyclical Letter, entitled Spe Salvi (“Saved by Hope”), has only just been delivered (here is the full text of the document, and here is an introduction by Italian Vaticanist Sandro Magister).

But Spe Salvi definitely is not the argument I want to bring forward now. Rather I want to deal with the subject of Advent in a very simple-minded way—and to tell the truth, it all began when I decided to find out something like a tale of a “magical” Advent, easy enough for my eleven year old daughter to get the basic spiritual meaning of this period of the year. And that is how, after searching my memory and the web a little bit, I found “The Christmas Guest,” a musical adaptation of Edwin Markham's famous poem “How the Great Guest Came.” First performed by country music legend, Grandpa Jones back in 1963, the song was later performed by Johnny Cash and Reba McEntire.

Here are the lyrics. Click the video below to listen to Johnny Cash’s inspiring performance. I wish you a blessed Advent!


The Christmas Guest


It happened one day near December's end
Two neighbors called on an old friend
And they found his shop so meager and lame
Made gay with a thousand bows of green
And Conrad was sittin' with face ashined
When he suddenly stopped as he stiched a twine
And he said "Oh friends at dawn today
When the cock was crowin' the night away
The Lord appeared in a dream to me
And said 'I'm comin' your guest to be.'
So I've been busy with feet astir
And strewin' my shop with branches of fir
The table is spread and the kettle is shined
And over the rafters the holly is twined
Now I'll wait for my Lord to appear
And listen closely so I will hear His step
As He nears my humble place
And I'll open the door and look on His face"


So his friends went home and left Conrad alone
For this was the happiest day he'd known
For long since his family had passed away
And Conrad had spent many a sad Christmas day
But he knew with the Lord as his Christmas guest
This Christmas would be the dearest and best
So he listened with only joy in his heart
And with every sound he would rise with a start
And look for the Lord to be at his door
Like the vision he'd had a few hours before
So he ran to the window after hearin' a sound
But all he could see on the snow-covered ground
Was a shabby begger who's shoes were torn
And all of his clothes were ragged and worn
But Conrad was touched and he went to the door
And he said "You know, your feet must be frozen and sore
I have some shoes in my shop for you
And a coat that'll keep you warmer too"


So with grateful heart, the man went away
But Conrad noticed the time of day
And wondered what made the Lord so late
And how much longer he'd have to wait
When he heard a knock he ran to the door
But it was only a stranger once more
A bent ol' lady with a shawl of black
With a bundle of kindlin' piled on her back
She asked for only a place to rest
But that was reserved for Conrad's great guest
But her voice seemed to plead "Don't send me away
Let me rest for awhile on Christmas day"
So Conrad brewed her a steamin' cup
And told her to sit at the table and sup
But after she left he was filled with dismay
For he saw that the hours were slippin' away
And the Lord hadn't come as He said He would
And Conrad felt sure he'd misunderstood


When out of the stillness he heard a cry
"Please help me, and tell me where am I!"
So again he opened his friendly door
And stood disappointed as twice before
It was only a child who'd wandered away
And was lost from her family on Christmas day
Again, Conrad's heart was heavy and sad
But he knew he should make the little girl glad
So he called her in and he wiped her tears
And quieted all her childish fears
Then he led her back to her home once more
But as he entered his own darkened door
He knew the Lord was not comin' today
For the hours of Christmas had passed away
So he went to his room and he knelt down to pray
And he said "Dear Lord, why did You delay?
What kept You from comin' to call on me?
For I wanted so much Your Face to see"


When soft in the silence, a voice he heard
"Lift up your head, for I kept my word
Three times my shadow crossed your floor
And three times I came to your lonely door
I was the begger with bruised, cold feet
And I was the woman you gave somethin' to eat
I was the child on the homeless street.
Three times I knocked and three times I came in
And each time I found the warmth of a friend
Of all the gifts love is the best
And I was honored to be your Christmas guest."



December 1, 2007

Tu es Petrus

Io sono convinto che la questione della giustizia costituisce l’argomento essenziale, in ogni caso l’argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna.

Così scrive Benedetto XVI nella nuova enciclica, Spe Salvi. Citazione colta al volo da Luigi Accattoli, che l'ha riportata nel suo blog. “Colpisce sempre—nota il vaticanista del Corriere—un papa che dice «io sono convinto».” In effetti. Tutto ciò che quelle tre parolette mi hanno fatto venire in mente lì per lì lo potete leggere nel primo dei commenti al post.

Ma chi diavolo crede di essere?

In effetti, il mascalzone è furbissimo, si nasconde, si camuffa, e soprattutto ti vuol convincere della sua propria non-esistenza. E a quanto pare ci riesce alla grande, facendo fare figure barbine a coloro i quali continuano imperterriti a credere il contrario. Peggio ancora: costoro devono aspettarsi di essere passati per le armi in vario modo. Oggi, evidentemente, un castigo mediatico è quello più probabile. E’ andata così per Padre Pio: perseguitato in vita (soprattutto dai «suoi») secondo le modalità più micidiali del suo tempo, e dopo la morte, appunto sui giornali, Corriere in testa.

Questa, all’incirca, è l’opinione di Pietrangelo Buffafuoco, che nel paginone del Foglio di giovedì ha “menato come un fabbro” (et pour cause!) cercando di rendere la pariglia. Naturalmente ho copiato e incollato il tutto qui, ché Il Foglio, purtroppo, mantiene a portata di link solo poche cose, e spesso non le più essenziali. Stessa cosa ho fatto qui con l’articolo di Gianni Baget Bozzo, che si occupa di Padre Pio da un altro punto di vista, non meno essenziale:


Tutta la storia di Padre Pio è segnata da un intervento misterioso, quasi che Dio volesse in lui dare un segno visibile della sua presenza, un segno piccolo, come i miracoli del vangelo, ma carico di simbolo. La chiesa cattolica esprime il divino mediante cose umane, materiali: il pane e il vino, l’acqua, l’olio, il sì degli sposi: il simbolo conduce direttamente al divino. San Pio è stato in questo caso il simbolo dell’intervento della divina Provvidenza nei casi difficili, un santo guaritore, come Cosma e Damiano. E il simbolo di Padre Pio ci dice che Dio ha cura di noi. Ciò, in analogia al principio sacramentale, vuol dire che Padre Pio è un segno della Provvidenza nei casi minuti della vita. Quello che i beneficati da Padre Pio hanno ricevuto dal santo, non è soltanto la beneficenza, è l’amore divino verso di loro. Non hanno ricevuto soltanto la vita umana, ma anche la vita divina.

E tuttavia don Gianni non ignora affatto il côté caro a Buttafuoco. Infatti ci è tornato ieri su La Stampa, sia pure con un piglio più ottimistico :


La Chiesa cattolica ha scelto di valutare a un tempo la profondità del Male, ciò che la fede chiama Satana, ma anche il fatto che l’uomo è creato e redento e che con la sua azione può giungere a vivere il suo mondo in pace. [Leggi il resto]

E’ in effetti il tema della redenzione, quello che ha ispirato entrambi gli interventi di Baget Bozzo. Un argomento molto difficile da trattare, oggi. Con la sua vita e le sue opere Padre Pio testimonia ciò che quasi nessuno sembra più voler ricordare, e cioè che “Cristo ci redime con il suo sangue.” Ma, appunto,


[c]hi predica più oggi la redenzione? E soprattutto chi ricorda che la Messa è il rinnovamento del sacrificio della croce e che il prete lo compie rappresentando la persona di Cristo: in persona Christi, come dice la sacra formula. E oggi una liturgia, che ha tolto lo sguardo comune dei fedeli del prete verso il crocifisso e verso l’altare e tutto sembra un banchetto, e talvolta una scampagnata, queste verità sono divenute intrasmissibili.

Verità divenute intrasmissibili, dunque. Non è forse per aver testimoniato il contrario, cioè la trasmissibilità, malgrado tutto, di quelle verità che Padre Pio è diventato “indigesto” all’establishment culturale e mediatico? Non solo questo frate ha avuto l’ardire di ricordare al mondo che Satana esiste, ha pure preteso di testimoniare il non-testimoniabile! E come se non bastasse lo ha fatto in barba ai sapienti, agli intellettuali e, last but not least, ai teologi, cioè parlando ai cuori dei “semplici fedeli” e, udite udite, delle vecchiette …


Barbara Spinelli ritiene che solo i teologi che rimangono attaccati allo «spirito del Concilio» siano la vera Chiesa (strano assunto per un laico). Sembra dimenticare che la Chiesa è una religione e che è stata salvata come religione da tre grandi papi: Paolo, Giovanni Paolo e Benedetto. Ma, prima di tutto, dai semplici fedeli, gli stessi che in Russia, vecchie e povere donne, continuavano ad assistere alla celebrazione della liturgia divina nei limiti in cui il comunismo lo permetteva. Anche la Chiesa ortodossa ha potuto vivere grazie alla liturgia e alle vecchiette. Accade sempre che siano i fedeli a conservare il mistero della fede quando i teologi tutto subordinano alle vie della ragione. Ma la ragione non sa dare un fine all’uomo, non sa spiegare il senso della vita.


Non è forse imperdonabile tutto questo? Evidentemente lo è, eccome se lo è.

Ah, dimenticavo, nel frattempo è uscito Il segreto di Padre Pio, di Antonio Socci. Qui potete leggerne a sbafo alcune pagine (ma per poi correre subito in libreria: è quasi Natale ...), mentre qui trovate il video della puntata di Otto e mezzo nella quale l’autore ha presentato il libro. Qui, infine, l'articolo di Socci uscito su Libero del 25 ottobre scorso.

November 30, 2007

Quelli che il Dalai Lama ...

Linkare Macchianera (detto elegantemente) non è nella tradizione di questo blog, eppure è la seconda volta che succede nel giro di pochi giorni. Responsabile Filippo Facci. Stavolta una sfuriata contro quelli che della visita del Dalai Lama in Italia se ne infischiano altamente. Un bell’elenco di gente che, secondo Facci, dovrebbe vergognarsi. E persino con il buon senso di non mettere il Papa nel mazzo—ossia, di metterlo ma affrettandosi subito a spiegare che la sua posizione è un po’ più complicata: già, ci sono pur sempre “milioni di cattolici cinesi” che “rischiano persecuzioni ogni giorno” …

Interessante, in calce al post, l’elenco dei 285 firmatari dell’appello affinché il Dalai Lama sia ricevuto con tutti i crismi.

November 29, 2007

Autumn Song




Autumn Song

Know'st thou not at the fall of the leaf
How the heart feels a languid grief
. . .Laid on it for a covering,
. . .And how sleep seems a goodly thing
In autumn at the fall of the leaf.

And how the swift beat of the brain
Falters because it is in vain,
. . .In autunin at the fall of the leaf
. . .Knowest thou not? And how the chief
Of joys seems—not to suffer pain?

Knowst thou not at the fall of the leaf
How the soul feels like a dried sheaf
. . .Bound up at length for harvesting,
. . .And how death seems a comely thing
In autumn at the fall of the leaf?



Dante Gabriel Rossetti, Poetical Works, ed. William M. Rossetti (New York: Thomas Y. Crowell, 1886).

November 28, 2007

Ma cosa vuole Fini?

L’ho già scritto, e dunque non vorrei tediare il lettore. Ma che la migliore chiave interpretativa della politica (almeno di quella italica) sia letteraria me lo dimostra talmente spesso la realtà che vado male, davvero, a non ripetermi. Falliscono gli scienziati della politica, come Giovanni Sartori, quando si improvvisano (si fingono, come dice lui) “politici,” e centrano l’obiettivo i letterati—di un certo tipo, d'accordo (vedere due post fa). Cosa vorrà dire tutto questo? Bah, non chiedetelo a me: la risposta, purtroppo, non è alla mia portata. Né, onestamente, saprei suggerire chi potrebbe essere all'altezza, ed è un mio limite anche questo, sia ben chiaro. Epperò, per non lasciare il post in sospeso e, starei per dire, faute de mieux, una proposta "intermedia" ce l’avrei: si potrebbe interpellare l’autore di questo corsivo. Ma non aspettiamoci di riceverne risposte, bensì altre domande (molto sensate), il che non è solo meglio di niente, è una ragionevolissima aspettativa, un lampo nel buio. Ad esempio, appunto, una domanda come quella del corsivo: "Ma cosa vuole Fini?" Date una letta, e dopo ditemi se secondo voi esiste un approccio al problema che possa garantire esiti, per così dire, meno incerti.

Sartori, apprendista politico di qualità

Giovanni Sartori è uno scienziato della politica, ma questo non gli basta: si sforza di essere uno che di politica (quella “pratica, la politica «come veramente è»”) ci capisce. E cerca di darne prova. Come dargli torto, dal momento che la politica, secondo un’antica definizione, è piuttosto un’arte (la Politiké teche) che una scienza? Questa umiltà da vero scienziato, in verità, gli fa onore. Il guaio è che il suo legittimo desiderio di “completezza” non è supportato dalla pazienza che sarebbe necessaria per il conseguimento dell’obiettivo, nel senso che la consequenzialità dello scienziato—alla quale egli non può e non vuole rinunciare neanche per un secondo—gli fa perdere di vista alcuni risvolti interessanti dell’oggetto della sua ricerca. E il risultato ne viene inevitabilmente a soffrire.

Sul Corriere di oggi, dunque, l’illustre politologo ha deciso di “travestirsi da politico,” e in questa veste prende in esame questo particolare momento politico e si spende in alcuni suggerimenti ai leaders delle varie forze in campo. Innanzitutto, ecco come riassume la situazione:



Il momento è eccitante: in questo momento tutto è in movimento. Berlusconi che fa sparire, con la sua bacchetta magica, Forza Italia e il connesso Polo delle libertà; Fini e Casini che in autodifesa sono costretti a «rompere» con Berlusconi; la collusione (che comincia a essere documentata) Rai-Mediaset che costringe Prodi a tirare fuori dal cassetto le riforme sulla tv predisposte dal ministro Gentiloni; e Veltroni che si deve destreggiare su tre fronti: la riforma elettorale (e connessi) con il Cavaliere, il salvataggio del governo Prodi, e la patata bollente della questione tv (che torna a far esplodere il problema del conflitto di interessi).

A questo punto il professore si immedesima, a turno, con i principali attori ed esprime le sue convinzioni su ciò che andrebbe fatto. Ed ecco il ragionamento che farebbe se fosse al posto di Fini e Casini (tralascio le altre “immedesimazioni,” che mi sembrano meno significative):


Per non essere costretti a tornare all'ovile ancor più in sudditanza di prima, Fini si deve rapidamente scordare del referendum Guzzetta- Segni e appoggiare un sistema elettorale (come quello tedesco preferito dal suo nuovo alleato Casini) che gli consenta di andare tranquillamente da solo alle prossime elezioni. Inoltre Fini e Casini hanno bisogno, per sopravvivere, di indebolire il peso televisivo del loro nuovo nemico.


Purtroppo, però, si lamenta Sartori, “Casini si è affrettato a dire no a qualsiasi «legge punitiva » contro Mediaset, riecheggiato da An.” Questo proprio non va bene, osserva il professore, anzi! Ed ecco che “l’apprendista politico” si ri-trasforma rapidamente nel professore che conosciamo bene: “Bravi davvero. Sarebbero questi i politici che davvero si intendono di politica?”

Ebbene, nessun problema, direi, sulla convenienza, per i due, del sistema tedesco. E’ sulla questione Mediaset che il ragionamento vacilla. Lasciamo perdere se sia giusto o sbagliato, in sé e per sé, colpire Mediaset e guardiamo, appunto, all’utile delle due formazioni politiche. Vediamo, allora, che senza dubbio potrebbe far comodo ai due competitors di Berlusconi all’interno del centrodestra una minore potenza mediatica del Cavaliere. Ma da quell’indebolimento non deriverebbero anche conseguenze negative per l’intero schieramento, visto che ad avvantaggiarsene sarebbe soprattutto il centrosinistra? Non solo: sotto il profilo della credibilità di quelle due forze politiche nei confronti del loro elettorato, non avrebbe forse una ricaduta alquanto pesante un voltafaccia—perché di questo, è chiaro, si tratterebbe—così repentino e sospetto?

O forse Sartori ritiene che l’elettore medio di Fini e Casini sia un minus habens e/o che sia sprovvisto del benché minimo senso morale? Dal momento che quell’inversione di rotta sarebbe due volte riprovevole: perché avrebbe palesemente il sapore di una vendetta piuttosto meschina e, soprattutto, perché rappresenterebbe la prova provata che in precedenza, per anni e anni, la gente è stata deliberatamente ingannata. Chi non si indignerebbe a quel punto? E quale altra spiegazione avrebbe, a parte la frode elettorale, appunto, l’aver risolutamente negato per anni ciò di cui oggi finalmente si prende atto, cioè che l’accanimento anti-Mediaset delle sinistre era motivato e che un conflitto di interessi veramente inaccettabile per la democrazia c’era eccome?

Ma non credo che Sartori la pensi in quel modo. E’ vero che spesso ha l’aria di sottovalutare il prossimo in generale, ma quello è più un tratto caratteriale, un’apparenza. Ad ogni buon conto, quando il professore dice che “la politica «come veramente è»,” in definitiva, non fa per lui, non viene voglia di contraddirlo. Meglio—per lui e per tutti gli inguaribili “impolitici”—la politica «come dovrebbe essere» (secondo i professori), e che Machiavelli vada a farsi benedire ...

November 26, 2007

Lunga vita al Cavaliere

Non c’è niente da fare: la migliore chiave interpretativa della politica è letteraria—ed è già tanto che non si dica che la politica, in fondo, è pura poesia …, sulla qual cosa, tuttavia, sarebbe plausibile formulare qualche seria ipotesi di lavoro, qualora non volessimo farci mancare proprio nulla nel nostro eterno vagare alla ricerca di un senso in quella foresta di simboli che, appunto, è la politica.

Ehi, non pensate che, a forza di scervellarmi sulle ben note vicende, mi sia spinto troppo in là, oltre le Colonne d’Ercole della cara, vecchia razionalità cartesiana delle idee chiare e distinte, e mi stia addentrando sconsideratamente tra flutti perigliosi, avvolti da fitte nebbie imperscrutabili. No, non è questo il caso. E’ che ho appena finito di leggere quello che ha scritto oggi Adriano Sofri su Repubblica, e come al solito non ne sono uscito indenne. Né, per l’ennesima volta, mi azzarderò a sintetizzare o riassumere per sommi capi il suo pensiero, perché inevitabilmente lo banalizzerei.

Dico solo che Sofri si è occupato del Berlusconi resuscitato, o meglio di coloro che aspiravano a succedergli—novelli Bruti (e Cassii) alle prese con un Cesare un filo più accorto e diffidente—e delle cose che sono andate come sono andate. Un groviglio di calcoli anagrafici (che portano bene, assicura Sofri) e di scongiuri, con tanto di gufi un po’ grotteschi e molto, molto maldestri (e non saprei se pure un po’ rimbambiti). E poi altre storie parallele, tipo l'ordine di aprire il fuoco sul quartier generale impartito da Mao nel 1966, quello che scatenò la Rivoluzione Culturale. E poi ancora “la svelta adesione” di Daniele Capezzone—che di successioni mancate era fino a qualche giorno fa il massimo esperto in circolazione—“al Partito del Popolo pur mo' nato,” e l’astuto Giuliano Ferrara, che “non esclude nessuna frec­cia dal proprio arco, e a suo modo ha fatto molto per il Par­tito Democratico, e fa moltis­simo per il Partito del Popolo.”

Insomma, ottima letteratura, IMHO, di una classe cristallina di cui, oramai, solo la vecchia guardia sembra dotata—se Sofri non si offende per l’espressione affettuosamente “anagrafica,” epperò, mi pare, adeguata al contesto. La chiusa è degna di tutto il resto:
Vien quasi da dire che c'è una provvidenza. La meschi­nità di centrosinistra oscurava il vuoto pneumatico del centrodestra, tenuto assieme da due attese, quella melodram­matica della caduta di Prodi, e quella intrigante della giubilazione di Berlusconi. Prodi può sempre cadere, restano fior di professionisti dello sgambet­to: ma anche se succedesse, ora, la giubilazione politica di Berlusconi nel centrodestra è aggiornata a data da destinar­si.
[Leggi il resto]

E come evitare di aggiungere, per il bene di tutti, l’augurio che l’attesa abbia a essere molto, molto lunga, e soprattutto paziente? Questione di stile, oltretutto: forza, Cavaliere, fagliela vedere a quei gufi malefici!

November 25, 2007

I have a dream

Improvvidamente chiamato in causa, provocato e tirato per la giacchetta da una simpatica Perla Scandinava—già, fin dalla lontana Norvegia si è scomodata colei ...—che a sua volta era stata tirata in ballo (e come si sa, a nessuno piace essere lasciato con il cerino in mano), eccomi qua, pronto a pagare il mio tributo al giochino del momento. Solo mi astengo dall’estendere, per mancanza di tempo, ché sarebbe un’impresa scovare qualcuno che non faccia purtroppo presagire qualche subdola vendetta …

Il mio governo impossibile:

> Presidente del Consiglio dei Ministri: Giulio Tremonti
> Ministro dell'Interno: Francesco Cossiga (con vent’anni di meno)
> Ministro degli Esteri: Franco Frattini
> Ministro della Difesa: Antonio Martino
> Ministro della Giustizia: Alfredo Biondi
> Ministro dell'Economia: Mario Draghi
> Ministro delle Attività produttive: Pierluigi Bersani
> Ministro del Lavoro: Roberto Maroni
> Ministro della Salute: Roberto Formigoni
> Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca: Dario Antiseri
> Ministro delle Infrastrutture e Trasporti: Giorgio La Malfa
> Ministro delle Comunicazioni: Pietro Lunardi
> Ministro dell'Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare: Ermete Realacci
> Ministro per le Politiche Comunitarie e Commercio Estero: Michela V. Brambilla
> Ministro per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali: Altero Matteoli
> Ministro dei Beni e Attività Culturali, Turismo e Spettacolo: Vittorio Sgarbi
> Ministro della Funzione Pubblica: Benedetto della Vedova
> Ministro per le Riforme Istituzionali: Giovanni Sartori
> Ministro per le Pari Opportunità: Stefania Prestigiacomo
> Ministro per lo Sport e le Politiche Giovanili: Carlo Giovanardi

Tartufi (e altri tuberi) del giornalismo

Filippo Facci e Mario Cervi, chiamati in causa da Francesco Merlo nell’articolo di cui ad un mio precedente post affinché esprimessero il loro parere sui “tartufi del giornalismo,” hanno risposto alla chiamata sul Giornale di ieri. Facci ha messo insieme il tutto (lui, Cervi e Merlo) su Macchinera. Mi pare che valga la pena di dare un’occhiata. Cervi ricorda i «formidabili» anni in cui
[i]l giornalismo si avviava verso una omologazione ferrea, tutti i maggiori quotidiani scrivevano le stesse cose con titoli suppergiù uguali e i comitati di redazione - appartenenti in toto allo schieramento di sinistra - pretendevano di imporre un’unica linea all’intera stampa italiana. Per questo Montanelli - che fu osannato come esponente d’un liberalismo colto, risorgimentale aristocratico dopo che ebbe litigato con Berlusconi, ma che prima era bollato come fascista - volle dare una voce ai senza voce, all’esecrata maggioranza silenziosa. Lo fece fondando questo giornale [Il Giornale, appunto].

Facci, invece, tra molte altre interessanti considerazioni, ricorda che “non è solo questione di rapporti tra giornalismo e politica, ma tra giornalismo e potere,” il che mi sembra particolarmente corrispondente alla realtà dei fatti, oltre che perfidamente appropriato alla testata da cui, volente o nolente, proviene la chiamata in causa da parte dell'ottimo Merlo. Sentite qua:
Scrivere un articolo contro Prodi o Berlusconi, oggi, è facilissimo: il cretinismo bipolare offre ripari confortevoli. Il problema è scriverlo contro un'industria di moda, una marca di automobili o di acqua minerale, un grande gruppo farmaceutico o telefonico, colossi che il giornalismo statunitense seziona da almeno trent'anni mentre noi seguitiamo a pensare che la vita passi attraverso le crostate che i politici si cucinano a vicenda. C'è un mondo, là fuori.

Personalmente resto del parere che il mosaico sia ricostruibile mettendo insieme innanzitutto Merlo e Guzzanti. Certo, a questo punto, aggiungerei anche Facci e Cervi. Se qualcuno ha voglia di operare la grande sintesi si accomodi. Sarebbe una fatica meritoria, per niente impossibile. Solo una questione di pazienza (e di stomaco, vabbè).