September 25, 2006

Contrappunti: cosa si può chiedere a un Papa

Azione Parallela cita, a quanto pare condividendolo, un brano del commento che il teologo Vito Mancuso, professore all’Università "Vita e Salute" di Milano, ha scritto per Panorama con riferimento alle parole di rammarico pronunciate dal Papa all'Angelus di domenica 17 settembre:


Il mondo, oggi ha bisogno di parole che uniscano. E chi più di un pontefice («costruttore di ponti») le dovrebbe dire? Il Papa, rammaricato, dopo ha rilanciato il dialogo. Ma ora deve rispondere a una domanda: l'Islam viene da Dio oppure no? Se dice no (come il discorso di Ratisbna sottintende) il dialogo religioso è solo finzione; se dice sì, accetta la teologia delle religioni che ha sempre combattuto da cardinale prefetto [...]. Non è, anzi non siamo, in una situazione facile.

Confesso che sono un po’ sconcertato. Non essendo un teologo, ma solo uno che ha coltivato per qualche tempo (e a puro titolo di curiosità personale) la filosofia e la storia delle religioni, mi trovo sicuramente in imbarazzo a contestare questo giudizio piuttosto netto e categorico emesso da un "addetto ai lavori," ma non ho potuto fare a meno di lasciare sul blog di Massimo Adinolfi il seguente commento:

Caro Ap, che un teologo ponga al Papa una domanda come quella se l'Islam venga da Dio oppure no è una cosa che mi suona strana, ma strana veramente. Altro sarebbe chiedere, a mio modestissimo avviso, se si ritiene che l'islam, ancorché per vie tortuose e attraverso errori (gravi) e imperfezioni (numerose), possa avviare degli esseri umani (qualora siano animati dalle migliori intenzioni) ad un certo progresso spirituale, avvicinandoli di conseguenza ad una Verità che tuttavia è stata rivelata compiutamente soltanto ai cristiani.

Il che naturalmente vale, oltre che per l'islam, anche per qualsiasi altra religione. E ciascuna religione, a sua volta, avrebbe il diritto-dovere di rapportarsi con tutte le altre, compreso il cristianesimo, più o meno esattamente allo stesso modo.

Da qui potrebbe nascere il dialogo. Un dialogo onesto, anche se, ovviamente, limitato. Onestà vuole, infatti, che da parte di nessuno si venga meno a ciò che si è. Nemmeno per un'ipotesi di lavoro. Il resto è «sincretismo», cioè confusione, o qualcosa che comunque ha poco a che fare con una fede religiosa, compreso il buddismo, che pure è una strana, anche se affascinante, religione senza Dio.

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Prima di dire sì o no (per partito preso)

“Caro Presidente, scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cittadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie parole, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese.”

Così cominciava la lettera aperta inviata al presidente della Repubblica da Piergiorgio Welby, affetto da una grave distrofia muscolare che lo tiene inchiodato ad un letto. Welby è co-presidente dell’associazione “Luca Coscioni” e le sue parole sono riuscite a riportare al centro dell’attenzione “quell’uno per mille di sepolto nella coscienza di tutti,” vale a dire il tema dell’eutanasia.

Il Giornale di oggi—che ha sposato la causa del «no» su tutta questa materia—ha in ogni caso il merito di proporre due letture molto interessanti. La prima si riferisce a un caso del tutto analogo a quello di Welby, con la differenza che stavolta non c’è alcuna richiesta tipo “vi prego, lasciatemi morire.” La seconda è un articolo di Rino Cammilleri che chiama in causa una ricerca, condotta su una paziente in stato di morte cerebrale, i cui risultati sono stati resi noti sul numero dell’8 settembre 2006 della rivista Science: praticamente alcuni ricercatori delle università di Cambridge e Liegi, coordinati dal neurologo Adrian Owen, hanno scoperto che

La donna, una ventitreenne inglese ridottasi in coma per un incidente stradale e poi rimasta in stato vegetativo permanente, grazie a un sofisticato sistema di scanner Mri (immagini per risonanza magnetica), ha mostrato di rispondere a stimoli verbali: «Nonostante la diagnosi di stato vegetativo, la paziente conservava la capacità di comprendere ordini parlati e di rispondere attraverso la sua attività cerebrale». Insomma, l'attività cerebrale di questa donna era uguale a quella di una persona normalmente cosciente.


Il che, chiaramente, cambia profondamente i termini della questione eutanasia (e non solo). E bisogna tenerne conto. Come, credo, dobbiamo tener conto di quanto emerge dalla prima lettura. Lascio volutamente fuori le solite dichiarazioni a favore o contro, infatti penso che, innanzitutto, valga la pena di considerare con scrupolo tutti gli aspetti del problema prima di dire alcunché. Così, magari, si riesce a tenere alto il livello del dibattito.