June 25, 2007

Taj Mahal

Per Rabindranath Tagore la sua forma era “una lacrima sul volto del tempo.” Purtroppo il Taj Mahal manca alla mia personale esperienza diretta, e se ha ragione Bill Clinton, secondo il quale “il mondo si divide tra quelli che hanno visto il Taj Mahal e quelli che non l’hanno visto,” io devo incartarmela e rassegnarmi a collocarmi tra coloro i quali, nella divisione tra gli umani, hanno decisamente e chiaramente qualcosa in meno.

Fortunatamente, su la Repubblica di ieri, Federico Rampini ha concesso ai suddetti un surrogato di visita che, potenza della parola, riesce comunque a dare l’idea di qualcosa di veramente sublime. Peccato che, a quanto mi consta, quelle due pagine di (grande) corrispondenza da Agra non siano on-line.

Rampini, ad ogni buon conto, ci informa sullo stato di salute del celeberrimo mausoleo, quasi a sottolineare che c’è sempre tempo:



Eppure resiste, in uno stato di salute stupefacente, per ricordare che in India i miracoli sono possibili. Il più importante è di quattro secoli fa, un girello dell’arte di tutti i tempi nato dall’amore fra un uomo e una donna, e dall’incantevole unione tra la civiltà indiana e l’Islam.

Per il momento, mi limito a trascrivere altre due citazioni riportate nell’articolo:



“E’ l’incarnazione di tutto ciò che è puro, santo e infelice. E’ il cancello d’avorio sotto il quale passano i sogni.”
—Rudyard Kipling

“Il Taj Mahal è, ben oltre il potere delle parole per descriverlo, una cosa adorabile, forse la più adorabile di tutte le cose.”
—Salman Rushdie

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