May 23, 2007

Giovanni Falcone

Non mi intendo di cose di mafia e di conseguenza non mi arrogo mai il diritto di sparare sentenze sull’argomento. Però ho dei ricordi abbastanza nitidi, ricordi di conti semplici semplici che non mi tornavano. E’ vero che sono sempre stato tentato di attribuire la responsabilità di quei due più due fanno tre alla mancanza di sistematicità (e di pazienza certosina) che caratterizza il mio approccio alla complicata materia. E tuttavia, quando leggo ciò che scrivono persone che, invece, sanno quel che occorre sapere, perché si sono documentate, oppure sono state testimoni personalmente di eventi significativi, e quando qualcuno di costoro racconta e spiega fatti e situazioni come io sospetto da sempre che vadano raccontati e spiegati, beh, allora mi sento autorizzato a uscire allo scoperto.

Oggi ricorre il quindicesimo anniversario del barbaro assassinio di Giovanni Falcone, di sua moglie e della sua scorta. Vorrei ricordarlo anch’io, con tutti quei miei due più due che fanno sempre tre. E mi affido alla buona memoria di un vero esperto e di un bravo cronista: Umberto Santino e Filippo Facci. Del primo ripropongo uno scritto di cinque anni fa, del secondo un articolo che si legge su Il Giornale di oggi. In entrambi i casi—non occorre neppure dirlo—si parla di una persona avversata da viva e santificata da morta. E non certo per colpa sua.

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