March 22, 2007

Il blog e l'arte del domandare

[DUE AGGIORNAMENTI RECENTI IN QUESTO POST]


La filosofia è la disciplina del domandare e del ricordare.
—Hans Georg Gadamer

L'ingegno di un uomo si giudica meglio dalle sue domande che dalle sue risposte.
—Duca di Lévis

Le risposte sono capaci di darle tutti, per fare le vere domande ci vuole un genio.
—Oscar Wilde

La chiave di tutte le scienze è indiscutibilmente il punto di domanda.
—Honoré de Balzac

Questa formidabile sequenza di elogi d’autore dell’arte del domandare si legge nel «Mattutino» odierno di monsignor Gianfranco Ravasi, naturalmente su Avvenire. Pregevole anche il contributo personale del famoso biblista:



È quel «Come?» o quel «Perché?» che affiora incessantemente sulle labbra del bambino, non ancora rovinato dall'indifferenza o dalla delusione, domande capaci di mettere in crisi l'adulto che non si pone più interrogativi, perché ormai il fremito della ricerca in lui s'è spento.

Qui, con una certa libertà, mi aggancerei per una considerazione estemporanea sui blogs politici. Mi sembra, cioè, che in giro ci sia una netta prevalenza di bloggers che si dimostrano ansiosi—anche giustamente, sia chiaro—di suggerire, proporre e talvolta tentare perfino di imporre, per lo più in maniera argomentata (per fortuna!), delle risposte. Pochi sollevano dubbi, pongono domande, esprimono una volontà di ricerca, prima di mettere in circolazione il proprio punto di vista. Questa non mi sembra una cosa buona.

Inoltre, cosa non secondaria, ci si attarda poco a citare e commentare opinioni altrui, autorevoli e collaudate, a vantaggio delle proprie, con un eccesso, a mio parere, di «autostima». Ora, è ben vero che avere fiducia nella propria capacità di giudizio e discernimento è un fatto positivo, ma, appunto, non bisogna neppure esagerare, anche perché l’autostima che non si sostanzia di un sistematico e rigoroso esercizio critico verso se stessi e le proprie convinzioni—passando attraverso un confronto serrato con le opinioni altrui, meglio se diverse o almeno non collimanti con le nostre—spesso finisce per sfociare nell’auto-referenzialità e nell’auto-compiacimento, includendo nell’auto- anche le appartenenze di cui ci nutriamo.

La qualità di un blog politico, secondo me, si misura, più che dagli “editoriali,” dalle buone rassegne stampa, più che dalla facilità di giudizio, dalla prudenza, più che dalla univocità del messaggio, dalla capacità di riconoscerne la relatività. Il che, per altro, non significa affatto una resa al solito, malefico relativismo!

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UPDATE 1 / 23-03-2007
Di questo post si è discusso con Enzo Reale via email. Ne è nato un altro post che porta acqua al mulino dell'asserire invece che a quello del domandare. Personalmente direi che l'una cosa non vieta l'altra, e che anzi queste siano le due facce dell'identica medaglia. Insomma, sono d'accordo con Enzo pur restando d'accordo con me stesso. Ancora una volta, non aut-aut ma et-et, come piace dire al grande Vittorio Messori.

UPDATE 2 / 25-03-2007
Ho visto con piacere che altri due bloggers si sono inseriti nel dibattito con interventi molto interessanti. Si tratta di Nullo e di JimMomo. Il primo, tra l’altro, riferisce sinteticamente di un dibattito svoltosi recentemente nella blogosfera britannica e che ha visto protagonisti Oliver Kamm e Norman Geras. Lo ringrazio sentitamente perché, pur seguendo con una certa assiduità entrambi i blogs in questione (soprattutto quello di Norm), mi ero perso questo intelligente scambio di opinioni. Vorrei tornarci un attimo anch’io.

Dunque, Norm ha sintetizzato così il pensiero di Oliver Kamm:

Oliver's argument (following Cass Sunstein) seems to be that, despite allowing a greater number of voices and range and variety of opinion, the overall effect of blogs is to lead people to look for, and stick with, the ideas and arguments with which they're comfortable, so that what you get is not a genuine conversation but an echo chamber, with participants standing firm on fixed positions and sometimes indulging in abuse, rather than engaging with one another in a thoughtful way.

Ebbene, attenzione, la risposta di Norm è interessante e, a mio avviso, condivisibile:

Given how much of blogging consists of bloggers and commenters taking issue with one another, the suggestion is implausible to me that they're less exposed than they would otherwise be - without the blogosphere - to opinions different from their own.

Dunque, bisogna distinguere bene e, pur senza voler minimizzare certi difetti molto diffusi nella blogosfera, non addebitare al blog in quanto tale colpe che sono semmai molto più generali. Infatti Norm dà ragione a O.K. su un punto:

At the same time, Oliver is plainly right that blogging debate - as is evident at Comment is Free but on many other sites as well - includes a lot that isn't conducive to deliberation, in a good meaning of that word, or to open-minded consideration of the views of others. It is striking how far modes of address and argument are tolerated in the blogosphere that would not be in a seminar or democratic public meeting. Not only would the chair intervene. Against some of the excesses now taken as par for the course in blogospheric debate it is probable there would be a more collectively expressed disapproval.

La conclusione del Prof. Geras, mi pare, è da manuale: non è questione dello strumento in sé, si tratta di tentare di elevare il livello culturale della discussione nella blogosfera. Ecco come si esprime Norm:

But if, from a democratic point of view, there is this shortcoming of debate on the blogs, it needs to be dealt with practically by trying to improve the culture of Internet discussion. There is nothing about the medium as such, about the sheer availability of this new space for debate, one open to much larger numbers of people and to every point of view, that impoverishes democracy.

Condivido parola per parola.

Quanto a JimMomo, condivido assolutamente che “i blog sono competitivi - e molto - rispetto ai media tradizionali.”

Trovo abbastanza scontata anche l’osservazione che

[c]hi prova a dare le risposte non per questo ha rinunciato alla funzione del dubbio. In qualsiasi percorso di ricerca esiste anche il momento in cui occorre mettere un punto. Per la chiarezza e l'intellegibilità della ricerca stessa. E perché è da quel punto che si può proseguire senza perdere il filo del discorso.

Altrettanto giusta è la rivendicazione della consapevolezza che

il primo esercizio di critica è proprio il mettere in discussione verità e versioni della realtà fornite da fonti «autorevoli e collaudate».

Ci mancherebbe altro. Quindi penso che siamo perfettamente d’accordo su questo. Il problema è, appunto, quello che sollevava Norman Geras: elevare il livello del dibattito.

Ma JimMomo aggiunge un’osservazione polemica che suona così:

A me pare […] che lo sport preferito di qualcuno sia presentare argomenti ostentando una retorica dubbiosa, ma tra le righe proponendo una visione della realtà nient'affatto neutra e sospesa come si vorrebbe far credere.

Questo è un altro discorso. Ma anche qui bisogna distinguere: certo che sui principi si possa (o si debba) avere “una visione della realtà nient'affatto neutra.” Il problema è quando cali i principi e la Weltanschauung che hai abbracciato nella realtà concreta. E’ sempre difficile far discendere da dei principi generali dei comportamenti univoci nella concreta realtà della vita. Qui è doveroso esercitare il dubbio. Certo, tra le righe uno può scorgere una “preferenza,” ma questa non viene sbandierata come un giudizio apodittico, bensì viene, appunto, presentata come una possibilità alla quale si dà un certo credito. Gli esempi potrebbero essere infiniti. Ne scelgo uno: E’ giusto combattere con determinazione la W.O.T (War On Terror)? Sì (secondo me). Bush ha scelto le modalità più opportune per combatterla? Qui il dubbio è doveroso. Poi uno può dire che, nel complesso, appoggia la politica americana sull’Iraq, ma mantiene delle riserve (che possono anche essere piuttosto pesanti). Questa non è ambiguità. E’ la vita, la storia, la politica, che non sono mai semplificabili oltre un certo livello.