August 20, 2006

Ecco il vero terzista: Furio Colombo!

Quando si dice l’onestà intellettuale, l’obiettività, l’esser super partes non come “figura retorica”—se ci si passa l’espressione—e tanto per far bella figura, bensì come Weltanschauung. L’ammirazione è tanta, devo ammetterlo, e faccio fatica a contenerla, a dissimularla quel minimo, come si converrebbe in una discussione pacata ed equilibrata, così come occorrerebbe contenere il sentimento opposto: l’aperto disprezzo, la violenta disapprovazione. Ma che vogliamo farci, lo stupore è tanto, trabocca da ogni lato e lo devo manifestare.

A chi è diretto questo (esagerato) elogio, da cosa e da chi è stato motivato? Ebbene, basta ciccare un titoletto di giornale (online) per scoprirlo: Suppletive di Londra, crollano i laburisti, vince chi si è opposto alla guerra. E per capire che L’Unità di Furio Colombo non è un semplice quotidiano di partito, uno come gli altri, dal momento che si può sfidare chiunque a capire al volo, leggendolo, che il partito in questione è quello dei ds. No, appunto, non si tratta di un qualsiasi quotidiano di partito. E’ molto di più (o di meno, a seconda dei punti di vista).

Insomma, basta un clic per rendersi conto di cosa significhi, in concreto, il terzismo che ieri Il Riformista portava sugli scudi (vedi il mio post precedente), capitalizzando giustamente la vulgata che Paolo Mieli, suprema autorità in materia, ha messo a disposizione di noi tutti onde renderci finalmente edotti sul significato di quellaa magica paroletta.

Basta un clic per nobilitarsi. Il Labour ha perso una consultazione elettorale di secondo piano (e di cui si sono accorti praticamente solo Colombo e i suoi intimi)? Benissimo, mettiamolo in prima pagina! E facciamo vedere a tutti che la politica non è saltare di qua e di là con il pugnale tra i denti. E diamo un colpo mortale alla faziosità. Grazie per esistere, Furio Colombo!

[Il presente post è stato pubblicato per la prima volta presso windrosehotel.ilcannocchiale.it il 19 settembre 2003]

Il silenzio è d'oro

Antonio Tabucchi fa uno strano elogio del silenzio sul manifesto di oggi. Il silenzio del presidente Ciampi. L’incipit è degno di "Guerra e pace"—come è in fondo giusto che sia, dato il livello egregio di colui al quale il quotidiano comunista ha oggi affidato l’editoriale:


"Ci sono momenti nella vita e nella storia in cui un decoroso silenzio rivela tutta la statura morale della persona."

Grande, vero?

Ma non è niente, guardate qua:

"Da quando Berlusconi ha formato il suo governo, molti sono stati i momenti in cui il decoroso silenzio è stato superiore alle offese e alle volgarità. "Questo è il futuro ministro delle riforme istituzionali", disse Berlusconi a Ciampi presentandogli Umberto Bossi. Ciampi reagì con decoroso silenzio."

Ci sono parole per magnificare come si merita questo sublime esempio? Certo che no. E la conclusione di questa superba galoppata politico-letteraria è, se possibile, ancora più riuscita :
"Ciampi sarebbe dunque un pupazzo nelle mani di Berlusconi? La questione è cruciale per la democrazia italiana, ma forse per la classe politica è meglio che gli italiani non se la pongano. Sarà risolta forse in decoroso silenzio? Da ciò dedurremo che la costituzione italiana ha un solido garante: il silenzio."

L’editoriale si intitola Il silenzio è d’oro. Ce ne ricorderemo a lungo. E vorremmo che questo elogio del silenzio divenisse una regola, un must, un’aspirazione per tutti, ad eccezione, ovviamente, dei nostri cari manifestini: sul loro silenzio nessuno si faccia illusioni, nessuno ci speri. A Tabucchi, poi, la bocca non la tappa nessuno. Oltretutto, chi potrebbe elogiare il silenzio meglio di lui?

[Il presente post è stato pubblicato per la prima volta presso windrosehotel.ilcannocchiale.it il 2 luglio 2003]

Tabucchi: contro Ciampi (da non perdere)

E’ stata una giornata spettacolosa. Mare calmo, aria limpida e fresca, nuvole bianche e sottili, allungate dai venti. Sole. Perché lasciarsi distrarre dall’attualità politica?

A notte inoltrata, però, un colpo di coda. Una folgorazione. Il solito Antonio Tabucchi sul manifesto. Di lasciar perdere neanche se ne parla. Scrive a Ciampi (per la decima o undicesima volta, mi dicono). L’esordio, stavolta, è degno di Cicerone. Spalancare le pupille, please:

"Illustre Presidente della Repubblica Italiana, non è la prima volta che Le pongo questioni. Lei lo ricorderà, anche se di norma non risponde. Cominciai con una Sua frase, secondo me assai infelice, di comprensione verso i cosiddetti "ragazzi di Salò". L'Italia, come è noto, non ha mai fatto né pulizia né ammenda, neppure simbolica, come la Francia e la Germania, del proprio sordido passato; e infatti oggi nell'attuale governo ci sono segretari o sottosegretari ex-repubblichini (fucilatori?) che ho sentito pubblicamente vantare nei Suoi confronti amicizia e confidenza. A me non piace. A Lei piace? Lei, che si dice abbia fatto la Resistenza, a tali questioni come dicevo non risponde. Ma, per usare una formula di moda oggi in Italia, 'mi consenta' di insistere. (...)."

Come sapete, io sono un grande estimatore del Tabucchi. E, se ho sempre espresso disgusto per quanti giocano volgarmente con le parole trasformando i cognomi, a fortiori mi ribello con sdegno a coloro i quali non si peritano di dilettarsi nella squallida arte a spese del Nostro, andando a cogliere somigliasnze, rime e assonanze tanto più spregevoli quanto più si riferiscono ad un Autore di grande profondità e maestria, in guisa tale da farlo divenire di volta in volta il Signor Mammalucchi, Messer Trucchi, e via discorrendo. Dirò di più: un fremito di rabbia mi prende ogni volta—e accade spesso, purtroppo—che mi imbatto in siffatti usurpatori della pubblica attenzione!

Sono un estimatore di Antonio Tabucchi, dicevo, e quindi non sono proprio imparziale. Ma come posso tacere la mia strabiliate ammirazione per le parole che ho citato?

Quel magnifico accenno al passato del Presidente ("Lei, che si dice abbia fatto la Resistenza"), quella sublime ironia, quella finezza nel mettere vagamente in dubbio ciò che è di pubblico dominio, sfidando il buon senso e financo il buon gusto oltre che l’intelligenza! Superbo! Impavido Tabucchi! E quella citazione, quel "per usare una formula di moda oggi in Italia, "mi consenta" di insistere"? La sottile allusione al Berlusca è veramente di una originalità e di una genialità senza pari!

Risparmio a chi legge queste misere note il resoconto del seguito del coraggiosissimo j’accuse. Ma chi lo desidera lo potrà ritrovare in rete degnandosi di seguire il link diretto (o, se non funziona, cercando il pezzo sulla prima del manifesto del 4 di luglio (che era ieri, essendo oramai l’una di notte). E buona lettura!

[Il presente post è stato pubblicato per la prima volta presso windrosehotel.ilcannocchiale.it il 5 luglio 2003]

Tabucchi, siam pronti alla morte!

Sono lieto di rivelare pubblicamente che quasi esattamente due anni fa Antonio Tabucchi conquistò la mia incondizionata ammirazione. Sì, quando prese carta e penna e scrisse per Le Monde un infuocato j’accuse contro il presidente della Repubblica. Ciampi, non Chirac, s’intende. Troppo facile, troppo banale criticare il capo dello Stato francese su un giornale francese, no, il vero coraggio, la vera gloria, è lavare i propri panni in casa d’altri. E che sarà mai, in fondo?

Che malinconia quando penso a quanto sono miseri gli argomenti di coloro i quali si scandalizzano per questo nobile e disinteressato esercizio di “sputtanamento” (con licenza parlando) del proprio Paese su un giornale che, questo bisogna pur riconoscerlo, non perde occasione per fare le pulci—per amore, è ovvio, solo per amore!—ai cugini d’oltralpe! Quanto provinciale e démodé questo modo di ragionare!

E cosa importa se trovare un francese che sia disposto a fare altrettanto nei confronti del proprio Paese è un’impresa quasi impossibile? Non siamo forse proprio noi italiani coloro i quali hanno portato la civiltà al di là delle Alpi? Insegniamogli noi, dunque, al cuginastro (in senso ironico!), che cos’è la signorilità, l’obiettività, oserei dire la “ferocia”—ecco la parola!—verso se stessi, quella che arriva a calpestare qualsiasi cosa, a cominciare da quel concetto noioso e démodé, appunto, che è il senso dell’onore nazionale!

Che dovrei dire, allora, della mia gioia, del senso di liberazione che ho provato oggi, quando ho appreso dal Corriere della Sera che Tabucchì (come affettuosamente lo chiamano i francesi) l’ha rifatto?

Questa volta, però, il bersaglio non è l’oramai straperdonato presidente Ciampi—con una magnanimità di cui un po’, via, siamo grati al grande Scrittore. No, stavolta il bersaglio è un altro, più modesto, ancorché infinitamente più meritevole della pubblica deprecazione, e financo di quel purissimo e incontaminato sentimento che solo gli stolti chiamano odio, mentre dovrebbe chiamarsi molto più sobriamente indignazione—oh che nobile e poetica espressione!

Il bersaglio, dicevamo, stavolta è il misero Giuliano Ferrara. Tabucchì racconta le ben note e recentissime diatribe, che rappresentano un «ritratto eloquente» dell’Italia, «Paese intimidito, disorientato, in larga misura imbavagliato nel suo sistema d’informazione». Un ritratto dove si parla di mafia, di bombe, di stragi, di terrorismo e delle «vecchie amicizie che certamente Ferrara ha nella Cia».

Il bieco Ferrara, ricorda il Nostro, ha detto: «Se mi ammazzano, ricordatevi che i mandanti linguistici sono Antonio Tabucchi e Furio Colombo, in concorso tra loro». Ebbene, queste sono parole «abiette», osserva con lucidità l’insigne Letterato, dietro le quali si cela la volontà di «far tacere uno scrittore che, come me, utilizza lo strumento della parola». E di qui il titolo dell’articolo, la «fatwa» (ma all’incontrario) che Ferrara avrebbe lanciato contro Tabucchì indirizzandosi «a uno sconosciuto affinché costui mi tappi la bocca in tempo, per disinnescare la libertà di parola di cui dispongo».

Noi uomini liberi, caro ed illustre Scrittore, siamo con te. Ora devo scappare perché ho terribilmente da fare, ma sappi che siamo con te. Usque ad mortem. Tuam, innanzitutto, nel caso il criminale appello sortisca l’effetto desiderato, e nostram in subordine .... E se anche il fato dovesse crudelmente precludereci l'estremo sacrificio, sappi che noi, amaramente destinati a sopravvivere a tanto strazio, ti onoreremo sempre! Per quello che sei. Occorre essere più espliciti?

[Il presente post è stato pubblicato per la prima volta presso windrosehotel.ilcannocchiale.it il 9 ottobre 2003]

Dystopia, the evil twin of (Rorty's) Utopia

A dystopia is ‘an imaginary, wretched place, the opposite of Utopia’ (Cassel's Concise English Dictionary).

According to the Oxford English Dictionary, the term was coined in the late 19th century by John Stuart Mill, who also used Bentham's synonym, cacotopia, at the same time. Both words were based on utopia, analyzed as eu-topia, for a place where everything is as it should be; hence the converse "dys-topia" for a place where this is certainly not the case. [See also Wikipedia On-line Dictionary]

“Ok—you might say—but who cares?” Or, to paraphrase a famous Canadian journalist: "Tell me something new about something I care about!" Well, my answer is quite simple: I just don't know whether or not that “imaginary, wretched place” is something new, but you should care about your own future! Because dystopia could be the world we are going to live in tomorrow, at least according to Norm, and assuming that Richard Rorty is right … As for me, may I take the liberty of saying that Norm is right as much as Richard is (hopefully) wrong?

[This post was first published at windrosehotel.splinder.com on April 29, 2004]

Rome says NO to Mr Ahmadinejad

More than 10,000 Italians (may be 15,000) held a candle-lit vigil outside the Iranian embassy in Rome on Thursday night. It was a bipartisan demonstration, or “half-caste,” as Giuliano Ferrara put it. Mr Ferrara is the editor of Il Foglio—a conservative daily newspaper—and the promoter of the procession, organised in reaction to the threatening assertion of the President of Islamic Republic of Iran that “Israel should be wiped off the map.”

“All those who called me—said Ferrara—from abroad were amazed. French and American friends, such as Wiesel, Cohn-Bendit, and Podhoretz, told me they were astonished in front of a happening they consider unique in the world. For the first time in the Western World people don’t rally against an imperialist, zionist, “bad,” “right wing” country, but in defence of it. They don’t burn Star-of-David flags, they wave them. People don’t defend to the bitter end the rights of a Third World country, they challenge its President's threats—Iran can’t afford to cancel Israel, nor can it afford to threat it.”
[Corriere della Sera, in Italian]

Piero Fassino, the secretary of Democrats of the Left—Italy's largest opposition party—, was one of the politicians taking part in the demonstration.
“Like many other citizens—he said—, I’m here to reaffirm the absolute necessity of Israel’s existence. Peace in the Middle East will come with one state more, not one state fewer. “It's our duty—he added—to support all those fighting for democracy, freedom and reform in Middle Eastern countries”.

Walter Veltroni, the mayor of Rome and he himself a Democrat of the Left, participated in the rally. “Might this happen in London?”—asks Professor Norman Geras from his weblog. And “would [Veltroni’s Londoner equivalent] Ken Livingstone participate?”

Of course I don’t know. I can’t know. Yet, I hope what happened in Rome last Thursday will not remain the “unique” event which Giuliano Ferrara was talking about.

The most comprehensive report in English on the demonstration is here (Corriere della Sera, International Edition).


[This post was first published at windrosehotel.splinder.com on November 5, 2005]