September 30, 2006

Frasi fatte ...

Un blog amico riporta questa frasetta indubbiamente birichina, pronunciata da Francesco Nucara (segretario del Pri):

“E’ davvero una formidabile coincidenza quella tra lo sciopero dei giornalisti previsto il 29 e 30 e la presentazione della Finanziaria. In questa maniera sulle fortissime divergenze all'interno dell'Unione cala un pietoso silenzio ...”

Io la giro ai lettori di quest’altro blog, non sia mai che qualcuno la trovi anche «perfetta». Buon week-end.

September 29, 2006

Back home again

This second-century Sabina is among the returned items
Months of negotiations, but at last they came back home. The Museum of Fine Arts, Boston, on Thursday formally turned over to Italy 13 archaeological treasures that were looted from Italian soil: a majestic statue of Sabina, the wife of the second-century Emperor Hadrian; a marble fragment depicting Hermes from the first century A.D.; and 11 ancient painted vases.

Le ragioni del nordest

Una lettura interessante, soprattutto per chi non vive nell’Italia del nord, e in particolare in quella nord-orientale, è offerta oggi dal Foglio, che dà spazio alle opinioni del direttore della Fondazione Nord Est, Daniele Marini. Emerge in maniera abbastanza chiara quello che una sinistra “che ancora legge il mondo con le lenti ideologiche ultracentenarie” non ha capito di una parte importante del Paese, dove per altro il centrosinistra, solo qualche mese fa, ha subito una sconfitta devastante, seguita da un risultato forse ancor più imbarazzante nel referendum sulla devolution. Tutto sommato, comunque, niente di nuovo, solo che, come si sa, repetita juvant.

Dice Daniele Marini:

“La sinistra italiana ha del nord un’immagine distorta: lo stereotipo del padroncino avido, dell’evasore fiscale, di un mondo ricco e ignorante. Queste realtà esistono, ma non sono rappresentative di un’umanità più complessa”.

L’articolo prosegue così:

Qualche numero: il 90 per cento delle imprese ha meno di dieci dipendenti, c’è un’impresa ogni quattro famiglie (“cioè: il conflitto di classe è virtualmente inesistente, perché ogni non-imprenditore ha amici e parenti che fanno gli imprenditori”).

Infine, e forse più significativo, il 58 per cento degli imprenditori hanno cominciato facendo gli operai. Per Marini, “questo dato è particolarmente interessante in prospettiva: i dipendenti hanno l’aspettativa, o la speranza, di farsi imprenditori. Quindi la loro coscienza di classe non è quella dell’operaio, ma del quasi-imprenditore. In questo quasi-imprenditore, così come nell’imprenditore vero e proprio, quando si parla di nuove tasse o di toccare la casa, scatta una reazione di rigetto”. Del resto, nei suoi anni d’oro la Lega faceva man bassa di voti anche in quegli strati sociali che tradizionalmente si rivolgevano a sinistra, e che anche oggi non di rado votano Casa delle libertà.

Attenzione, però: “Il voto per la Lega prima, per la Cdl poi, non va confuso con una scelta strettamente antistatalista, sebbene l’antistatalismo possa esserne una componente. Lo dimostrano le ultime elezioni politiche, quando nel nord sono cresciuti partiti come l’Udc e An.

Piuttosto, la chiave di lettura per comprendere questa società laburista, che trova nel lavoro il suo valore fondante, sta nella ricerca di autonomia: Roma, e per certi versi la stessa Milano, è percepita come realtà estranea, che con le sue decisioni complica la vita alla gente che lavora”.

Il punto, insomma, non è – astrattamente – ridurre il peso dello stato, ma, semplificare e rendere più efficienti i processi burocratici: prima di tutto, il nord chiede allo stato di funzionare meglio. Tutto questo è semplicemente incomprensibile per la sinistra radicale, e non solo quella.

Naturalmente, nel centrosinistra c’è chi è più attento a questa sensibilità: Enrico Letta e Pierluigi Bersani, per esempio. Eppure, ragiona Marini, “Letta e Bersani, molto apprezzati, non vengono da qui: il nord soffre anche di una drammatica sottorappresentazione. Un’area che produce un terzo del pil italiano non è riuscita a esprimere una vera classe dirigente. Massimo Cacciari o Filippo Penati sono eccezioni isolate nei loro stessi partiti. Il centrosinistra non convince il nord delle sue velleità riformiste”.

Il Partito democratico potrebbe rassicurare le regioni settentrionali? “Potenzialmente sì, ma temo che il dibattito infinito che si trascina fin dai tempi delle primarie lo trasformi in un progetto vecchio prima di essere nato”. Il rischio, per il centrosinistra, è che s’inneschi un circolo vizioso: “La sua immagine spaventa il nord, che gli vota contro, indebolendo ulteriormente la componente settentrionale dello schieramento. Se ne può uscire solo prendendo il nord sul serio e tentando di rispondere alla domanda di riforme”.


September 28, 2006

Viva W. A. Mozart!

(Updated) Allora, che posso farci? Mi tocca riprendere—con tutte le mie inadeguatezze, ben inteso, e in maniera dilettantesca—le difese del Papa, manco fossi diventato un ultrà clericale, visto che da un po’ quasi non faccio altro. Ma non ho scelta, perché se ne sentono e se ne leggono di tutti i colori, e uno non può starsene zitto e buono e pensare a cose meno impegnative, soltanto un po’, dico, ché non si pretende di fare del blogging leggero (magari avessi quel talento!).

Le ultime notizie, quelle alle quali mi riferivo un attimo fa, sembrano venire da un altro mondo. Una è la recente decisione della Deutsche Oper di Berlino di annullare, onde non offendere la sensibilità dei musulmani, l'Idomeneo di Mozart, che segue di poco un paio di decisioni analoghe: quelle prese a Ginevra (sospensione del Maometto di Voltaire) e a Londra (censura del Tamerlano il Grande di Christopher Marlowe).

Un’altra, riferita da Magdi Allam in un articolo piuttosto preoccupato e indignato (in cui si commenta anche la cancellazione dell'Idomeneo), è quella delle dichiarazioni rilasciate martedì sera dal padre gesuita Thomas Michel, per molti anni capo dell'Ufficio per l'islam del Consiglio per il dialogo interreligioso del Vaticano, ma tuttora consulente del Vaticano e segretario del Dialogo interreligioso della Compagnia di Gesù e della Conferenza della Federazione dei vescovi dell'Asia. In pratica, sul sito www.islam-online.net, legato a filo doppio al ben noto islamista e predicatore d'odio Youssef Qaradawi, il gesuita ha risposto in diretta a qualche domanda facendo affermazioni di questo tipo:

«Noi cristiani dobbiamo delle scuse ai musulmani. Il Papa avrebbe potuto far riferimento alle crociate, volendo criticare la violenza ispirata dalla religione, senza offendere gli altri. [… ] Il Papa non si è scusato ma autogiustificato. Mi attendo delle scuse chiare, nette e dirette. […] Non credo che le dichiarazioni del Papa siano state sagge. Spero che non alimentino la violenza e che i musulmani accetteranno le sue scuse e lo perdoneranno. […] Credo che i media occidentali siano ingiustamente ossessionati dall'islam. Penso che tutti i fedeli delle religioni, compresi i cristiani, debbano essere riconoscenti ai musulmani per aver sollevato i temi di Dio e della fede nelle nostre società secolarizzate.»

Ovviamente, sul fatto che il Pontefice non si sia affatto scusato sono perfettamente d’accordo. Un discorso a parte meriterebbe l’accenno alle crociate, ma bisognerebbe scomodare qualche storico alla Franco Cardini e immergersi con un minimo di serietà e rigore in una vastissima e complicata, ancorché appassionante, materia. Per quanto riguarda la questione della «saggezza» o meno, è chiaro che qui siamo di fatto alla ribellione aperta. Ma questo tocca anche aspetti "disciplinari" di cui devono interessarsi coloro i quali si devono occupare “per contratto” di queste faccende, mentre a noi lettori spetta solo giudicare, per così dire, le implicazioni culturali e politiche delle parole. E nel dare del poco saggio a Benedetto XVI, di siffatte implicazioni se ne trovano a palate. Come nell’esprimere speranza nel «perdono» islamico. E come, non occorre neanche dirlo, nell’esprimere «gratitudine» a coloro che, come l’ottimo Youssef,

Predica[no] la sconfitta del cristianesimo e l'annientamento della civiltà occidentale, la distruzione di Israele e il castigo eterno agli ebrei, inneggia e legittima il terrorismo suicida palestinese e gli attentati contro gli occidentali in Iraq e Afghanistan.

Insomma, hanno fatto bene, in nome dell’islam e della lotta contro la secolarizzazione dell’Occidente, quelli che hanno buttato giù le torri gemelle, perché in questo modo indubbiamente molto persuasivo ci hanno fatto capire quanto siamo caduti in basso!

La conclusione di Magdi Allam è il consueto (ma sempre più giustificato) grido d’allarme. E la chiamata in causa della “reazione critica, se non ostile, di tanta stampa «autorevole» nei confronti del Papa:”

Se le mie posizioni dovessero coincidere con quelle di Bin Laden, dei Fratelli Musulmani e del regime nazi-islamico iraniano, capirei subito che ho sbagliato. Ma evidentemente c'è una parte di questo Occidente che preferisce infierire contro se stesso anziché difendere la propria civiltà minacciata dall'estremismo islamico. In Italia dovremo aspettare la messa al bando della Divina Commedia per svegliarci dal nostro torpore?

Stavolta, comunque, a dar man forte al solito Magdi—che Allah lo protegga e lo benedica oggi, domani e sempre!—ci ha pensato Il Riformista, che ha pubblicato una riflessione di Mario Ricciardi che arriva a conclusioni non meno allarmate di quelle di Allam. Ecco cosa ha scritto a proposito della cancellazione dal programma della Deutsche Oper dell’Idomeneo:

In gioco è un principio che difende chiunque, anche le menti confuse. La libertà di espressione non è minacciata solo dalle intemperanze dei fanatici, ma anche dalla codardia di alcuni politici. Non c'è, infatti, altro modo di descrivere l'atteggiamento di chi vorrebbe farci credere che l'antilope, astenendosi dall'infastidire il leone, riesca a convincerlo a non mangiarla. Non intendo sottovalutare la serietà dell'allarme per la possibilità di manifestazioni violente o di qualcosa di peggio. Tuttavia, non credo che rinunciare a dire o a fare qualcosa che potenzialmente potrebbe offendere unislamico sia la soluzione. Perchè, allora, non bruciare i libri che contengono espressioni ingiuriose, o anche solo moderatamente critiche, nei confronti di questa religione? O distruggere le opere d'arte, ce ne sono anche nel nostro paese, che rappresentano il profeta Maometto in modi poco lusinghieri? Se la risposta all'intolleranza è rimuovere, cancellare, chiudere, censurare; a che punto siamo disposti ad arrivare? In Germania, come in ogni altro paese europeo, chi desideri criticare un'opera
d'arte può farlo. Nessuno impedirebbe a un islamico che volesse spiegare perché ritiene offensiva la rappresentazione del profeta proposta nell'allestimento dell'Idomeneo di far sentire la propria voce. Si chiama libertà di opinione. Ma se quel che si vuole non è criticare ma reprimere le cose cambiano.

Naturalmente, condivido e sottoscrivo. Chissà se ne prossimi giorni la «cultura laica» europea, in coro, farà sentire la sua voce su questa materia scivolosa.

Update 29/09/06, ore 13,00:
Leggo soltanto ora, su Affari Italiani, che il cancelliere tedesco Angela Merkel

ha definito "inaccettabile" la decisione della "Deutsche Oper" di Berlino di togliere dal cartellone l'"Idomeneo, re di Creta", di Wolfgang Amadeus Mozart, per timore di irritare la suscettibilita' islamica con la scena della testa mozzata di Maometto. In un'intervista al quotidiano "Neue Presse" di Hannover, il cancelliere tedesco ha spiegato che "l'autocensura dettata dalla paura non e' accettabile".
"Dobbiamo fare attenzione a non indietreggiare sempre di più davanti alla paura di fondamentalisti violenti", ha avvertito. Per la Merkel "un'autolimitazione e' ammissibile solo nel quadro di un autentico, totale e non violento dialogo delle culture".
Anche il borgomastro di Berlino, Klaus Wowereit (Spd) ha dichiarato che "una volontaria autolimitazione offre a quanti combattono i nostri valori" il regalo di "una vittoria anticipata". Il ministro dell'Interno bavarese, Guenther Beckstein (Csu) vi legge "la triste conferma che le agitazioni islamistico fondamentaliste contro la liberta' di opinione hanno gia' raggiunto il loro effetto nella nostra societa'".


September 27, 2006

Somewhere in Britain

You may say I am a nostalgic guy, but, after reading Tony Blair’s final conference speech, I cannot help thinking that, as Guardian columnist Martin Kettle puts it,

[h]e may be the past, and it may, as he said, be time to go (body language experts said this was the only insincerely delivered line in the whole text). But this was Blair at his absolute best, vindicating his long reign as Labour's leader. It was so good that it made you ask yourself whether this party isn't out of its mind to be getting rid of him.
[…]
What this party owes to that man is beyond calculation. Labour has been in power for 10 years because of many things - Tory failure, the New Labour internal revolution, a strong economy and many more. But it needs to be said quite simply that without Blair none of it would have happened. It needed a new kind of Labour leader who could speak to the whole nation to make it all come together and to make it sing. And Blair did it - yes, with help and, sure, with colleagues - but in the end this was his doing and only Iraq wrecked it.

Anyway, since I am not a Labour member, nor am I a British citizen—though I consider myself a friend of Britain—it is not up to me to express statements such as the following:

Gordie's oh-so-pedestrian speech is blown out of the water by Cherie saying what everyone knew anyway, followed by a simply superb speech by Our Gorious Leader. What a load of hypocritical tossers (pardon my language but it's what they are) those Labour members are. They've spent the past decade bitching about Blair, and now that he's off into the sunset they cheer him to the rafters.

But how about if it is Stephen Pollard who speaks?

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September 25, 2006

Contrappunti: cosa si può chiedere a un Papa

Azione Parallela cita, a quanto pare condividendolo, un brano del commento che il teologo Vito Mancuso, professore all’Università "Vita e Salute" di Milano, ha scritto per Panorama con riferimento alle parole di rammarico pronunciate dal Papa all'Angelus di domenica 17 settembre:


Il mondo, oggi ha bisogno di parole che uniscano. E chi più di un pontefice («costruttore di ponti») le dovrebbe dire? Il Papa, rammaricato, dopo ha rilanciato il dialogo. Ma ora deve rispondere a una domanda: l'Islam viene da Dio oppure no? Se dice no (come il discorso di Ratisbna sottintende) il dialogo religioso è solo finzione; se dice sì, accetta la teologia delle religioni che ha sempre combattuto da cardinale prefetto [...]. Non è, anzi non siamo, in una situazione facile.

Confesso che sono un po’ sconcertato. Non essendo un teologo, ma solo uno che ha coltivato per qualche tempo (e a puro titolo di curiosità personale) la filosofia e la storia delle religioni, mi trovo sicuramente in imbarazzo a contestare questo giudizio piuttosto netto e categorico emesso da un "addetto ai lavori," ma non ho potuto fare a meno di lasciare sul blog di Massimo Adinolfi il seguente commento:

Caro Ap, che un teologo ponga al Papa una domanda come quella se l'Islam venga da Dio oppure no è una cosa che mi suona strana, ma strana veramente. Altro sarebbe chiedere, a mio modestissimo avviso, se si ritiene che l'islam, ancorché per vie tortuose e attraverso errori (gravi) e imperfezioni (numerose), possa avviare degli esseri umani (qualora siano animati dalle migliori intenzioni) ad un certo progresso spirituale, avvicinandoli di conseguenza ad una Verità che tuttavia è stata rivelata compiutamente soltanto ai cristiani.

Il che naturalmente vale, oltre che per l'islam, anche per qualsiasi altra religione. E ciascuna religione, a sua volta, avrebbe il diritto-dovere di rapportarsi con tutte le altre, compreso il cristianesimo, più o meno esattamente allo stesso modo.

Da qui potrebbe nascere il dialogo. Un dialogo onesto, anche se, ovviamente, limitato. Onestà vuole, infatti, che da parte di nessuno si venga meno a ciò che si è. Nemmeno per un'ipotesi di lavoro. Il resto è «sincretismo», cioè confusione, o qualcosa che comunque ha poco a che fare con una fede religiosa, compreso il buddismo, che pure è una strana, anche se affascinante, religione senza Dio.

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Prima di dire sì o no (per partito preso)

“Caro Presidente, scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cittadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie parole, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese.”

Così cominciava la lettera aperta inviata al presidente della Repubblica da Piergiorgio Welby, affetto da una grave distrofia muscolare che lo tiene inchiodato ad un letto. Welby è co-presidente dell’associazione “Luca Coscioni” e le sue parole sono riuscite a riportare al centro dell’attenzione “quell’uno per mille di sepolto nella coscienza di tutti,” vale a dire il tema dell’eutanasia.

Il Giornale di oggi—che ha sposato la causa del «no» su tutta questa materia—ha in ogni caso il merito di proporre due letture molto interessanti. La prima si riferisce a un caso del tutto analogo a quello di Welby, con la differenza che stavolta non c’è alcuna richiesta tipo “vi prego, lasciatemi morire.” La seconda è un articolo di Rino Cammilleri che chiama in causa una ricerca, condotta su una paziente in stato di morte cerebrale, i cui risultati sono stati resi noti sul numero dell’8 settembre 2006 della rivista Science: praticamente alcuni ricercatori delle università di Cambridge e Liegi, coordinati dal neurologo Adrian Owen, hanno scoperto che

La donna, una ventitreenne inglese ridottasi in coma per un incidente stradale e poi rimasta in stato vegetativo permanente, grazie a un sofisticato sistema di scanner Mri (immagini per risonanza magnetica), ha mostrato di rispondere a stimoli verbali: «Nonostante la diagnosi di stato vegetativo, la paziente conservava la capacità di comprendere ordini parlati e di rispondere attraverso la sua attività cerebrale». Insomma, l'attività cerebrale di questa donna era uguale a quella di una persona normalmente cosciente.


Il che, chiaramente, cambia profondamente i termini della questione eutanasia (e non solo). E bisogna tenerne conto. Come, credo, dobbiamo tener conto di quanto emerge dalla prima lettura. Lascio volutamente fuori le solite dichiarazioni a favore o contro, infatti penso che, innanzitutto, valga la pena di considerare con scrupolo tutti gli aspetti del problema prima di dire alcunché. Così, magari, si riesce a tenere alto il livello del dibattito.


September 22, 2006

'The real teacher'

“The only real teacher is not in a forest, or a hut or an ice cave in the Himalayas, it is within us.”

Yet another post about Tiziano Terzani, just for linking to this International Herald Tribune article by Elisabetta Povoledo.

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Ma il Papa non si è scusato di niente

Torno sul tema di cui mi sono occupato di più in questi giorni per segnalare che Sandro Magister ha appena messo a disposizione dei lettori del suo sito l’articolo che ha scritto per L'espresso in edicola da oggi. Superfluo sottolineare che fa piacere constatare come quanto sostenuto finora su questo blog—e un po’ anche da Rolli (tra i commenti)—trovi un’ulteriore e autorevole conferma. Ecco un passaggio:

All'Angelus di domenica 17 settembre, ripreso in diretta anche dalla tv araba Al Jazeera, Benedetto XVI ha detto il suo “rammarico” per come la sua lezione è stata fraintesa. Ha detto di non condividere il passaggio da lui citato di Manuele II Paleologo, secondo il quale in ciò che di nuovo ha portato Maometto “troverai soltanto cose cattive e disumane, come la direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede”. Ma non si è scusato di niente, non ha ritrattato una sola riga. La lezione di Ratisbona non è stata per lui un esercizio accademico. Là non ha smesso le vesti del papa per parlare solo la lingua sofisticata del teologo, a un uditorio di soli specialisti. Il papa e il teologo in lui sono tutt'uno, per tutti. Il cardinale Camillo Ruini, che più di altri capi di Chiesa ha capito l'essenza di questo pontificato, ha detto lunedì 18 settembre al direttivo dei vescovi italiani che “le coordinate fondamentali” del messaggio che Benedetto XVI va proponendo alla Chiesa e al mondo sono in questi tre testi: l'enciclica “Deus Caritas Est”, il discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005 sull'interpretazione del Concilio Vaticano II e, ultima ma non meno importante, la “splendida” lezione di Ratisbona.
[I corsivi sono miei]

Nella stessa pagina del sito che ospita l’articolo si possono leggere anche altre cose interessanti, tra cui, naturalmente sulla stessa lunghezza d’onda di Magister, una nota di Pietro De Marco, esperto in geopolitica religiosa, professore all'Università di Firenze e alla Facoltà Teologica dell'Italia Centrale. Scrive tra l’altro De Marco:

Vi è un disegno di taglio inconfondibile nell’importante discorso di Benedetto XVI all’Università di Ratisbona. È la volontà del papa di non evitare la parte critica entro il suo rapporto dialogico con l’islam, ovvero entro quella stessa prospettiva che è stata anche definita impropriamente un “asse del sacro” cristiano-islamico. La profonda visione strategica di papa Benedetto sembra operare ad integrazione del magistero di Giovanni Paolo II, con le stesse caratteristiche di fermo discernimento sui temi della verità e della ragione che Joseph Ratzinger aveva esercitato, come prefetto della congregazione per la dottrina della fede, di fronte alle derive teologiche interne alla Chiesa.
[Anche in questo caso i corsivi sono miei]


September 21, 2006

Sullo stato di Prodi

Su Avvenire, l’editoriale di Sergio Soave fa il punto sullo stato di salute del governo di Romano Prodi e della sua coalizione. Una rappresentazione magari con qualche lacuna, ma nel complesso realistica ed equilibrata, da raccomandare all’attenzione di chi, per avventura, è un po’ stufo delle solite partigianerie e vuol sentire una campana sufficientemente (e decentemente) super partes. E poi ha il pregio di essere breve ...

Un'analisi della lectio magistralis

Ieri mattina, incrociando la rotta di un blog britannico che seguo da tempo, quello dell’amico David (A Step At The Time), il quale aveva appena linkato il mio post in inglese su Oriana Fallaci, ho letto un’analisi particolarmente intrigante, che confermava la mia convinzione che le parole pronunciate dal Papa all’università di Ratisbona non fossero affatto da interpretare come un clamoroso scivolone diplomatico, bensì come qualcosa di molto ben meditato, con obiettivi precisi e in cui tutto era stato accuratamente calcolato, comprese le reazioni furibonde cui il discorso ha dato origine in maniera praticamente automatica. Il titolo del documento è: "Faith, Reason and Politics: Parsing the Pope's Remarks." L’autore è George Friedman, presidente dello Stratfor (Strategic Forecasting Inc.), un centro di analisi internazionali che Barron’s ha definito “The shadow CIA”). E David ha avuto la brillante idea di rendere disponibile sul suo blog un testo altrimenti destinato agli abbonati alla rivista online.

L’articolo di Friedman—autore, tra l'altro, di America's Secret War—è piuttosto lungo, ma merita di essere letto per intero e con tutta l’attenzione che può meritare un’analisi molto dettagliata, sottile ma nel contempo estremamente concreta, attenta a non lasciare nulla di inesplorato tra ciò che potrebbe aiutare a comprendere una determinata situazione e il contesto geo-politico (e storico, socio-economico, culturale, ecc.) in cui essa è inserita.

Cito solo qualche brano, quanto basta a capire di cosa si tratta, dopodiché, ripeto, consiglio vivamente la lettura integrale dell’articolo.

Benedict’s words were purposely chosen. The quotation of Manuel II was not a one-liner, accidentally blurted out. The pope was giving a prepared lecture that he may have written himself — and if it was written for him, it was one that he carefully read. Moreover, each of the pope’s public utterances are thoughtfully reviewed by his staff, and there is no question that anyone who read this speech before it was delivered would recognize the explosive nature of discussing anything about Islam in the current climate. There is not one war going on in the world today, but a series of wars, some of them placing Catholics at risk.

It is true that Benedict was making reference to an obscure text, but that makes the remark all the more striking; even the pope had to work hard to come up with this dialogue. There are many other fine examples of the problem of reason and faith that he could have drawn from that did not involve Muslims, let alone one involving such an incendiary quote. But he chose this citation and, contrary to some media reports, it was not a short passage in the speech. It was about 15 percent of the full text and was the entry point to the rest of the lecture. Thus, this was a deliberate choice, not a slip of the tongue.

As a deliberate choice, the effect of these remarks could be anticipated. Even apart from the particular phrase, the text of the speech is a criticism of the practice of conversion by violence, with a particular emphasis on Islam.

Clearly, the pope intended to make the point that Islam is currently engaged in violence on behalf of religion, and that it is driven by a view of God that engenders such belief. Given Muslims’ protests (including some violent reactions) over cartoons that were printed in a Danish newspaper, the pope and his advisers certainly musthave been aware that the Muslim world would go ballistic over this. Benedict said what he said intentionally, and he was aware of the consequences. Subsequently, he has not apologized for what he said — only for any offense he might have caused. He has not retracted his statement.


Appurato quanto sopra, Friedman si chiede: Perché? E perché adesso? Le chiavi di lettura sono due. La prima è questa:

Benedict, whether he accepts Bush’s view or not, offered an intellectual foundation for Bush’s position. He drew a sharp distinction between Islam and Christianity and then tied Christianity to rationality — a move to overcome the tension between religion and science in the West. But he did not include Islam in that matrix. Given that there is a war on and that the pope recognizes Bush is on the defensive, not only in the war but also in domestic American politics, Benedict very likely weighed the impact of his words on the scale of war and U.S. politics. What he said certainly could be read as words of comfort for Bush. We cannot read Benedict’s mind on this, of course, but he seemed to provide some backing for Bush’s position.

Questa prima chiave di lettura, però, spiegherebbe soltanto il timing della lectio magistralis, per tutto il resto ne occorre una seconda, e stavolta non è più in gioco l’America di Bush, ma l’Europa ...

September 20, 2006

Torrents of vivid sublimely subjective prose ...


“Oriana Fallaci—as Peter Popham puts it in The Independent—was arguably the most extraordinary journalist Italy has ever produced.” Well, I don’t say I don’t agree with that statement, but I would prefer to say that, as far as I know, Oriana was the world’s most incisive and brilliant interviewer. As a matter of fact, while among the most famous and respected Italian journalists of the past I couldn’t find it too hard to mention some other names, it wouldn’t be the same with the world’s most famous interviewers I have ever read.

But it is certain that

[w]ith her torrents of vivid, sublimely subjective, flamingly emotional prose she became Italy's most famous war correspondent by far.

And that when Oriana turned her attention to the leaders of the world, within a few years she became, as Elizabeth Mehren puts it in the Los Angeles Times, “the journalist to whom virtually no world figure would say no.”

It is also true that Fallaci's real second wind arrived on September 11, 2001, with the destruction of the twin towers by Islamist terrorists. In those days she wrote for Italy's best-selling and most important newspaper, the Corriere della Sera, an article and an incandescent pamphlet which became almost immediately a book, La rabbia e l'orgoglio (2001; The Rage and the Pride, 2002), a best seller (a million in Italy and hundreds of thousands across Europe) and, above all, the most controversial work of her career:

A crude, bigoted, downright nasty attack not just on Islamist terrorists but on Muslims of every stripe.

After all it was Oriana who once wrote:

I sat at the typewriter for the first time and fell in love with the words that emerged like drops, one by one, and remained on the white sheet of paper ... every drop became something that if spoken would have flown away, but on the sheets as words, became solidified, whether they were good or bad.
[Quote drawn from here]

Read the rest of the excellent article by Peter Popham if you want to learn more about Oriana Fallaci.

September 19, 2006

Panebianco, Messori ... e Ahmadinejad

Sul Corriere di oggi Angelo Panebianco riprende ciò che su quello stesso giornale scriveva ieri Vittorio Messori, a proposito delle reazioni del mondo islamico alla lectio magistralis tenuta dal Papa a Regensburg, e garbatamente lo corregge. Il fatto è che, secondo me, hanno ragione entrambi, e vorrei spiegare perché.

Dunque, cosa diceva Messori? Essenzialmente due cose: a) l’ormai celeberrima frase estrapolata dal discorso del Papa è stata semplicemente un pretesto per aizzare le piazze islamiche; b) lo scontro con l’islam, che i cristiani vorrebbero evitare ma che dall’altra parte ci si dà da fare per rendere inevitabile, se ci sarà, sarà duro, ma almeno stavolta gli europei, inclusi i credenti, non si comporteranno come si sono comportati col marxismo, al tempo cioè dell’altra grande sfida, dando vita a “quinte colonne” al proprio interno e lasciandosi in qualche modo sedurre da “quella sorta di vangelo di libertà e di giustizia—qui e ora, non in un illusorio Aldilà—proposto da quel nipote e pronipote di rabbini che fu Karl Marx.”

Ebbene, sulla prima Panebianco si dice d’accordo, sulla seconda no. E argomenta così:

Dove Messori pecca forse di ottimismo è nel credere che non si ripeterà fra gli europei, credenti compresi, quanto accadde a suo tempo col marxismo. Se l'Europa flirtò con quel giudeo-cristianesimo secolarizzato che era il marxismo, non potrà farlo, pensa Messori, col fondamentalismo islamico. Per la sua incompatibilità con il pensiero «politicamente corretto» da noi egemone. Temo si sbagli. Non solo perché ci sono diversi europei che già flirtano con l'estremismo islamico, consapevoli di condividere con esso i nemici principali, Stati Uniti e Israele. Niente predispone alla solidarietà più della condivisione del nemico. Ma soprattutto perché l'Europa ha paura, è spaventata a morte, e la paura spinge più di qualunque altro sentimento a blandire il prepotente, a dargli ragione per tenerlo buono. Oriana Fallaci parlava di Eurabia. Basta guardare a tante reazioni occidentali al discorso del Papa per capire che Eurabia, forse, è già tra noi. Non parlo tanto dei teologi improvvisati che hanno spiegato a Ratzinger cosa sia davvero il cristianesimo (anche nelle situazioni più tragiche l'uomo è in grado di dare vita a siparietti di irresistibile comicità). Parlo dei tantissimi che hanno accusato il Papa di non essersi censurato. Guardandosi intorno, sembra condivisibile il pessimismo di Bernard Lewis che prevede un'Europa sconfitta e sottomessa.

Così a prima vista verrebbe da essere d’accordo con Panebianco e di dar torto a Messori, ma riflettendo un po’ direi che ciascuno dei due ha ragione, ma su piani diversi: il primo su quello strettamente politico, il secondo su quello della cultura politica. Difficile, cioè, pensare che Panebianco si sbagli quando individua delle vere e proprie teste di ponte del nemico nel campo europeo, ma è altrettanto fuori questione, a mio avviso, che il volto che presenta l’islamismo “è in rotta di collisione con quel «politicamente corretto» che è—nel bene e nel male—il nostro pensiero egemone.” Penso, cioè, che entrambi abbiano mostrato una sola faccia della medaglia (anche se in maniera lucidissima) ignorando, o, più probabilmente, sottovalutando l’altra.

Nel frattempo, che a Teheran un astuto fondamentalista con mire politiche ambiziosissime abbia prudentemente raffreddato i bollenti spiriti dei suoi simili, invitandoli a "rispettare il Papa di Roma," potrebbe essere una dimostrazione che Vittorio Messori ha effettivamente colto nel segno: se lo scontro ci sarà l’Europa si ricompatterà culturalmente. Dunque, forse è meglio abbassare un po’ la cresta …

E chissà che a questo risultato non puntasse anche il Pontefice quando ha detto, scientemente, ciò che ha detto (e che non ha affatto ritrattato): se scopriamo le carte ne vedremo delle belle. Il coraggio paga, anche se qualcuno, da noi, ancora non l’ha capito.

Fiorenza, Fiorenza ...

Sulla squallida vicenda della strada di Firenze da dedicare a Oriana Fallaci mi mancano le parole. Ma fortunatamente le ha trovate per me Ernie: in un commento al post precedente.

September 17, 2006

Viva il Papa!

“Non è nostro compito entrare nelle dispute teologiche.” Sarà che questo tipo di disclaimer intellettuale mi è molto congeniale, anche per reazione alla disinvoltura con la quale un mucchio di gente si sente, al contrario, autorizzata a entrare di brutto in quelle e in altre dispute senza averne particolarmente titolo, e soprattutto senza fare qualche doverosa premessa—tipo: “magari mi sbaglio, ma a me, molto modestamente, sembrerebbe che …”—al proprio dire, ma questo incipit mi è veramente piaciuto. Dunque, onore al merito di Marco Taradash, che ha esordito così nel suo commento sulle parole pronunciate dal Papa davanti ai professori e agli studenti dell’università di Regensburg.

Il resto del commento suona così:


[S]e ci fosse stata la necessità di una controprova sulla verità racchiusa nel discorso pronunciato a Ratisbona da Benedetto XVI, oggi ce l’abbiamo. Il Papa ha messo a confronto le religioni che utilizzano il Logos, la ragione, per acquisire anime a Dio, e quelle che usano la spada per conquistarle. Si sarà pure espresso imprudentemente, o avrà pure usato una citazione sbagliata. Non è questo che a noi, laici e volterriani, e comunque cittadini delle democrazie liberali importa. Ciò che rileva è che la risposta del mondo musulmano, fondamentalista, moderato e persino democratico, è stata l’immediato metter mano alla spada, diplomatica o terroristica che fosse.

Queste parole, penso, sono condivisibili non soltanto dal punto di vista di “laici e volterriani.” Lo sono anche, almeno sostanzialmente, da quello di parecchi cattolici praticanti. Imprudente o meno—ma davvero si può pensare che non si sia trattato di un’imprudenza attentamente calcolata?—, Benedetto XVI ha detto semplicemente la verità. E giustamente Taradash osserva che oggi quelle parole hanno trovato conferma nei fatti.

La conclusione di Taradash è la seguente:


Ciò che deve terribilmente preoccuparci è che oggi non è più permesso a nessuno (né a Theo Van Gogh, né a Oriana Fallaci, né agli intellettuali musulmani laici e liberali) esprimere un dubbio sulla lettura che di sé dà chi oggi si ritiene interprete della civiltà islamica nel suo complesso, al di là delle letture spesso contrapposte che ne vengono offerte. La replica alle opinioni controverse non è mai nei termini di uno scontro polemico che si mantiene sul terreno della ragione, ma si arma di indignazione, offesa, intimidazione e minaccia. Sembra non esserci altro riflesso che la repressione e la censura. Benedetto XVI ha tutta la nostra solidarietà per la reazione violenta di cui è stato vittima da parte di governi e organizzazioni islamiche. Ma anche per le sue riflessioni sui secoli bui delle guerre di religione, quando il mondo cristiano sostituì la spada alla Croce e i roghi allo Spirito, e per il richiamo che rivolge a tutte le religioni perché rinuncino alla violenza e all’odio.


Ho sempre pensato che nell’area radicale ci sia un tasso di intelligenza e di saggezza politica assolutamente non comune, una capacità di cogliere il nocciolo vero delle questioni sul tappeto che purtroppo rappresenta l’eccezione e non la regola nelle dispute che animano, e spesso non arricchiscono neanche un po’, il dibattito politico. Questa circostanza mi conferma nella convinzione.

Il fatto, infine, che oggi, all'Angelus, il Pontefice si sia sentito in obbligo, a causa della virulenza delle reazioni suscitate da quel passo della sua lectio, di dirsi "rammaricato" e di chiarire che la citazione del dialogo tra l'imperatore-filosofo di Bisanzio e il dotto persiano "non esprime il suo pensiero," paradossalmente ... è un'ulteriore conferma dell'assunto di partenza: siamo di fronte a una cultura dell'odio e dell'intolleranza che è distante anni-luce da quella che affonda le sue radici nella tradizione giudaico-cristiana. E il Papa, onde evitare una vera e propria catastrofe diplomatica, o peggio ritorsioni omicide—fattispecie alla quale forse appartiene il tragico episodio di Mogadiscio—, è dovuto correre ai ripari.

September 15, 2006

La rimpiangeremo

Quando La rabbia e l’orgoglio uscì sul Corriere, Oriana Fallaci, per me, e ovviamente per un sacco di altra gente, era già una vecchia conoscenza libresca. Non che avessi letto tutto, ma penso che Un uomo e Intervista con la storia possano bastare per farsi un’idea e per apprezzare il giusto. A me bastarono, per cause di forza maggiore (non si può leggere tutto ciò che ci piacerebbe leggere), pur essendomi rimasta dentro la nostalgia delle cose non lette. Ma l’approccio alla vita di Oriana era piuttosto lontano dal mio, tante cose mi dividevano da lei, e dunque quella grande donna (e immensa giornalista, nonché brillante scrittrice) non poteva entrare nel pantheon dei miei eroi intellettuali.

Oggi che molti la piangono (non tutti, non gli estremisti islamici e i “pacifisti” di ogni contrada dell’universo, ad esempio), ovviamente la piango anch’io. O meglio ancora, visto che oltretutto—almeno così mi pare—non si possono versare fiumi di lacrime per la dipartita di persone che non si sono conosciute personalmente, la rimpiango. Penso che soprattutto mancherà a molti, a me certamente, la “scompostezza” del suo grido d’allarme contro ciò che minaccia più seriamente la nostra civiltà un po’ infiacchita, la forza e la passione con cui ha preso in mano il vessillo delle nostre libertà e lo ha sventolato rabbiosamente sotto il naso del nemico (interno ed esterno).

Credo che sarà dura fare a meno di un’atea incallita che, ai primi lugubri squilli di tromba che annunciavano l’imminente Armagheddon—così almeno la vedeva lei—, ha saputo persino rivalutare, con genuina commozione, i cari vecchi rintocchi delle campane, il simbolo acustico di una tradizione cristiana a lei profondamente estranea, e ha cominciato lei stessa a suonarle, quelle campane, come nessuno da qualche secolo in qua, probabilmente, aveva mai osato fare, con la foga non certo di un sagrestano o di un frate buontempone, ma semmai con quella di un monello di strada, o di una partigiana infuriata. In guerra, del resto, tutto fa brodo: se le campane possono svegliare il villaggio dormiente, allora suoniamole, come sappiamo, anche senza grazia, col cuore gonfio di rabbia e di orgoglio. E di amore per il proprio Paese, nonché per un mondo che all’Italia deve qualcosa.

A quello scampanio forsennato molti si sono destati, altri si sono rinfrancati, altri ancora hanno perlomeno cominciato a domandarsi se per caso qualcosa di grave stesse succedendo. Mica è poco. Non fosse altro che per questo Oriana meriterebbe un posto nella Storia. Ma ovviamente c’è molto di più. Ci sono i libri e gli articoli scritti prima dell’11 settembre. Insomma, la rimpiangeremo, chi per una ragione chi per un’altra. E chi per tutte quelle ragioni messe insieme.

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September 14, 2006

Zero, a dir poco

C'era qualcosa, a dir poco, di strano. E di noioso, demagogico, bugiardo e ipocrita. Qualcosa era anche discutibile, insopportabile e sciocco. Qualcos'altro faceva anche un po' schifo. Per non parlare del clima da compagnucci di merende tra alcuni dei presenti. Poi dice che c'era anche una bella idea e altre storie non male (o addirittura belle, non ricordo bene), ma io non le ho viste, perché non ho guardato tutto.

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E Riotta su Blair fu all'altezza di Riotta

Sarà pure il risultato di un “inciucio” o del “mezzo tradimento” di qualche esponente del centrodestra, come scrive Il Foglio, e Berlusconi potrà magari essersi infuriato, oppure no, ma la nomina di Gianni Riotta a direttore del Tg1 mi sembra una scelta giornalisticamente saggia e politicamente geniale. Perché evidentemente si tratta, da una parte, di un ottimo giornalista, e dall’altra di un professionista dotato di notevole senso politico—parlo di “fiuto” essenzialmente, qualità nella quale il Nostro penso abbia pochi rivali. Per dire, l’articolo uscito sul Corriere di ieri è magistrale per equlibrismo e furbizia (politica, appunto). Trattandosi di un subject come Tony Blair, del resto, non poteva che essere così, Riotta non poteva che scrivere quello che ha scritto: la verità, ma così ben presentata (ai lettori e agli assetti politico-editoriali del giornale) che uno quasi quasi rischia di capire una cosa diversa da quella che si vuol dire. Se non è un perfetto direttore del Tg1 questo, vorrei sapere a chi si potrebbe mai offrire l’ambito riconoscimento senza rischiare di fare una figuraccia.

Comunque, l’articolo su Blair si conclude così (è la parte migliore, da notare le citazioni colte, la classe insomma):

Lo smacco più grave viene però dall'adesione alla guerra in Iraq. E’ l'alleanza con Bush che costa a Blair la fine della simpatia mondiale, i fischi in Libano, il gelo in casa, dove le vignette lo ritraggono da maggiordomo alla Casa Bianca. E’, come nella tragedia greca, il fato che disfa l'eroe: perché Blair aderisce alla guerra condividendo molte delle riserve degli europei contro l'unilateralismo Usa, ma persuaso che se Washington fosse andata da sola a Bagdad la ripresa del dialogo sarebbe oggi più aspra. E’ Blair a indicare a Bush un percorso politico, attacco a Saddam e processo di pace in Medio Oriente per legittimare davanti alle coscienze islamiche il peso degli ideali di giustizia e democrazia.

Non basterà, Bush non è in grado di tessere il filo diplomatico intrecciandolo a quello militare, Blair paga la solitudine. Ora, mentre il serial tv della Abc critica Clinton per non avere subito attaccato Osama, Blair paga il fio per avere, a malincuore come Ulisse stanato da Palamede, attaccato Saddam. La lezione antica è che le democrazie riluttano sempre, fino alla fine, davanti alla guerra: perché gli elettori non la vogliono, e castigano i leader se gli esiti non sono quelli desiderati. Questo l'ultimo atto del
prodigio Blair: per ora.

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Pope Benedict's lectio magistralis

Pope Benedict XVI powerful lecture—or, as Francesco Botturi wrote in the Italian Catholic newspaper Avvenire, this “authentic lectio magistralis”—delivered on September 12 at the University of Regensburg, where Joseph Ratzinger himself held the chair in dogmatic theology and in the history of dogma from 1969 to 1971, must have left its mark on many of the scientists and scholars who attended the event.

Not only did the Pope say—in a thinly veiled attack on extremist Islam's justification for terrorism—the concept of Holy War goes against nature of God, he also blamed West and its secular rationalism for excluding God and alienating other cultures. This, notwithstanding the fact that Christianity, thanks to the encounter between the Biblical message and Greek thought, welcomes intellectual inquiry and always reveres the truth.

This leads directly to the issue of “faith and reason,” which is apparently the most important of all in the papal address.

The encounter between the Biblical message and Greek thought did not happen by chance. The vision of Saint Paul, who saw the roads to Asia barred and in a dream saw a Macedonian man plead with him: "Come over to Macedonia and help us!" (cf. Acts 16:6-10) – this vision can be interpreted as a "distillation" of the intrinsic necessity of a rapprochement between Biblical faith and Greek inquiry.

In point of fact, this rapprochement had been going on for some time. The mysterious name of God, revealed from the burning bush, a name which separates this God from all other divinities with their many names and declares simply that he is, is already presents a challenge to the notion of myth, to which Socrates’ attempt to vanquish and transcend myth stands in close analogy. Within the Old Testament, the process which started at the burning bush came to new maturity at the time of the Exile, when the God of Israel, an Israel now deprived of its land and worship, was proclaimed as the God of heaven and earth and described in a simple formula which echoes the words uttered at the burning bush: "I am". This new understanding of God is accompanied by a kind of enlightenment, which finds stark expression in the mockery of gods who are merely the work of human hands (cf. Ps 115). Thus, despite the bitter conflict with those Hellenistic rulers who sought to accommodate it forcibly to the customs and idolatrous cult of the Greeks, biblical faith, in the Hellenistic period, encountered the best of Greek thought at a deep level, resulting in a mutual enrichment evident especially in the later wisdom literature. Today we know that the Greek translation of the Old Testament produced at Alexandria - the Septuagint - is more than a simple (and in that sense perhaps less than satisfactory) translation of the Hebrew text: it is an independent textual witness and a distinct and important step in the history of revelation, one which brought about this encounter in a way that was decisive for the birth and spread of Christianity. A profound encounter of faith and reason is taking place here, an encounter between genuine enlightenment and religion. From the very heart of Christian faith and, at the same time, the heart of Greek thought now joined to faith, Manuel II was able to say: Not to act "with 'logos'" is contrary to God’s nature.


Read here the complete text of the lecture, but bear in mind that this text must be considered provisional, since the Holy Father intends to supply a subsequent version of it, complete with footnotes. Read also an anthology by Italian Vaticanist Sandro Magister of the homilies and speeches delivered by Benedict XVI during his six-day trip to his Bavarian homeland.

La lectio magistralis del Papa filosofo

Ci sarà tempo, nei prossimi giorni, settimane e mesi, per riflettere attentamente sull'autentica lectio magistralis tenuta da Benedetto XVI nell’aula magna dell’Università di Regensburg (o Ratisbona che dir si voglia). Di tutto ci può essere bisogno di fronte ad un tale evento meno che di commenti che non siano attentamente meditati e soppesati. E questo, penso, vale per tutti, dagli estimatori più entusiasti ai critici più severi, dai commentatori più ferrati a quelli, per così dire, più improvvisati (tra questi ultimi, naturalmente, mi ci metto anch’io, e ci mancherebbe altro).

Di conseguenza, per ora, mi limito a qualche suggerimento di lettura pescato qua e là. Su Avvenire, innanzitutto, si leggono un’intervista a Marta Sordi, nota studiosa del mondo classico, docente di Storia Romana alla Cattolica e autrice di numerosi libri, e un articolo di Francesco Botturi, professore di Antropologia Filosofica, anche lui presso l'Università Cattolica di Milano. Interessante anche l’editoriale del Foglio di mercoledì.

“E’ il manifesto dell’identità occidentale come identità ebraica, greca e cristiana,” scrive appunto il giornale di Giuliano Ferrara.

A Marta Sordi, invece,viene chiesto di chiarire un punto fondamentale nel ragionamento del Papa, cioè quello del rapporto tra cristianesimo e filosofia greca:

«La concezione del Dio cristiano, che corrisponde anche alla concezione greca e romana della divinità, è quella di un Dio logos, cioè parola e ragione. Non si tratta mai di un Dio dalla volontà arbitraria, al limite anche contro la ragione. E non si tratta mai di una religione che può essere imposta con la violenza. Un principio che resta valido anche nonostante la smentita pratica rappresentata dalle persecuzioni contro i cristiani: tanto che Tertulliano può rinfacciare ai romani di violare le loro stesse convinzioni.»

Francesco Botturi, per parte sua, mette in evidenza la «positività» del discorso di Benedetto XVI:
[L]a proposta del Papa è tutta sul versante positivo. Non si tratta affatto di «ritornare indietro» rispetto ai momenti di crisi dell'età moderna; si tratta al contrario di riconoscere «le grandiose possibilità» che «lo sviluppo moderno dello spirito (…) ha aperto all'uomo», a condizione, però, di un «allargamento del nostro concetto di ragione e dell'uso di essa», di un concetto di ragione liberato dalle restrizioni odierne dello scientismo e del tecnicismo e delle loro conseguenti «patologie». La fede cristiana per essere esperienza integra, dialogo reale, proposta autentica, ha bisogno di correlarsi ad una ragione, capace di domande grandi, sull'origine e sul senso, dotata del «coraggio» di tutta la vastità del suo ascoltare e del suo interrogare; ha bisogno di sapersi correlata al Logos.

September 13, 2006

Grazie per la pazienza

Due parole per scusarmi con i lettori per la scarsità di post negli ultimi tempi. Il punto è che, come si può facilmente intuire, sono stato assorbito quasi completamente da problemi tecnici relativi alla fase di trasferimento sulla nuova piattaforma. L’ultimo ostacolo è stato la creazione delle categorie, che purtroppo non rientrano tra i servizi forniti da Blogger (ma ancora per poco, dal momento che la nuova versione beta le prevede ...). Ho pertanto seguito il suggerimento di Nilo (grazie ancora!) e mi sono rivolto a del.icio.us. A questo punto le cose dovrebbero essere a posto—ma non mi meraviglierei troppo se qualche inghippo saltasse ancora fuori—e, di conseguenza, dovrebbe avanzarmi più tempo per postare con regolarità. Grazie per la pazienza e a risentirci quanto prima.

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September 11, 2006

In Memoriam - 9/11/2001


A tribute site and a tribute video to the victimes of 9/11


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Se la filosofia non salva

Tra gli «Approfondimenti» proposti da Acton Institute Italia (News & Commentary) spicca un articolo di Dario Antiseri che fa il punto su una questione sulla quale qui si è tornati più volte (anche in polemica con qualche altro blog). Dopo un riepilogo delle posizioni filosofiche di coloro che, nel corso del XX secolo, divinizzando l'uomo, hanno preteso di cancellare ogni spazio della fede, il filosofo propone una fede che è “grazia a parte Dei e opzione a parte hominis,” spiegando che non è certo alla scienza che spetta dirci quello che dobbiamo fare o insegnarci in che cosa possiamo sperare. E che la filosofia, purtroppo, non salva.

Molto, molto interessante, ma io non faccio testo: di solito sono d’accordo con Dario Antiseri …

Questa opzione a parte hominis sarebbe tuttavia impossibile in un universo in cui si dimostrasse che l'uomo è solo corpo; in un universo in cui quello scientifico fosse l'unico linguaggio dotato di senso; in un mondo in cui il senso della vita del singolo e dell'umanità nella sua interezza risultasse determinato da ineluttabili leggi di sviluppo della storia; in cui tutta la realtà si risolvesse nel solo universo fisico. Quindi, perché la fede sia possibile è necessario che prima vengano distrutti gli «assoluti terrestri», certezze presunte indubitabili, totalizzanti e negatrici della trascendenza. Un sapere assoluto è un uomo assoluto; e l'uomo assoluto fa sprezzantemente a meno del Redentore. Ebbene, se il secolo XX si era aperto e, in parte, si era sviluppato, con movimenti filosofici accomunati dall'idea che «homo homini deus est» , esso si è però chiuso, nelle sue punte più avanzate, con la lucida consapevolezza di una riconquistata contingenza, con una
luce chiara sui limiti della ragione umana. Ai nostri giorni non è più possibile nascondere l'inventario dei fallimenti di filosofie che, nonostante i loro grandi meriti, presumono di offrire razionali, incontrovertibili,
fundamenta inconcussa radicati in una totale immanenza. Progressivamente, ma sempre con maggiore insistenza, sono state erose e devastate le «grandi illusioni» generate da una ybris che ha alimentato l'abuso sistematico della ragione. All'interno di siffatto orizzonte riemerge più irreprimibile che mai la domanda metafisica: perché l'essere piuttosto che il nulla? Domanda metafisica che trova il suo nervo scoperto nella sofferenza innocente. Perché la sofferenza? Tale interrogativo - annotava qualche tempo fa Norberto Bobbio - , «è una richiesta di senso, che rimane senza risposta o, meglio, che rinvia ad una risposta che mi pare difficile chiamare ancora filosofica». Non è la scienza a dirci quello che dobbiamo fare. Non è la scienza a insegnarci in che cosa possiamo sperare. È per principio che la scienza non risponde alle domande per noi le più importanti. Il porro unum necessarium esula dalla ragione scientifica, e non è possesso della ragione filosofica: la filosofia non salva. La filosofia può portare a perdizione ma non salva. Per questo non si sarà mai grati abbastanza a quei pensatori i quali hanno insegnato che l'uomo non è il padrone del senso, che è un mendicante di senso. E che ci han fatto capire che «ormai solo un Dio ci può salvare».

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September 8, 2006

Rai alla grande con Bartali

E’ una novità per me parlare sul blog di una fiction televisiva. Sicuramente non ne ho titolo, dal momento che in questo campo mi sento particolarmente disinformato e distratto. Ma penso di poter dire ugualmente, in tutta umiltà, che Gino Bartali, l'intramontabile (2006)—ritrasmesso in nottata da Raiuno—mi è sembrato un film per la tv di squisita fattura.

Ottimamente diretto da Alberto Negrin e interpretato forse ancor mrglio da Pierfrancesco Favino (Bartali) e Nicole Grimaudo (la moglie del campione, Adriana), il film, una coproduzione Rai Fiction/Palomar Endemol, si è avvalso come se non bastasse delle musiche originali di Ennio Morricone.

Anche le dichiazioni del protagonista (che sottoscrivo) sono degne di nota—e testimoniano, quanto meno, la propensione dell’attore a “entrare” nel personaggio:

"Parlare di Bartali, che è una faccia che hai dentro e non sai perchè, significa parlare dell'Italia. Se uno dovesse scegliere dieci facce per rappresentare il nostro Paese Bartali ci sarebbe di sicuro. È un uomo che ha veicolato i valori che tutti abbiamo dentro: il lavoro, la famiglia, la fede. Queste sono le nostre radici e Bartali è il rappresentante meno bigotto di questa realtà e del passaggio dall'Italia rurale a quella industriale. Bartali fa capire che cosa è stata l'Italia, da dove veniamo".

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September 5, 2006

Ciao 'Cipe'

Per essere uno che è sempre stato interista, nella buona e nella cattiva sorte, sono magari eccessivamente distratto riguardo a quello che succede dentro, intorno e fuori della F.C. Internazionale, guardo troppo poco le trasmissioni dedicate al calcio, leggo ancor meno i quotidiani sportivi, ecc., ecc. Quindi anche di quel che faceva, pensava e diceva Giacinto Facchetti ho saputo pochissimo.

Ma forse c’è anche un’altra circostanza che giustifica la mia disinformazione: la natura schiva e riservata di quel grande, caro, vecchio campione, che faceva in modo che le sue uscite pubbliche fossero tanto sobrie e misurate quanto, inevitabilmente, poco appetibili dal punto di vista dei media. Ma oggi, in un momento così triste, l’informazione è giustamente straripante, e mi si è offerta l’occasione di colmare di colpo il gap. E ho ritrovato il Facchetti che era nascosto nell’archivio dei miei ricordi infantili e adolescenziali.

Ho ricordato quanto ho voluto bene a quel tipo che trasvolava da una parte all’altra del campo di gioco, leggero ed elegante—malgrado la forza di quelle «ali», cioè di quelle due pertiche che facevano assomigliare la sua corsa a quella di una cicogna che saltella o a quella di qualche altro simpatico animale dotato di leve altrettanto lunghe e potenti. E ho realizzato in maniera consapevole ciò che inconsapevolmente già sapevo, e cioè che quel suo carattere, quella sua lealtà, discrezione, dignità, o chiamatela come vi pare ché tanto sempre la stessa roba è, era la ragione di fondo per cui non incuriosiva più di tanto l’opinione pubblica—e, ad essere sincero, neppure me—quello che Giacinto Facchetti, detto Cipe, poteva dire, fare, pensare: di solito, quel genere di persone dice, fa e pensa semplicemente quello che ci si aspetta da uomini di quello stampo, cioè la cosa giusta. E la cosa giusta—sofismi vari e filosofie a parte—è esattamente il contrario di ciò che stimola la curiosità. E’ giusta e basta, crudamente giusta.

Cipe resterà nel cuore di molti. E non è solo un modo di dire, è che abbiamo bisogno di sapere che uomini come lui—uomini, non soltanto campioni—sono esistiti veramente, non in un film. E’ che abbiamo bisogno di confidare che altri ce ne siano, nascosti tra la folla, di Giacinto Facchetti. Per questo non è il caso di sottilizzare sull’iperbole che è dato di leggere sul sito ufficiale dell’Inter:

«Era già Sua la storia. Ora siede sul trono dell’Eternità.»

A volte si ha il diritto e il dovere di dar fiato “senza pudori” ai sentimenti più profondi.

Per concludere, qualcosa che si legge sul sito ufficiale dell’Inter.

Dalla lettera aperta di Massimo Moratti:

Qualche mese fa ti chiedevo un po’ scherzando un po’ sul serio come mai non riuscivamo ad avere un arbitro amico, tanto da sentirci almeno una volta protetti, e tu, con uno sguardo fra il dolce e il severo, mi rispondesti che questa cosa non potevo chiedertela, non ne eri capace. Fantastico. Non ne era capace la tua grande dignità, non ne era capace la tua naturale onestà, la sportività intatta dal primo giorno che entrasti nell’Inter, con Herrera che ti chiamò Cipelletti, sbagliandosi, e da allora, tutti noi ti chiamiamo Cipe. Dolce, intelligente, coraggioso, riservato, lontano da ogni reazione volgare.Grazie ancora di aver onorato l’Inter, e con lei tutti noi.

Dal commento di Susanna Wermelinger (Direttore Editoriale dell'Inter):
Era un uomo da re e da operai. Era un amico leggendario. Era un eroe da romanzo, Arpino lo sapeva bene. Un romanzo di vita, di classe, di essenzialità.La prima cosa che faceva dopo le partite, era chiamare casa, i suoi figli, e Massimo Moratti. Troppe volte, quando qualcuno scompare, di lui si cercano le solo le cose buone. Il fatto è che di Giacinto Facchetti puoi dire solo quelle, che di cose cattive non ne trovi.

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September 2, 2006

Eccoci qua

Ben arrivati!

Dunque, tutto è pronto per ricominciare sulla nuova piattaforma e per lasciarsi alle spalle le frustrazioni sperimentate recentemente ...

Ma, se posso permettermi di dirlo, la cosa più importante, a questo punto, è che gli amici e lettori di Wind Rose Hotel—dopo essere stati così gentili da arrivare fin qui sospinti dal link collocato sul vecchio blog—aggiornino prontamente e senza indugio i propri bookmarks e blogrolls. Il resto verrà da sé, non appena avrò smaltito le fatiche del trasloco.

A presto.

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