March 6, 2007

E venne Ruini, il Sovversivo

E’ da un sacco di tempo che ce n’eravamo accorti, noi minoranza cristiano-cattolica, che a poco a poco s’era diventati moral majority di questo Paese. C’è stato un tempo in cui il rischio di scomparire è stato tangibile. Cacciati o emarginati dal Dibattito Culturale, ancorché le chiese non si fossero ancora svuotate, la sopravvivenza fu assicurata dalla forza dell’abitudine: si continuava a battezzare i bambini e a celebrare i matrimoni in chiesa, ma guai ad alzare la cresta in quegli altri luoghi di culto, laici e spiritualmente libertini—dove “i maîtres-à-penser del pensiero debole disquisivano con tormentata severità del nulla”—che avevano soppiantato le cattedrali. Poi accadde qualcosa. L’editoriale del Foglio di oggi dice che venne Ruini, il quale lavorava bensì “alla luce di due papi formidabili,” e le cose cambiarono. E’ senz’altro così, anche se lo schema andrebbe arricchito di qualche altro protagonista, a mio avviso, in primis quel prete milanese col nasone e due o tre idee chiare—ma non sta a me che non l’ho conosciuto e non ne sono mai stato un discepolo narrarne il gesto profetico e poetico. Fatto sta che effettivamente qualcosa cambiò …

Ruini non è un letterato, non è un filosofo né un semiologo, è un vescovo, anzi è stato per sedici anni il capo dei vescovi italiani. Ma ha rivitalizzato, e per dir questo non c’è bisogno di sposare né il suo stile personale di pensiero né il quadro pastorale o teologico in cui ha sviluppato la sua azione, la cultura italiana, le ha restituito una sua parte di ricchezza perduta. La mobilitazione del pensiero cattolico, visibile nel giornale della Cei, nell’editoria, nella predicazione, nella sensibilità diffusa del paese e nella scoperta e proposta di vecchie e nuove idee in vecchie e nuove forme è indiscutibilmente, anche per chi la contrasta con laicismi e anticlericalismi di vario conio, il fatto preminente degli ultimi tempi. Eravamo abituati a porci soltanto domande esili, per ottenere risposte plurali e tutte relative, ma con Ruini, che lavorava alla luce di due papi formidabili, abbiamo reimparato che esistono anche domande radicali e risposte univoche. Generazione, nascita, vita, educazione, famiglia, amore, eros e morte sembravano parole scomparse dietro il recinto di un incomprensibile dibattito fra eticisti e filosofi morali, e invece sono riemerse come problemi della società, oggetti del pubblico interesse. Ruini non è stato solo un riordinatore della chiesa italiana, un costruttore di politica nel senso meno ovvio e meno politicante del termine, è stato soprattutto un agitatore, ai limiti del sovversivismo intellettuale, di acquerugiole stagnanti, un provocatore e un facitore del nuovo pluralismo di cultura di cui avevamo bisogno per sfuggire alle costrizioni del pensiero unico e corretto, che non ci sorprendeva più e da tempo ci provocava una disperata noia.

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