March 14, 2007

E il Papa chiuse il discorso

E con l'Esortazione post-sinodale Sacramentum Caritatis Benedetto XVI pose fine a un’illusione “un po' superficiale,” come scrive Massimo Franco sul Corriere di oggi, quella, cioè, di “una Cei «liberata» dal cardinale Camillo Ruini, e dunque meno arcigna verso l'Unione.” Il messaggio, infatti, è di una chiarezza cristallina e non lascia neppure uno spiraglio a volesse “leggerlo” come un ragionamento che si tiene al di sopra delle polemiche contingenti, che vola alto, ecc., ecc. Niente di tutto questo: non ci può essere alcun dubbio su coloro ai quali il messaggio è rivolto in primis. Ecco il passaggio chiave:


Il culto gradito a Dio, infatti, non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana.

A scanso di equivoci, inoltre, il Pontefice ha aggiunto subito dopo questo pro memoria per i suoi confratelli più prossimi gerarchicamente:


I Vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato.


Va bene, chiuso il discorso, si potrebbe dire. E infatti che altro si può aggiungere? Ruini aveva sparigliato qualche giorno prima di lasciare la presidenza della Cei, ed ora lo ha fatto addirittura il Papa …

A chi legge, comunque, se non il diritto all’interpretazione letterale (resa superflua, appunto, dalla chiarezza del messaggio), resta il compito di riflettere sul perché e sul percome, sugli obiettivi, le cause, il contesto e le conseguenze (immediate e di medio-lungo termine) di tanta nettezza. Insomma c’è pur sempre spazio per l’ermeneutica e per quegli approcci, testuali e non, che doverosamente si avvalgono di tutti gli strumenti e dei metodi di indagine che abbiamo a disposizione. Questo ci spetta e questo cerchiamo di fare anche qui (con tutti i limiti, non è neanche il caso di puntualizzare).

Al dunque, l’idea è quella di agganciarmi a un carro di quelli che non tradiscono mai: quello di Vittorio Messori, un cattolico senza peli sulla lingua e nel contempo uno “spirito laico” altrettanto rigoroso e poco incline a lasciarsi racchiudere in schemi di comodo. In un’intervista del 3 marzo scorso di cui pochi hanno saputo, in quanto rilasciata a Il Nostro tempo, un settimanale cattolico tanto prestigioso e ben fatto quanto poco noto al grande pubblico, Messori ha affrontato in maniera molto esplicita le questioni che sono al centro del dibattito. Il suo approccio mi sembra estremamente interessante, e in grandissima parte lo condivido.

Dunque, sollecitato da una domanda secca del direttore Beppe Del Colle (che idea si è fatto della bagarre politico-mediatica sul "caso Dico?") Messori ha risposto così:


[D]evo dire che non ho alcuna intenzione di partecipare a crociate su simili temi. E non perché non ne veda l’importanza. Ma perché vedo anche l’effetto che provocano su tanti non credenti queste battaglie su temi morali. L’etica cristiana, e cattolica in particolare, è sempre più incomprensibile al di fuori di una prospettiva di fede. Non nego, certo, l’esistenza di una “morale naturale“, ma essa è sepolta e forse ormai irriconoscibile per molti sotto l’ammasso di punti di vista divenuti ora egemoni ma accumulati sin dal secolo dell’Illuminismo.
[…]
Per il pensiero dominante tra la gente, per la quale la fede è ormai un oggetto sconosciuto, l’insegnamento morale della Chiesa appare non solo retrogrado ma anche fastidioso. Invece che rispetto provoca dispetto, avversione, rivolta, invettive contro “i preti che vogliono mettere il naso“. Soprattutto in camera da letto.
Sono convinto che, noi cristiani, dovremmo deciderci a riscoprire la vocazione che ci ha indicato Gesù stesso: piccolo gregge, granello di senape, sale, lievito. Abbandonando le nostalgie di una cristianità da tempo perduta e che, forse, non merita poi tanti rimpianti. Abbiamo il diritto-dovere di dire la nostra, la Chiesa deve ricordare che non si può pretendere il suo plauso quando non può concederlo, dobbiamo ricordare che se hanno uno statuto perfino le bocciofile, la Chiesa è aperta a tutti ma ha le sue regole che occorre rispettare se si pretende di definirsi
“cattolici“. Tutto qui, riannunciando il kérygma ma non dimenticando mai la logica della parabola del seminatore che non può pretendere che la semente cada sempre su terra feconda.

L’intervista, davvero molto interessante, chiarisce e approfondisce ulteriormente quanto sopra, per poi addentrarsi in altre questioni importanti (in particolare: chi sono i nemici della Chiesa, il giudizio sulla fase politica attuale e persino sui sistemi elettorali ...). Ma l’essenziale, quello che qui ci interessa, è sintetizzato nel brano riportato.

Sono in gran parte d’accordo, dicevo, ma mi resta un dubbio. E’ un dato di fatto indiscutibile, secondo me, quello che Messori denuncia sulla “morale naturale” e sulla fede (“oggetto sconosciuto”). Così come trovo del tutto condivisibile l’appello dello scrittore cattolico a “riscoprire la vocazione che ci ha indicato Gesù stesso: piccolo gregge, granello di senape, sale, lievito.” Vada anche—e ci mancherebbe—per la necessità di mettere da parte le nostalgie per “una cristianità da tempo perduta.” Solo non capisco perché, a quanto sembra, Vittorio Messori debba far discendere da tutto questo un abbastanza evidente non-endorsement per la “svolta” ruiniana. Oggi come oggi, però, può darsi che la netta presa di posizione del Papa in persona faccia cambiare idea al Nostro, che è sempre stato un ratzingeriano convinto.

Aggiungo solo che, per quanto mi riguarda, trovo che le parole del Pontefice siano un elemento di chiarezza, un contributo che va in direzione di una maggiore onestà intellettuale da parte di tutti. Personalmente, inoltre, è anche perché ritengo che il Papa abbia ragione che non mi definirei mai, in politica, uno che agisce «in quanto» cattolico. Vorrei mantenere la mia libertà di giudizio (per poi magari scoprirmi assolutamente d’accordo, alla maniera diei bravi “atei devoti” ...). Ma se fossi un militante dell’Udc, dell’Udeur, ecc., non potrei far altro che seguire disciplinatamente il “consiglio” che proviene dal Capo della Chiesa. Pur tenendo conto del contesto che Vittorio Messori ha così ben rappresentato e di quel che ne consegue. Cioè senza farmi troppe illusioni. Del resto, non sono forse gli idealisti senza illusioni quelli che più spesso di tutti riescono a far cambiare in meglio le cose in questo mondo?

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P.S.: Su Rolli c'è un post che affronta molto polemicamente la questione che è all'origine di questo post. Credo che sia interessante mettere a confronto i due differenti approcci—anche se, ad essere sincero, ho troppa stima di Rolli per non pensare che ci sia molto di puramente "provocatorio" nel suggerimento che chiude il suo post. Comunque, tra i commenti ce n'è anche uno mio, in risposta a un'osservazione "cattivella" di Return. Un'occasione per chiarire ulteriormente il mio punto di vista.