August 18, 2006

Marini e i pesci del Tigri

Dovrei muovermi di più in macchina—targhe alterne permettendo—per capire meglio quello che succede, dal momento che ascolto RadioRadicale praticamente soltanto quando sono in giro, come mi è capitato oggi, sballottato da incombenze tutt’altro che dilettevoli. Così è successo che ascoltassi in diretta i discorsi che quelli dell’Ulivo andavano facendo sul voto per il rifinanziamento della missione italiana in Iraq.

Il caso ha voluto che non ne ascoltassi più di sei o sette di interventi, e tra questi quello di Franco Marini. E’ notevole l’uomo. Ex sindacalista cislino, oggi politico “per caso”. Perché “per caso”? Prima di tutto, chiarisco, questo non è un complimento, ma una constatazione (starei per dire “oggettiva”), perché non ho sentito uno che faceva troppi sottili distinguo—un’ignorantone direbbe “uno che si arrampicava sugli specchi”—ma un uomo che pensa e parla come una persona normale. E questa, se posso esprimere un’opinione molto personale, è una rarità non solo in politica … Marini, cioè, parlava come uno per cui due più due fa ancora quattro, e non quattro virgola due o tre virgola nove, e magari cerca di convincerti che il concetto di numero va profondamente rivisto alla luce di qualche nuova teoria matematica che capovolge il povero buon senso dei buontemponi che ancora non hanno capito che tutto quello che hanno imparato da piccoli non va più bene, non è up to date.

Avevo ancora in mente le parole di D’Alema (intervista a Repubblica di oggi), persona sicuramente intelligente, forse addirittura troppo intelligente per essere completamente intelligibile, nei suoi sottili ragionamenti, da parte delle persone normali di cui sopra—minoranza, indubbiamente, almeno a sinistra di Marini, che viene dai monti dell’Abruzzo e ha poche speranze … Massimo, infatti, si forzava di far capire al volgo un concetto indubbiamente arduo. Questo:


«Non è vero che confermare la nostra opposizione alla missione italiana, per le ragioni di principio che ho ricordato, coincida con la richiesta di un ritiro immediato delle nostre truppe. Questo è un argomento di tipo formalistico, ma politicamente si tratta di due cose ben diverse. Ed oggi mi pare che nessuno di noi, neanche Bertinotti, chiede il ritiro immediato delle nostre truppe. È evidente infatti che non si potrebbe creare un vuoto e che chi ha voluto la guerra e si trova in Iraq non può non farsi carico di un passaggio di poteri che avvenga in un quadro di sicurezza e di garanzie.»

Premesso che nel volgo mi ci metto anch’io, e non mi vergogno di dirlo, devo dire che più mi domandavo che cosa significassero quelle parole più un senso di inadeguatezza si impadroniva di me. Ebbene, quando ascoltai la risposta (indiretta) di Marini, incredibile a dirsi, ebbi finalmente la sensazione di capire. “Capire”: che cosa straordinaria! Ma, ahimé, illusoria. Comunque, ecco come il “politico per caso” replicava a quanti sostengono la tesi che il no al rifinanziamento non equivale al ritiro dei soldati:


«Non mi venite a dire una cosa del genere. Quelli che stanno lì che mangiano? i pesci del Tigri? Una forza politica di governo non può chiudere gli occhi di fronte agli spiragli, deve vedere se qualcosa si muove. Nella Federazione c'è una drammatica carenza di analisi».

Bellissima la parabola mariniana dei pesci del Tigri! Che probabilmente sono moltiplicabili come quelli di cui narrano I Vangeli. Ma, appunto, è un concetto troppo “facile” per esser spendibile in politica.

E quanto ai trenta parlamentari centristi della coalizione, tra cui il segretario della Margherita Francesco Rutelli, che hanno firmato la mozione ispirata da Marini che chiedeva l’astensione anziché il voto contrario, per fortuna ci ha pensato Romano Prodi a mettere le cose in chiaro:


«Non la definirei una corrente ma un ramo dell'Ulivo, anzi un rametto […] Se i voti contrari fossero stati meno di così, sarebbe stato un voto bulgaro, come si diceva in altri tempi. Ma ciò non modifica la sostanza di una decisione molto condivisa e forte, anche se difficile. Anche i voti contrari provano che la Federazione funziona.»

Eccome se funziona. Sì, funziona alla perfezione. Tanto è vero che, come leggo sul Corriere,

al termine dell’assemblea dei parlamentari, Marini ha comunque fatto presente che in aula si atterrà alle decisioni prese a maggioranza e che «voterà no come il resto della federazione» ma si è detto «contento perché i riformisti hanno messo un punto forte».


E’ ben vero che, forse, la Fed è un meccanismo troppo sofisticato per le deboli menti delle persone normali, o almeno per le mie capacità. Ma tutto ciò—mi ripeto in queste ore—non deve scoraggiarmi: fa sempre bene un bagno di umiltà. E poiché riconosco i miei limiti potrei benissimo rinunciare a voler capire a tutti i costi ciò che va tanto al di là delle mie forze. Dirò di più: potrei benissimo, a questo punto, riconoscere che la compagnia—tutti uomini d'onore, occore dirlo?—è “troppo” per il sottoscritto. Forse è meglio stare dalla parte dei propri simili, di quelli che capiscono poco …, oltretutto in questo modo non si finisce per diventare dei complessati. Giusto?

[Il presente post è stato pubblicato per la prima volta presso windrosehotel.splinder.com il 15 febbraio 2005]

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