March 5, 2007

I riformisti e l'eterno ritorno

Era quello che ci mancava, nella varietà dell’offerta politica nazionale, l’apertura di una fase costituente del socialismo italiano. In effetti, quello che è emerso dal convegno di Bertinoro, promosso da Lanfranco Turci e da un’ottantina di associazioni con l’obiettivo, appunto, del varo di una nuova forza «laica, liberale, socialista, radicale e repubblicana, ancorata al Partito socialista europeo», non è una quisquilia, la solita tempesta in un bicchier d’acqua cui siamo assuefatti. Per dirla con Emanuele Macaluso, «si sono create le condizioni per cui la questione sociali­sta possa finalmente avere una rispo­sta». Già, perché, come sappiamo, la “questione sociali­sta” non è mai stata chiusa, e la storia non lascia mai impunite certe dimenticanze.

Ma facciamo prima di tutto il punto della situazione. Dunque, l’idea è ben espressa da Boselli: aprire un dialogo, assieme al nuovo Psi di De Michelis e al raggruppamento guidato da Bobo Craxi, «con tutti coloro che su un terreno riformista non si riconoscono nel Partito democratico». Dunque, non bisogna rivolger­si soltanto all’ «antica famiglia socialista», anche perché questo «non sarebbe suf­ficiente per il raggiungimento del nostro obiettivo: costruire una forza a vocazione maggioritaria».

Alla due giorni romagnola c’erano, oltre ai già citati, l'ex di­rettore dell'Unità Peppino Caldarola e Valdo Spini, ex Psi ed ora testimone dell’attenzione con la quale la sinistra diessina guarda al pro­getto. Ed effettivamente la costruzione di un soggetto politi­co che non sembri—al pari del partito democratico—«uno stadio chiuso o, nella migliore delle ipo­tesi, aperto solo agli abbo­nati» non può che solleticare la fantasia della minoranza diessina. Caldarola non poteva essere più esplicito al riguardo:

«Non dobbiamo costruire un ghetto socialista, né di­ventare il Rotary della sinistra. Diamo appuntamento a tutte le forze della si­nistra, soprattutto a quelle della sini­stra Ds. Venite, la festa è qui».

La festa è qui, dice Caldarola. A me sembra qualcos’altro, ma non importa: basta intendersi sul significato della parola. Paolo Franchi, direttore del Riformista, mi sembra meno festaiolo nell’editoriale di oggi. Presenta realisticamente “i termini della divisione” all’interno della componente riformista della sinistra ed è consapevole che si apre “una partita difficile e complicata, destinata a concludersi con una separazione politica.” Una separazione che, per un giornale come il suo, data la ragione sociale, non sarà indolore. Lui non ha mai fatto mistero di ritenere che

il socialismo non è un cane morto; assumerlo apertamente come punto di riferimento non è un ritorno al passato, ma semmai un ritorno al futuro.

Ma nonostante questo, aggiunge Franchi,

[f]aremo la nostra parte perché si tratti di una separazione il più possibile serena e consensuale, non illividita da quello spirito di scissione che la sinistra si porta appresso da una vita. Perché i riformisti restino amici e compagni - una comunità di amici e di compagni - anche se le strade si divideranno.

Altro che festa, insomma. L’eterno ritorno di separazioni, riunificazioni, rotture, ricuciture, e poi di nuovo spaccature, riunificazioni … La storia della sinistra. Ma questa nuova avventura sarà chiarificatrice, si potrebbe pensare. Magari, magari lo fosse, ma non credo che sarà così. E’ vero che la “questione socialista” andava affrontata, che il farlo adesso è già qualcosa, ma il guaio è che, nel frattempo, la storia non si è fermata ad aspettare che i post comunisti si decidessero a fare i conti con se stessi—con il proprio passato, innanzitutto, perché la questione socialista ha a che fare essenzialmente con quello. E se per caso, dico, quella storia che ha preservato dal disastro quel piccolo resto della sinistra che si chiama riformismo—dopo aver spazzato via chi riformista non ha mai inteso essere o diventare—lo stesse ora mettendo radicalmente in discussione? Perché mai, infatti, in un mondo in cui tutto cambia così in fretta, si dovrebbero fare sconti al riformismo, malgrado i meriti indiscutibili che pure ha accumulato nel tempo?

Non occorrerebbe, oggi come oggi, mettersi nell’ordine di idee che se non si è capaci di andar oltre lo stesso riformismo si finisce per non andare da nessuna parte? E invece ci si vorrebbe attardare a discutere sul socialismo, anzi, si vorrebbe in qualche modo ripartire da lì, quando sappiamo bene che il riformismo riformò per l’appunto, in primo luogo, il socialismo medesimo. Tutto questo ha uno strano sapore: quegli irriducibili oppositori del futuro partito democratico accusano i propugnatori del medesimo di fuga in avanti, ma qualcuno prima o poi dovrà pur spiegare loro che una fuga in avanti non è una soluzione peggiore di una fuga all’indietro! Così, tra due impasses terrificanti, si trascina il dramma della sinistra italiana.

Nel frattempo, scendendo dall’Iperuranio, sembra prender corpo l’ipotesi di una riforma elettorale alla tedesca. E siccome, al di là di tutto, credo che l’intelligenza di molti dei succitati pezzi di storia del socialismo italiano meriti un profondo rispetto, mi permetterei di collegare questa ipotesi con il progetto di cui sopra. Il che potrebbe aiutare a capire qualche passaggio un po’ problematico di tutto il ragionamento. Ma non vorrei peccare di cinismo.

Ascoltare (anche in rtardo) Rudy Giuliani

Ho ascoltato soltanto ieri sera tardi (complice il week-end), grazie ad Abr, il discorso tenuto qualche giorno fa da Rudolph Giuliani al CPAC 2007 - Conservative Political Action Conference, a Washington. Meglio tardi che mai, però, perché ne valeva la pena.

A prescindere dal colore politico—che al momento mi interessa molto poco, sia per quanto concerne l’Italia sia per quel riguarda il resto del mondo—e da qualsiasi considerazione legata alle appartenenze, «italianità» compresa (che però non guasta …), credo che il candidato migliore alla presidenza del Paese leader della democrazia nel mondo sia lui, e di gran lunga.

Il discorso, tra l’altro, mette in evidenza uno stile diretto, semplice, “non impostato” e persino un po’ impolitico, nel senso migliore del termine, cioè privo di fronzoli, alieno dalla retorica e dalla captatio benevolentiae (à la Veltroni, tanto per capirsi). Credo che farà breccia nell’elettorato americano, anche al di là di ciò che dicono i pur incoraggianti sondaggi, al pari della storia personale del candidato.