November 9, 2007

Francesco, rimembri ancora ...

C’è una domanda angosciosa che mi perseguita da qualche ora, e come si sa, in questi casi "socializzare" è un espediente efficace per togliersi dalle ambasce. Dunque, la domanda è questa: Francesco De Gregori avrà nel frattempo cambiato idea su Walter Veltroni? Voglio dire: uno arriva al punto di voltare inopinatamente le spalle a un vecchio e caro amico, ritenendolo inadatto a guidare il partito del cuore, e questo in quanto lo ritiene affetto da quel male oscuro che Crozza ha sapientemente definito “ma-anchismo” (o roba del genere). Poi, a un certo punto, il povero Walter ha provato a metter fuori la testa un attimo per dire che, diamine, bisogna dare un taglio alle chiacchiere in materia di delinquenza e prendere provvedimenti drastici. Il risultato è che la sortita produce un decreto, certo, con qualche ambiguità, ma insomma una cosa quasi accettabile. Dopodiché rifondaroli, comunisti e verdi minacciano di far cadere il governo, e come se non bastasse pure D’Alema si risente. Insomma l’Unione è sul punto di spaccarsi. E allora che succede? Semplice, si prende il decreto e lo si stravolge, cioè, invece di andare nella direzione auspicata da Walter, vale a dire semplificare e accelerare le procedure di espulsione dei mascalzoni, si va a complicare ulteriormente quelle medesime procedure e tutto finisce in una bolla di sapone.

Allora, mi domando, avrà finalmente capito il bravissimo cantautore che non è questione di Walter o non Walter ma della testa di quelli che lui, il leader, dovrebbe rappresentare e (eventualmente) guidare? Avrà capito, il bardo, che ad uno con le idee chiare come lui non resta che scegliere tra Diliberto e Bertinotti? E che, come dice un suo celebre collega e concittadino, tutto il resto (a sinistra) è noia?

Vabbè, fin qui era uno sfogo, adesso passiamo a cose più meditate, come l’editoriale del Foglio di oggi, al quale va riconosciuto il merito di affrontare l'argomento in maniera puntuale e lucida, ma senza per ciò stesso scivolare in una sorta di pessimismo cosmico ...


La mossa di Veltroni, che dopo l’orrendo crimine di Roma aveva imposto al governo di riunirsi d’urgenza per varare un decreto sulla sicurezza, sembrava l’annuncio di una nuova fase politica. Il neosegretario del Partito democratico cominciava ad applicare concretamente il suo slogan sulla discontinuità, con il corollario del “chi ci sta ci sta”. E’ bastata una settimana, però, perché il quadro mutasse radicalmente. Prodi ha accettato di dare al decreto (che di per sé era già zeppo di ambiguità) un’interpretazione soddisfacente per l’estrema sinistra, quella che aveva accusato Veltroni di accodarsi ai “fascisti”, Giuliano Amato gli ha dato una mano e anche Massimo D’Alema, che non aveva gradito l’irruenza veltroniana sui rapporti con la Romania, ha benedetto la virata a sinistra. Così il decreto è stato svuotato, come pare abbia detto lo stesso Veltroni al gongolante capogruppo di Rifondazione, partito il cui giornale festeggia apertamente la sconfitta dei democratici e inneggia alla “fortuna che arride ai coraggiosi”. Quel che si vede in controluce è un inasprirsi del dualismo tra Veltroni e Prodi, che non è affatto disposto ad accettare una supervisione critica del segretario del suo partito. Anche la costruzione piuttosto solitaria degli organismi dirigenti dei democratici, necessaria a Veltroni per poter esercitare una funzione e un potere non troppo vincolati ai vecchi potentati, ha provocato una reazione tacita ma ruvida, che si è espressa nel capovolgimento del senso dell’iniziativa sulla sicurezza. Invece delle espulsioni (che avrebbero potuto e dovuto essere numerose anche senza violare l’ovvio principio della responsabilità personale) ci sarà una maggiore complicazione delle procedure, si cercheranno denari per finanziare i rom, insomma si farà il contrario di quanto annunciato. Veltroni così è rimasto in mezzo al guado e saranno in molti a congiurare per impedirgli di uscire di lì. Alla prima uscita ha potuto misurare la forza delle resistenze che gli si oppongono. Chissà se saprà farne tesoro.