Una stupida coerenza è l'ossessione di piccole menti, adorata da piccoli uomini politici e filosofi e teologi. Con la coerenza una grande anima non ha, semplicemente, nulla a che fare. Tanto varrebbe che si occupasse della sua ombra sul muro. Dite quello che pensate ora con parole dure, e dite domani quello che il domani penserà con parole altrettanto dure, per quanto ciò possa essere in contraddizione con qualunque cosa abbiate detto oggi.
[Ralph Waldo Emerson, Fiducia in se stessi]
October 7, 2007
Nuovi blogs (2)
A proposito di nuovi blogs, anzi, in questo caso di blogs nuovi (per me), grazie a un link piazzato in un simpatico blog che ho appena scoperto e che mi linka (grazie, ho appena provveduto a contraccambiare), ho potuto fare la conoscenza di quello del vaticanista Luigi Accattoli (Corriere della Sera). Gradevolissimo il taglio aneddotico e informale, nel senso di volutamente non specialistico. Lo linko ipso facto e non mancherò di visitarlo con regolarità. E se qualcuno in vena di fare le pulci ai blogs altrui—magari con un certo talento, come in questo caso—trova che un po’ mi contraddico rispetto al post precedente, mi limito a recitargli il seguente pensierino di una grande anima del passato:
October 6, 2007
Nuovi blogs
Premessa numero uno: non amo i blogs dei giornalisti, tranne rare eccezioni—e trattasi per lo più di gente che scrive per testate di provincia, sgobboni della blogosfera che ci credono abbastanza e non presumono troppo di sé.
Premessa numero due: non amando il genere, i blogs dei giornalisti li leggo sì e no, e spesso non so neanche quali sono e dove sono (sì, sì, lo so che le due proposizioni sembrano in contraddizione tra di loro, ma non lo sono, fidatevi).
Camillo è una storia diversa. Intanto è un pioniere della blogosfera, anche se, fino a ieri, era un blog per modo di dire (niente commenti, niente permalinks e così via, una roba straziante, tecnicamente parlando), in secondo luogo è una buona fonte per sapere cosa si scrive, si pensa e si fa in America—e senza prendersi la briga di trascorrere mezze giornate al pc per arrangiarsi da soli. Inoltre, benché effettivamente poco provvisto di modestia, l’autore riesce talvolta a ironizzare su se stesso, il che, oltre a rendere quasi superflua l’ironia altrui, depone a favore del suo equilibrio mentale. E hai detto niente, di questi tempi, spazzati da ondate di follia collettiva e percorsi dai predicatori dell’anti-politica e persino dell’anti-informazione, in nome della guerra santa alle «caste», ovunque si celino e comunque si camuffino!
Oltre a tutto il resto, Camillo ci tiene regolarmente informati, appunto, sui blogs dei giornalisti, ché quando ne nasce uno, lui non manca di segnalarcelo tempestivamente. Ad esempio, ora perfino il sottoscritto è al corrente che Travaglio Marco ha un altro blog (“manettaro”), anzi due. Vado a vedere e scopro che ce n’erano già altri tre, tutti sul Cannocchiale, chissà perché. Ma non basta, sempre grazie all’instancabile filantropo scopro che pure Furio Colombo ne ha fatto uno, e così Gad Lerner. Uno dice, embé? Io rispondo che è sempre meglio essere à la page: sapere è potere, dopotutto, poi nel caso non ci vado più, ma intanto … li ho visti!
Da qualche ora Camillo è un blog tutto nuovo, che sarebbe il motivo di questo post. Neanche il paragone con la versione precedente: dare un’occhiata per crederci, quei pochi, nella moltitudine dei visitatori quotidiani, che ancora non avessero provveduto. Poi padronissimi di non metterci più piede. La qualcosa, se degli States non ve ne può importare di meno, non sarebbe una tragedia, ma neppure, dico io, una liberazione—e da cosa, dopotutto?
Premessa numero due: non amando il genere, i blogs dei giornalisti li leggo sì e no, e spesso non so neanche quali sono e dove sono (sì, sì, lo so che le due proposizioni sembrano in contraddizione tra di loro, ma non lo sono, fidatevi).
Camillo è una storia diversa. Intanto è un pioniere della blogosfera, anche se, fino a ieri, era un blog per modo di dire (niente commenti, niente permalinks e così via, una roba straziante, tecnicamente parlando), in secondo luogo è una buona fonte per sapere cosa si scrive, si pensa e si fa in America—e senza prendersi la briga di trascorrere mezze giornate al pc per arrangiarsi da soli. Inoltre, benché effettivamente poco provvisto di modestia, l’autore riesce talvolta a ironizzare su se stesso, il che, oltre a rendere quasi superflua l’ironia altrui, depone a favore del suo equilibrio mentale. E hai detto niente, di questi tempi, spazzati da ondate di follia collettiva e percorsi dai predicatori dell’anti-politica e persino dell’anti-informazione, in nome della guerra santa alle «caste», ovunque si celino e comunque si camuffino!
Oltre a tutto il resto, Camillo ci tiene regolarmente informati, appunto, sui blogs dei giornalisti, ché quando ne nasce uno, lui non manca di segnalarcelo tempestivamente. Ad esempio, ora perfino il sottoscritto è al corrente che Travaglio Marco ha un altro blog (“manettaro”), anzi due. Vado a vedere e scopro che ce n’erano già altri tre, tutti sul Cannocchiale, chissà perché. Ma non basta, sempre grazie all’instancabile filantropo scopro che pure Furio Colombo ne ha fatto uno, e così Gad Lerner. Uno dice, embé? Io rispondo che è sempre meglio essere à la page: sapere è potere, dopotutto, poi nel caso non ci vado più, ma intanto … li ho visti!
Da qualche ora Camillo è un blog tutto nuovo, che sarebbe il motivo di questo post. Neanche il paragone con la versione precedente: dare un’occhiata per crederci, quei pochi, nella moltitudine dei visitatori quotidiani, che ancora non avessero provveduto. Poi padronissimi di non metterci più piede. La qualcosa, se degli States non ve ne può importare di meno, non sarebbe una tragedia, ma neppure, dico io, una liberazione—e da cosa, dopotutto?
October 3, 2007
Birmania: sanzioni, ma non solo
Ma le sanzioni servono a qualcosa? E’ un interrogativo ricorrente. Se ne discute ogni qualvolta nel mondo accade quello che non dovrebbe mai accadere e in tutti quei casi in cui il dialogo, anche ai massimi livelli internazionali, si è rivelato sterile, quando il lavorio diplomatico, le proteste ufficiali o addirittura le minacce hanno fallito miseramente. Ovvio che il tema sia di strettissima attualità nel caso Birmania. Ma di sanzioni da parte dell’Onu, nella fattispecie, non se ne parla nemmeno, visto il veto di Pechino, l’altolà di Mosca nei confronti di chi pretenderebbe “interferire negli affari interni” di quel Paese, e le orecchie da mercante di New Delhi, che per il gas birmano, neanche in questo momento, rinuncia a fare affari con i massacratori di monaci. Una pagina vergognosa, se posso dirlo, pur con tutto l’affetto per un Paese e un popolo fantastici, o quanto meno assai poco gandhiana, come si legge su DNA - Daily News & Analysis, un quotidiano che si stampa da quelle parti:
Restano, è vero, gli Stati Uniti e l’Unione europea, che del resto qualche misura l’hanno già presa in passato: da dieci anni—come ricorda Andrea Lavazza nell’editoriale che si legge su Avvenire di oggi—la Ue ha vietato il commercio di armi, sospesi gli aiuti e revocato lo status di partner commerciale privilegiato (Lavazza dice anche che sono stati congelati i beni di quei galantuomini dei generali, ma su questo ho qualche dubbio), mentre Washington, dal canto suo, ha bloccato nuovi investimenti e, in parte, le importazioni dalla Birmania. A cosa è servito? Evidentemente a nulla.
E allora? Beh, innanzitutto, come sostiene Bernard Henry-Lévy sul Corriere di oggi, sullo strumento “sanzioni” bisogna fare qualche doverosa distinzione e magari smetterla con il ritornello delle «sanzioni-che-non-servono- a-niente-e-che-in-realtà-danneggiano-soltanto- coloro-che-vogliamo-aiutare». Diciamolo: ha qualche ragione Henry-Lévy quando fa notare che è troppo facile, e pure un po’ da “paraculi,” cavarsela in questo modo (“si intuisce troppo bene la scaltrezza di chi, comunque, non vuole fare niente, soprattutto non vuole tentare niente e ancor meno vuole complicarsi la vita”). Ma, a parte questo, l’argomento che a rimetterci, dalle sanzioni, non sono i capi, bensì il popolo, almeno nel caso birmano, è “particolarmente fuori luogo,” e questo per alcuni dati di fatto difficilmente contestabili:
A me sembra che il ragionamento non faccia una grinza. Anche perché è bilanciato da considerazioni altrettanto realistiche e persuasive, ma di segno opposto: non ci si può nascondere un’altra elementare verità, e cioè che le sanzioni sono inefficaci quando una parte del mondo le applica e l'altra ne approfitta sfacciatamente, e questo è precisamente ciò che sta succedendo in Birmania, mentre il successo è assicurato quando, come nel caso del Sud Africa, si crea un fronte unito contro l’infamia. E dunque? Condannati nonostante tutto al pessimismo? No, dall’impasse si può uscire, ma a patto di assumersi, contestualmente alle sanzioni, qualche rischio supplementare, tipo intraprendere “un braccio di ferro diplomatico con gli amici indiani,” o fare inequivocabilmente capire ai cinesi
Fin qui si spinge Henry-Lévy, che non arriva, tuttavia, a teorizzare l’opportunità di un boicottaggio delle Olimpiadi del 2008. Probabilmente, al pari dell’editorialista di Avvenire, pensa a qualcosa di “intermedio,” come
Ma non poniamo limiti alla fantasia di antiche e consolidate diplomazie. L’importante è crederci, fermamente, il resto verrà da sé (e comunque non mi sembra niente male l’ideuzza del quotidiano della Cei …).
On a day when the United Nations along with India is celebrating Mahatma’s Gandhi’s life and his ideologies of truth and non-violence, the government’s refusal to condemn the use of force against demonstrations by peaceful Buddhist monks in neighbouring Burma is ironic.
If Gandhi were alive would he not have spoken out? But the Congress-led coalition in New Delhi, has so far continued to walk a tight rope on the suppression of democracy in its neighbourhood. New Delhi is fighting shy of using its clout with the generals to broker a deal between the generals and the national league for democracy led by Aung San Suu Kyi.
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Restano, è vero, gli Stati Uniti e l’Unione europea, che del resto qualche misura l’hanno già presa in passato: da dieci anni—come ricorda Andrea Lavazza nell’editoriale che si legge su Avvenire di oggi—la Ue ha vietato il commercio di armi, sospesi gli aiuti e revocato lo status di partner commerciale privilegiato (Lavazza dice anche che sono stati congelati i beni di quei galantuomini dei generali, ma su questo ho qualche dubbio), mentre Washington, dal canto suo, ha bloccato nuovi investimenti e, in parte, le importazioni dalla Birmania. A cosa è servito? Evidentemente a nulla.
E allora? Beh, innanzitutto, come sostiene Bernard Henry-Lévy sul Corriere di oggi, sullo strumento “sanzioni” bisogna fare qualche doverosa distinzione e magari smetterla con il ritornello delle «sanzioni-che-non-servono- a-niente-e-che-in-realtà-danneggiano-soltanto- coloro-che-vogliamo-aiutare». Diciamolo: ha qualche ragione Henry-Lévy quando fa notare che è troppo facile, e pure un po’ da “paraculi,” cavarsela in questo modo (“si intuisce troppo bene la scaltrezza di chi, comunque, non vuole fare niente, soprattutto non vuole tentare niente e ancor meno vuole complicarsi la vita”). Ma, a parte questo, l’argomento che a rimetterci, dalle sanzioni, non sono i capi, bensì il popolo, almeno nel caso birmano, è “particolarmente fuori luogo,” e questo per alcuni dati di fatto difficilmente contestabili:
il 75 per cento della popolazione birmana vive di sola agricoltura in un regime quasi autarchico; buona parte di questo 75 per cento vive nascosta nelle foreste per sfuggire a una repressione di cui abbiamo appena intravisto la costante e assoluta brutalità; i monaci stessi, letteralmente bhikku, mendicanti, vivono in una condizione di frugalità che è l'essenza del loro essere; il resto dell'economia, quella di un certo peso, è stata accaparrata da una cricca di ufficiali assassini che la controllano direttamente; insomma, siamo di fronte a un caso esemplare in cui, al contrario, se le sanzioni fossero applicate, andrebbero dritte al bersaglio, senza rischio di sbagliarlo, e indebolirebbero immancabilmente la gang del generale Than Shwe.
A me sembra che il ragionamento non faccia una grinza. Anche perché è bilanciato da considerazioni altrettanto realistiche e persuasive, ma di segno opposto: non ci si può nascondere un’altra elementare verità, e cioè che le sanzioni sono inefficaci quando una parte del mondo le applica e l'altra ne approfitta sfacciatamente, e questo è precisamente ciò che sta succedendo in Birmania, mentre il successo è assicurato quando, come nel caso del Sud Africa, si crea un fronte unito contro l’infamia. E dunque? Condannati nonostante tutto al pessimismo? No, dall’impasse si può uscire, ma a patto di assumersi, contestualmente alle sanzioni, qualche rischio supplementare, tipo intraprendere “un braccio di ferro diplomatico con gli amici indiani,” o fare inequivocabilmente capire ai cinesi
quanto sia difficile concepire che le Olimpiadi abbiano luogo nella capitale di un Paese che incoraggia un regime il cui sport nazionale sembra sia diventato quello di prendere al lazo, picchiare, deportare, torturare e, alla fine, assassinare uomini che hanno, come unica arma, una ciotola di lacca nera rovesciata.
Fin qui si spinge Henry-Lévy, che non arriva, tuttavia, a teorizzare l’opportunità di un boicottaggio delle Olimpiadi del 2008. Probabilmente, al pari dell’editorialista di Avvenire, pensa a qualcosa di “intermedio,” come
minacciare un black out informativo totale sull’evento da parte dei mass media occidentali, un oscuramento (finanziato dai governi, visti i diritti già pagati) che vanifichi il ritorno di immagine sperato da Pechino e funga anche da contrappasso alle censure cui è oggi sottoposta la crisi birmana.
Ma non poniamo limiti alla fantasia di antiche e consolidate diplomazie. L’importante è crederci, fermamente, il resto verrà da sé (e comunque non mi sembra niente male l’ideuzza del quotidiano della Cei …).
October 1, 2007
Sarko affonda la politica estera italiana
Il Panebianco che graffia e fa male è tornato. Se non sbaglio era un po’ di tempo che non lo si vedeva in azione. Stavolta il bersaglio è la politica estera del governo italiano, e l’obiettivo mi pare sia stato centrato e affondato con un colpo solo. Con la vittoria di Sarkozy è venuta meno la sponda francese, essenziale per D’Alema e Prodi, che vi puntavano le loro carte per non incorrere nei veti delle componenti massimalistiche del loro governo, ed ora l’Italia rischia l’isolamento internazionale. L’era delle ambiguità, comunque, è finita. Il caso Iran sarà la cartina di tornasole di questa nuova realtà, con un Bernard Kouchner che ha preso definitivamente atto che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, bloccato dai veti russi e cinesi, non serve più a niente, e dunque propone che sia l'Europa a imporre proprie sanzioni agli iraniani. Insomma,
che farà l'Italia se sulle sanzioni la Francia otterrà l'assenso della Germania e di altri Paesi europei? Sceglierà di dissociarsi? Difficile crederlo. Anche dal punto di vista simbolico, continuare a nascondersi dietro l'ombra dell'Onu (impotente a causa delle posizioni russe e cinesi) rifiutando di partecipare a una azione concertata europea sarebbe assai difficile. Il dilemma può essere così riassunto: aderire a una iniziativa tutta «occidentale » (americana e europea) contro l'Iran al di fuori dell'Onu sarebbe impossibile per il governo Prodi a causa dei suoi equilibri interni di coalizione. Ma non aderire sarebbe altrettanto impossibile a causa dell'insostenibile isolamento italiano che ciò provocherebbe. Comunque vada, il tempo degli equilibrismi e delle ambiguità della politica estera italiana sembra ormai scaduto.
September 30, 2007
Orinoco Flow: a comparison


Recently the group Celtic Woman has resurrected this song with their own arrangement. Here in the You Tube video—a very recent and unique one!—is a comparison of the original “Orinoco Flow” (music video) by Enya and the version sung by Celtic Woman. Who sung it better? You decide!
September 29, 2007
September 28, 2007
Monaci guerrieri per la libertà

Ci domandiamo, dall’alto della nostra gloriosa secolarizzazione,
come sia possibile che i seguaci del Pacifico Buddha scommettano sulla liberazione di un popolo anziché perdersi nella rarefazione del Nirvana, nella ricchezza di un vuoto assoluto così distante dall’umano.
E per lo più non ci aspettiamo che la vecchia storia del «male minore» valga anche per i monaci buddisti, o che “la morale primaria del «non uccidere una vita»” possa autorizzare, anzi, possa consigliare di battersi contro gli assassini “con tenacia guerriera” e, nel contempo, “impersonalità sacerdotale.” Ed ecco che Alessandro Giuli ci ricorda che il Buddha stesso discendeva da una casta guerriera, quella dei kshatrya. E che “fu proprio lui, in un’incarnazione precedente, a uccidere un uomo per impedirgli di massacrarne cinquecento.”
E poi ci sono storie antiche e bellissime, come quella dell’ aspirante discepolo che una notte
andò a bussare con gentilezza alla casa di un altro maestro e per una due tre volte venne respinto con la porta schiacciata sul viso; finché alla quarta, senza dire una parola, decise di centrare con un pugno il muso del maestro e fu così ricevuto. L’ardore marziale nell’agire senza agire.
Storie di un altro mondo, senza dubbio, ma un mondo che un tempo fu anche il nostro, perché—come avrebbe potuto ricordarci il nostro opinionista nonché lettore di Evola (e Guénon, suppongo), se solo avesse avuto più spazio—la Tradizione è una, sia pure con le sue molteplici incarnazioni e le sue infinite sfaccettature. Storie di un Oriente che ha prodotto, sul côté induistico, la Bhagavad-gita (Canto del Beato), il capitolo più famoso e amato del Mahābhārata e l'essenza stessa della conoscenza vedica. Dove ad Arjuna, l’eroe, è Krishna a rammentare i suoi doveri di kshatrya—e la sua via verso l’immortalità—nel momento che precede l'inizio di una guerra orribile. L’eroe si è lasciato prendere dallo sconforto, non se la sente di combattere. E Krishna gli spiega come superare la terribile impasse, cioè come liberarsi, pur agendo, “dai legami dell’azione,” vale a dire il “metodo dell'azione compiuta senza attaccamento al risultato” …
Combatti per dovere, senza considerare gioia o dolore, perdita o guadagno, vittoria o sconfitta — così facendo non incorrerai mai nel peccato. [2, 38]
Ecco, forse anche di questo ci avrebbe fatto omaggio Alessandro Giuli se il Direttore gli avesse concesso un’intera pagina. Sarà per un’altra volta? Per il momento accontentiamoci di questa conclusione, che svela definitivamente l’arcano e impartisce una lezione memorabile a tutti i Christopher Hitchens di questo mondo:
Il perfetto buddista è il risultato di un ardore marziale nella propria misura e attivo nella propria immobilità. Perciò può scegliere di marciare incolonnato ai fratelli in abito purpureo, sotto la pioggia calda di Rangoon e sotto i manganelli dei salariati in divisa militare. Il suo semplice esserci è un atto rivoluzionario, il suo resistere (anche proteggendo con il corpo gli altri manifestanti) è un agire-senza-agire che diserta il moto accessorio per concentrarsi sull’essenziale. La libertà è l’essenziale. Anche in Birmania.
September 25, 2007
Un mantra per la Birmania (updated)
UPDATE - Sep 26, 2007 - 10:30 am
1. YANGON (Reuters) - Circa 5.000 monaci e civili stanno marciando verso il centro della capitale dell'ex Birmania, Yangon, sfidando i soldati e la polizia dispiegati nella città in assetto anti-sommossa.
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2. YANGON (Corriere della Sera) Scatta la repressione della giunta - Continua a crescere la tensione in Birmania e secondo le ultime notizie l'attesa repressione di soldati e polizia ha fatto la prima vittima: un monaco è stato ucciso dagli spari dei militari dell'esercito birmano, che ha tentato di disperdere la protesta pacifica nelle strade birmane. Lo hanno riferito la stampa e testimoni locali.
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Pregate per la Birmania, sintetizza oggi Enzo Reale sul suo blog “generalista,” mentre su quello specialistico, di quel lontano e sfortunato Paese si è occupato nei giorni scorsi con una serie formidabile di post che tutti coloro i quali vogliono capire qualcosa di quello che sta succedendo e del come e perché si sia arrivati a questo punto dovrebbero leggere. Non ci sarebbe altro da aggiungere (all’appello di Enzo e ai suoi post), sennonché, per dare ai giornali quel che è dei giornali, suggerisco di leggere un ricchissimo e toccante articolo di Bernardo Valli su la Repubblica e l’intervista di Giordano Stabile, su La Stampa, al primo ministro del governo democratico in esilio della Birmania, Sein Win.
Quest’ultimo, nominato dopo la straripante vittoria della lista guidata dal premio Nobel per la pace (1991) Aung San Suu Kyi (nella foto sopra) nelle elezioni tenutesi nel lontano 1990—le uniche concesse dalla giunta militare che aveva preso il potere ventotto anni prima—sfuggì per miracolo alle epurazioni messe in atto dai generali, e riparò negli Stati Uniti, da dove oggi guida l'opposizione in esilio. E’ ottimista, Sein Win: «E’ la volta buona», dice, «ma la comunità internazionale deve portare al massimo livello le pressioni sulla giunta». Alla domanda sul perché la leadership del movimento sia stata assunta dai religiosi, risponde così:
Su questo blog, da sempre sensibile alla causa del Tibet, le parole di Sein Win non suonano nuove. Sì, pregare per la Birmania assieme ai suoi monaci e a tutto il suo popolo è cosa buona e giusta. Ma pretendere che l’Occidente faccia la sua parte anche per altre vie non lo è meno. George W. Bush e Gordon Brown—ancora e sempre Stati Uniti e Gran Bretagna!—sembra che ne siano perfettamente consapevoli. Enzo, però, che qualche momento fa ha aggiornato il post già linkato sopra, alla luce delle ultimissime notizie, è molto, molto preoccupato (e ne ha ben donde). Speriamo bene.
1. YANGON (Reuters) - Circa 5.000 monaci e civili stanno marciando verso il centro della capitale dell'ex Birmania, Yangon, sfidando i soldati e la polizia dispiegati nella città in assetto anti-sommossa.
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Quest’ultimo, nominato dopo la straripante vittoria della lista guidata dal premio Nobel per la pace (1991) Aung San Suu Kyi (nella foto sopra) nelle elezioni tenutesi nel lontano 1990—le uniche concesse dalla giunta militare che aveva preso il potere ventotto anni prima—sfuggì per miracolo alle epurazioni messe in atto dai generali, e riparò negli Stati Uniti, da dove oggi guida l'opposizione in esilio. E’ ottimista, Sein Win: «E’ la volta buona», dice, «ma la comunità internazionale deve portare al massimo livello le pressioni sulla giunta». Alla domanda sul perché la leadership del movimento sia stata assunta dai religiosi, risponde così:
«In Birmania il ruolo della religione buddhista è molto importante. I monaci vengono dal popolo e ascoltano il popolo, quotidianamente. Hanno capito che il popolo chiedeva loro di fare qualcosa e l'hanno fatto. Questo dimostra anche che i tentativi della giunta di manipolare la religione buddhista per i suoi scopi non hanno avuto molta presa».
Su questo blog, da sempre sensibile alla causa del Tibet, le parole di Sein Win non suonano nuove. Sì, pregare per la Birmania assieme ai suoi monaci e a tutto il suo popolo è cosa buona e giusta. Ma pretendere che l’Occidente faccia la sua parte anche per altre vie non lo è meno. George W. Bush e Gordon Brown—ancora e sempre Stati Uniti e Gran Bretagna!—sembra che ne siano perfettamente consapevoli. Enzo, però, che qualche momento fa ha aggiornato il post già linkato sopra, alla luce delle ultimissime notizie, è molto, molto preoccupato (e ne ha ben donde). Speriamo bene.
September 24, 2007
Fini e la destra tradita

Non sto a riassumere perché non sono un esperto delle cose di quel partito, dal quale, oltretutto, mi sento effettivamente un po’ troppo lontano. Tra qualche ora, comunque, chi l’avesse persa potrà trovare qui il video della trasmissione, che il lunedì è pure abbastanza breve. In due parole, comunque, la tesi di Giuli è che a destra non è difficile rintracciare l’ubi consistam di Bossi, di Casini e di Berlusconi, mentre quello di Fini è un po’ più problematico, anzi, stando all’Autore, non c’è proprio. Il che, si parva licet, collima perfettamente con l’impressione che ne ho io, e questo ovviamente non mi dispiace.
Giuli, comunque, ha un'altra cosetta cosa in comune con me: ha letto Evola. Sicuramente meglio e più approfonditamente di me, è chiaro, anche perché, in materia di studi sulla cosiddetta “Tradizione,” al pensatore italiano ho sempre preferito il francese René Guénon, malgrado la difficoltà e, per certi aspetti, la dispersività—a mio modesto giudizio—del pensiero di quest’ultimo. Ebbene, dicevo, l’aver letto Julius Evola (solo due o tre delle sue opere maggiori) fa sì che, quando si parla di uno stile, di un «carattere» dell’uomo di destra, so a cosa ci si riferisce, ed anche se non condivido capisco che il ragionamento, al di là delle divergenze, ha una sua dignità culturale e, direi, anche una sua nobiltà, ammesso, beninteso, che sia possibile mettere tra parentesi, per seguire l’ipotesi di lavoro, le aberrazioni razzistiche ed antisemitiche di cui Evola si è macchiato. Per questo credo che Alessandro Giuli abbia ragioni da vendere, e che il suo disgusto (filosofico) per una destra che è mancata, innanzitutto, sul piano «spirituale» sia giustificato.
Dopodiché mi viene da pensare che, se Fini ha “tradito” la destra, o almeno la sua manifestazione italica, si può solo esserne felici. Da liberali, intendo. Insomma, meno male che l’ha capito, si potrebbe dire. Epperò, se le cose hanno preso questa direzione, non è che l’approdo sia quello che, appunto, sarebbe stato auspicabile da un punto di vista liberale (di destra). Vale a dire che c’è qualcosa di incompiuto, di non risolto, e questo più per calcolo opportunistico e debolezza culturale—le due cose si tengono, secondo Giuli—che per altro. L’esito, quindi, è di una mediocrità sconcertante. Paradigmatica, in definitiva, della crisi complessiva del sistema politico italiano.
Ferrara, credo, con questo Otto e mezzo si è quasi fatto perdonare. Ho detto quasi, attenzione …
September 20, 2007
Non sparate sul Vate, please

Mi spiace che anche Giuliano Ferrara si sia arruolato nell’esercito di liberazione nazionale dalla volgarità politica. Non lo capisco, o forse sì, ma non è da escludere che la sua sia una difesa d’ufficio, o che si sia sentito toccato per qualche viziaccio dal quale, facendo parte—malgré soi?—della categoria giornalistica, non potrebbe essere immune neppure se lo volesse: tutte le “caste” hanno le proprie regole, più o meno ferree, e i propri tabù.
In ogni caso, quello che il Vate ha dichiarato a Euronews (disponibili anche quattro video dell’intervista) sul «Tronchetto dell'infelicità», nonché su «destra e sinistra», informazione, Valium ecc., tutto è meno che volgarità gratuita, roba campata in aria o discorsi deliranti.
Non sarà, magari, che, a questo punto, è alle "caste" che conviene buttarla sull’offesa, in mancanza di argomenti più seri?
Non sarà, magari, che, a questo punto, è alle "caste" che conviene buttarla sull’offesa, in mancanza di argomenti più seri?
September 18, 2007
Scherzi da prete

Andiamo con ordine. Dunque, Grillo ha sorpreso tutti, in particolare il “suo” popolo, che in gran parte tutto si aspettava, almeno così credo, meno che il proclama di cui sopra. Perché lui, fino a poche ore fa, era soltanto un capo virtuale, in maniera consona al suo personaggio di sempre, mentre adesso si propone ufficialmente per un ruolo di protagonista della vita politica nazionale, e questo sia che faccia la sua “discesa in campo” direttamente, come in passato Berlusconi e Di Pietro, sia che voglia limitarsi a fare il coordinatore dall’esterno di un movimento con proprie liste alle prossime amministrative.

Anche soltanto per questo, cioè per aver messo con le spalle al muro qualche centinaio di migliaia di delusi e amareggiati virtuali, Grillo meriterebbe un premio, e a darglielo dovrebbero essere proprio i tanto vituperati partiti: dopo averli delegittimati moralmente ricoprendoli di insulti, li ha riscattati facendosi egli stesso partito e costringendo i suoi fans ad assumersi delle responsabilità, pena la perdita di dignità e credibilità personale. Bello scherzetto da prete, e del resto l’insigne blogger che altro è se non il Savonarola della blogosfera?
Certo, a questo punto un rischio lo corre anche lui, ed è il peggiore per un uomo di spettacolo. La politica logora (sempre) chi la fa e disgusta (novantanove volte su cento) chi la subisce. I fischi del pubblico pagante sono praticamente quasi una certezza.
September 13, 2007
11 settembre, a mente fredda
Sei anni (e due giorni) dall’11 settembre. Un riepiologo davvero utile, a mente fredda, un servizio agli smemorati (ce n'è tanti) e un buon vademecum per chi aveva già afferrato il nocciolo della questione.
September 12, 2007
Antipolitica? Ma va
Eh già, uno non si può distrarre più di tanto, sprofondando in dottissime letture o semplicemente passando il tempo a fare ciò che non ci si concede durante i mesi in cui la Summer Edition è ormai solo un ricordo: guardare la tv, i film e i telefilm per intenderci, ché i talk shows, quelli li si guarda tutto l’anno, incluso in pole l'Otto e mezzo ferraresco, che è il vero rimpianto dei mesi caldi. Sì, mettersi tranquilli per un po’ va bene, ma non prendiamocela troppo comoda. La giudice Forleo prima (e tuttora), Beppe Grillo poi (e chissà per quanto!), ed ecco che siamo in trappola: al lavoro, e senza perdere un secondo, la patria è in pericolo, i barbari alle porte. Siamo un Paese vivace, è proprio il caso di dirlo, persino un po’ prevedibile nella sua imprevedibilità, quindi, cari compagni d’arme, sempre in stato d’allerta e naso al vento.
Il fatto è, però, che una cosa è parlare della Forleo, che è una signora talmente ligia al dovere da ritrovarsi scarsamente dotata di sense of humour, e un’altra occuparsi del signor Grillo, che fa sbellicare dalle risate i nevrotici compulsivi di mezza Italia (confluiti nelle piazze cittadine a ciò allestite) ma lascia un po’ perplessa l’altra metà dell’uditorio (quella che in piazza ci va solo a passeggiare). Va bene, ma l’antipolitica, signori perplessi? Il rischio di una deriva qualunquistico-anarcoide con ricadute populistiche e potenzialmente autoritarie? Già, questo potrebbe essere il punto.
Ma più ci penso, più mi convinco che, se Grillo non mi piace, nel suo popolo convivono non solo spiriti sarcastici e istinti primordiali, non soltanto anime belle, ma anche potenziali spiriti schietti e leali servitori della res publica, risorse positive—e un qualche merito, bisogna riconoscerlo, deve avercelo anche l’insigne blogger che si è preso cura di loro, che se li è tirati su giorno dopo giorno, con pazienza e premura materna.
Parlando la lingua di chi si esprime per slogan, direi che una parte non indifferente del popolo grillesco si rende interprete di energie che finora sono rimaste fuori dai riflettori: un esercito di disincantati ex-di sinistra, ancora a metà del guado quanto a ricollocazione e dunque disponibili a qualunque avventura, purché solo virtuale, beninteso. Odiano i partiti, vogliono distruggerli, ma attenzione, questa è “pura rappresentazione,” e colla rappresentanza, ovviamente, non c’entra nulla. Chissenefrega di cosa mettere al posto, tanto mica si fa sul serio, that’s entertainment, old sport.
Ma, un attimo, tutto questo non significa che non ci sia costrutto. Il bandolo c’è, eccome. E’ che quelle richieste tanto campate in aria non sono, A gente che è già stata disincantata dalla militanza politica, e soprattutto che non ha l’età sessantottarda dei girotondisti (diciamo “oltre” vent’anni di meno) le favolette ideologiche non le racconti più: richiedono precisamente ed esclusivamente di non essere presi in giro e vogliono vedere che carte ha in mano il Potere, il tutto a suon di Vaffa … e per il tramite di infiniti sberleffi, capriole e mangiatori di fuoco. Ma, appunto, per delle buone cause (a volte mischiate con altre cattive, ma questa è un’altra storia), nell’interesse degli oppressi che poi saremmo tutti noi, esclusi Berlusconi, D’Alema, Fassino e tutto il resto della “casta.”
Ok, questo sul popolo di Grillo. E il condottiero?—Capisco che non posso sottrarmi all’incombenza … Beh, Grillo potrebbe pure essere un agente della Cia infiltrato in una cellula di Al Qaeda e per copertura comico e blogger, ma questo cambierebbe qualcosa? Aggiungerebbe o toglierebbe qualcosa alla sostanziale giustezza, sotto il profilo empirico, della protesta pubblica?
Il fatto è, però, che una cosa è parlare della Forleo, che è una signora talmente ligia al dovere da ritrovarsi scarsamente dotata di sense of humour, e un’altra occuparsi del signor Grillo, che fa sbellicare dalle risate i nevrotici compulsivi di mezza Italia (confluiti nelle piazze cittadine a ciò allestite) ma lascia un po’ perplessa l’altra metà dell’uditorio (quella che in piazza ci va solo a passeggiare). Va bene, ma l’antipolitica, signori perplessi? Il rischio di una deriva qualunquistico-anarcoide con ricadute populistiche e potenzialmente autoritarie? Già, questo potrebbe essere il punto.
Ma più ci penso, più mi convinco che, se Grillo non mi piace, nel suo popolo convivono non solo spiriti sarcastici e istinti primordiali, non soltanto anime belle, ma anche potenziali spiriti schietti e leali servitori della res publica, risorse positive—e un qualche merito, bisogna riconoscerlo, deve avercelo anche l’insigne blogger che si è preso cura di loro, che se li è tirati su giorno dopo giorno, con pazienza e premura materna.
Parlando la lingua di chi si esprime per slogan, direi che una parte non indifferente del popolo grillesco si rende interprete di energie che finora sono rimaste fuori dai riflettori: un esercito di disincantati ex-di sinistra, ancora a metà del guado quanto a ricollocazione e dunque disponibili a qualunque avventura, purché solo virtuale, beninteso. Odiano i partiti, vogliono distruggerli, ma attenzione, questa è “pura rappresentazione,” e colla rappresentanza, ovviamente, non c’entra nulla. Chissenefrega di cosa mettere al posto, tanto mica si fa sul serio, that’s entertainment, old sport.
Ma, un attimo, tutto questo non significa che non ci sia costrutto. Il bandolo c’è, eccome. E’ che quelle richieste tanto campate in aria non sono, A gente che è già stata disincantata dalla militanza politica, e soprattutto che non ha l’età sessantottarda dei girotondisti (diciamo “oltre” vent’anni di meno) le favolette ideologiche non le racconti più: richiedono precisamente ed esclusivamente di non essere presi in giro e vogliono vedere che carte ha in mano il Potere, il tutto a suon di Vaffa … e per il tramite di infiniti sberleffi, capriole e mangiatori di fuoco. Ma, appunto, per delle buone cause (a volte mischiate con altre cattive, ma questa è un’altra storia), nell’interesse degli oppressi che poi saremmo tutti noi, esclusi Berlusconi, D’Alema, Fassino e tutto il resto della “casta.”
Ok, questo sul popolo di Grillo. E il condottiero?—Capisco che non posso sottrarmi all’incombenza … Beh, Grillo potrebbe pure essere un agente della Cia infiltrato in una cellula di Al Qaeda e per copertura comico e blogger, ma questo cambierebbe qualcosa? Aggiungerebbe o toglierebbe qualcosa alla sostanziale giustezza, sotto il profilo empirico, della protesta pubblica?
September 7, 2007
Qualcosa 'di destra'
Ed ecco di nuovo un monsignor Ravasi controcorrente. Stavolta è un inno al coraggio, perfino con punte di aristocratico disprezzo per «i deboli». Quasi a dire (se non tradisco l'intenzione dell'Autore): c’è un Vangelo di misericordia e uno per gente “più tosta,” che non si ferma, per dire, davanti ai fuochi e fiamme dei mainstream media, come in maniera un po’ petulante usano dire quelli di destra, ma non senza talune validissime ragioni.
Quelli che preferiscono restare all’antica piuttosto che uniformarsi e sparire nel buco nero della balla sistematica e planetaria, un po’ scientifica e un po’ totalitaria, del politically correct. Un redattore di Repubblica o del Corriere, ad esempio, dovendo trattare la suddetta materia, non metterebbe tanto in risalto “il vero carattere di una persona, la sua fibra genuina, la sua capacità di lottare e sperare,” quanto l’obbligatoria (e meritoria) solidarietà e comprensione per «i deboli», e finirebbe per gettare, anche involontariamente l’ombra del sospetto su chi dimostra di saper osare. Altro che Calvinismo! Cattolicesimo di parrocchia doc, cioè un po’ una libera interpretazione pauperistica e quartomondistica di interi passi evangelici che pure contengono e/o sono preceduti oppure seguiti da espressioni forti e non di rado aspre, e a volte persino da accenni d’ira proprio nei confronti—mi si perdoni la semplificazione—della gente senza carattere, e si badi che son cattolico anch’io e che non sto meditando alcuna secessione personale, ché altrimenti cascherebbe il palco.
Insomma, al cuore della questione, c’è questo e anche quello. Ma stavolta monsignor Ravasi ha incrociato lo sguardo con quest’altra faccia della divinità bifronte. A me, comunque, il Ravasi “calvinista” è ancora più simpatico.
Quelli che preferiscono restare all’antica piuttosto che uniformarsi e sparire nel buco nero della balla sistematica e planetaria, un po’ scientifica e un po’ totalitaria, del politically correct. Un redattore di Repubblica o del Corriere, ad esempio, dovendo trattare la suddetta materia, non metterebbe tanto in risalto “il vero carattere di una persona, la sua fibra genuina, la sua capacità di lottare e sperare,” quanto l’obbligatoria (e meritoria) solidarietà e comprensione per «i deboli», e finirebbe per gettare, anche involontariamente l’ombra del sospetto su chi dimostra di saper osare. Altro che Calvinismo! Cattolicesimo di parrocchia doc, cioè un po’ una libera interpretazione pauperistica e quartomondistica di interi passi evangelici che pure contengono e/o sono preceduti oppure seguiti da espressioni forti e non di rado aspre, e a volte persino da accenni d’ira proprio nei confronti—mi si perdoni la semplificazione—della gente senza carattere, e si badi che son cattolico anch’io e che non sto meditando alcuna secessione personale, ché altrimenti cascherebbe il palco.
Insomma, al cuore della questione, c’è questo e anche quello. Ma stavolta monsignor Ravasi ha incrociato lo sguardo con quest’altra faccia della divinità bifronte. A me, comunque, il Ravasi “calvinista” è ancora più simpatico.
Prima di buttarsi in un pericolo, bisogna saperlo prevedere e temere. Ma una volta che ci si è dentro, non rimane altro che disprezzarlo.
Mi hanno regalato un'antica e splendida edizione delle Avventure di Telemaco del vescovo e scrittore francese François Fénelon. Si tratta di un vasto romanzo pedagogico sull'arte di governare se stessi e gli altri, prendendo come spunto un immaginario viaggio di Telemaco alla ricerca di suo padre Ulisse, avendo per guida Mentore, un saggio maestro di vita.
Gli spunti che il libro offre, anche a livello di rispetto delle idee altrui e di tolleranza, sono molteplici e significativi. Sfogliando quelle pagine, m'imbatto nell'ammonimento che oggi ho citato per i nostri lettori. Due sono i suggerimenti che il vescovo francese ci propone. Innanzitutto è necessario superare l'incoscienza. C'è, infatti, chi procede per le strade dell'esistenza senza precauzioni, senza attenzione, senza riflessione.
Il principio formulato da Gesù sull'equilibrio tra le qualità di semplicità e spontaneità della colomba e quelle di astuzia e di abilità del serpente rimane sempre valido per tutti. Troppo spesso ai nostri giorni ci si butta a capofitto in situazioni pericolose, con una superficialità sconcertante, scambiata per coraggio e indipendenza.
Ma c'è un'altra nota da aggiungere: una volta che si è incappati in una situazione complessa e difficile, non ci si deve avvilire, deprimere o demoralizzare. È allora che si vede il vero carattere di una persona, la sua fibra genuina, la sua capacità di lottare e sperare. Diceva un altro scrittore più vicino a noi, Hermann Hesse: «Per vie senza pericoli si mandano soltanto i deboli».
["Il Mattutino" di Gianfranco Ravasi, su Avvenire di oggi]
September 6, 2007
A ringing, pristine sound
Luciano Pavarotti dead at 71. Read today's The New York Times article to learn more about
the Italian singer whose ringing, pristine sound set a standard for operatic tenors of the postwar era [...].
Like Enrico Caruso and Jenny Lind before him, Mr. Pavarotti extended his presence far beyond the limits of Italian opera. He became a titan of pop culture. Millions saw him on television and found in his expansive personality, childlike charm and generous figure a link to an art form with which many had only a glancing familiarity.
About spiritual gifts
Now about spiritual gifts, brothers, I do not want you to be ignorant. You know that when you were pagans, somehow or other you were influenced and led astray to mute idols. Therefore I tell you that no one who is speaking by the Spirit of God says, "Jesus be cursed," and no one can say, "Jesus is Lord," except by the Holy Spirit.
1 Corinthians 12, 1-3
It is a consolation to think that for us Christians there is an intrinsic impossibility of becoming what we don’t want to become. Because “no one can say ‘Jesus is Lord,’ except by the Holy Spirit.” And that is just what we, as Christians, are committed to proclaiming wherever we go and whatever we do. Better still, because “no one who is speaking by the Spirit of God …" can say and even think anything less than a Psalm (and no prayer is sweeter, wiser, and more glorifying to God than a Psalm).
September 5, 2007
Blogosfera in evoluzione
"Non bisogna vivere nei ricordi ma fare in modo che i ricordi vivano in te."
A proposito di buone letture nella blogosfera, questa bella citazione (ex auditu) l’ho trovata nel più impensabile del blogs—o almeno così credevo: potenza dell’amore e trionfo dei sani principi …
(io l’ho sempre detto che non bisogna mai disperare!)
A proposito di buone letture nella blogosfera, questa bella citazione (ex auditu) l’ho trovata nel più impensabile del blogs—o almeno così credevo: potenza dell’amore e trionfo dei sani principi …
(io l’ho sempre detto che non bisogna mai disperare!)
Qui Base 1
Rieccomi, tornato alla base. Già da qualche giorno, ma sono state giornate piene. Arretrati, cose da fare, informazioni frammentarie e insufficienti (soprattutto tv). Persino scoperta di blogs interessanti e, sulla carta stampata, alcune letture piacevoli. Un atterraggio morbido dopo la trasvolata sulla Francia, che non sarà più la Douce France—come annotano, delusi e allarmati dai dati e dalle proiezioni, gli Osservatori del turismo d’oltralpe—ma è pur sempre qualche spanna più avanti a noi quanto a organizzazione dell’intero comparto turistico e cura del patrimonio culturale e ambientale. Col che si vuol dire che, forse, c’è ancora speranza per tutti noi. Parola di scout.
August 8, 2007
In buona compagnia
Ci risentiamo verso la fine del mese, ma vi lascio, spero, in buona compagnia con i due post precedenti. Del resto, ci sono tanti modi di esprimersi, e la musica a volte può essere più efficace dei discorsi …
Ma per gli irriducibili amanti del logos ho un’altra proposta: i diari di Ronald Reagan, pubblicati da poco negli States. Qualche tempo fa ho letto la recensione del Washington Post, ma quello che mi ha convinto a procurarmi al più presto il libro è questo post di un amico blogger canadese. Cari saluti a tutti.
Ma per gli irriducibili amanti del logos ho un’altra proposta: i diari di Ronald Reagan, pubblicati da poco negli States. Qualche tempo fa ho letto la recensione del Washington Post, ma quello che mi ha convinto a procurarmi al più presto il libro è questo post di un amico blogger canadese. Cari saluti a tutti.
Seven Spanish Angels
Willie Nelson reached his greatest fame when the so-called ''Outlaw country'' movement—a reaction to the Nashville sound, which was supposed to be softening the raw honky tonk sound—were whooping it up all over the U.S. during the late 1960s and the 1970s. Among the ''outlaws,'' apart from Willie himself, were musicians such as Waylon Jennings, David Allan Coe, Billy Joe Shaver, and—the most influential of them all—Johnny Cash, with his stripped-down music and straightforward lyrics.
In the video Willie and The Genius are singing together an awesome song: ''Seven Spanish Angels'' … an inspiring experience.
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