January 6, 2008

In Epiphania Domini

Epifanía de Navasa. Pinturas en Museo Diocesano de Jaca

Christus Iudaeos et Gentes in se copulat.
1. 1. Non molto tempo fa abbiamo celebrato il giorno in cui il Signore è nato dai Giudei; oggi celebriamo il giorno in cui è stato adorato dai pagani. Poiché la salvezza viene dai Giudei [Gv 4, 22.]; ma questa salvezza (sarà portata) fino agli estremi confini del mondo [Is 49, 6]. In quel giorno lo adorarono i pastori, oggi i magi; a quelli lo annunciarono gli angeli, a questi una stella. Tutti e due l'appresero per intervento celeste, quando videro in terra il re del cielo, perché ci fosse gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà [Lc 2, 14]. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha unito i due in un popolo solo [Ef 2, 14 ]. Già, fin da quando il bambino è nato e annunziato, si presenta come pietra angolare [Cf. Mt 21, 42], tale si manifesta già nello stesso momento della nascita. Già cominciò a congiungere in sé le due pareti poste in diverse direzioni, chiamando i pastori dalla Giudea, i magi dall'Oriente: Per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo e ristabilire la pace; pace tanto a quelli che erano lontani tanto a quelli che erano vicini[Ef 2, 15. 17]. I pastori accorrendo da vicino lo stesso giorno della nascita, i magi arrivando oggi da lontano hanno consegnato ai posteri due giorni diversi da celebrare, pur avendo ambedue contemplato la medesima luce del mondo.

Magorum fides et infidelitas Iudaeorum.
1. 2. Oggi bisogna parlare dei magi che la fede ha condotto a Cristo da terre lontane. Vennero e lo cercarono dicendo: Dov'è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo [Mt 2, 2]. Annunziano e chiedono, credono e cercano, come per simboleggiare coloro che camminano nella fede e desiderano la visione [Cf. 2 Cor 5, 7]. Non erano già nati tante volte in Giudea altri re dei Giudei? Come mai questo viene conosciuto da stranieri attraverso segni celesti e viene cercato in terra, risplende nell'alto del cielo e si nasconde umilmente? I magi vedono la stella in Oriente e capiscono che in Giudea è nato un re. Chi è questo re tanto piccolo e tanto grande, che in terra non parla ancora e in cielo già dà ordini? Proprio per noi - perché volle farsi conoscere da noi tramite le sue sante Scritture - volle che anche i magi credessero in lui attraverso i suoi profeti, pur avendo dato ad essi un segno così chiaro in cielo e pur avendo rivelato ai loro cuori di essere nato in Giudea. Nel cercare la città nella quale era nato colui che desideravano vedere e adorare, fu per essi necessario informarsi presso i capi dei Giudei. E questi, attingendo dalla sacra Scrittura che avevano sulle labbra ma non nel cuore, presentarono, da infedeli a persone divenute credenti, la grazia della fede, menzogneri nel loro cuore, veritieri a loro proprio danno. Quanto sarebbe stato meglio infatti se si fossero uniti a quelli che cercavano il Cristo, dopo aver sentito dire da essi che, veduta la sua stella, erano venuti desiderosi di adorarlo? se li avessero accompagnati essi stessi a Betlemme di Giuda, la città che avevano ad essi indicato seguendo le indicazioni dei Libri divini? se insieme ad essi avessero veduto, avessero compreso, avessero adorato? Invece, mentre hanno indicato ad altri la fonte della vita, essi ora sono morti di sete. È successo loro come alle pietre miliari: mentre hanno dato indicazioni ai viandanti in cammino, essi son rimasti inerti e immobili. […]

Augustinus Hipponensis, Sermo 199 - IN EPIPHANIA DOMINI (qui la traduzione italiana).


Un Sant’Agostino che, nella circostanza, riesce ad essere piuttosto polemico. Nel suo tempo, del resto, il contenzioso con quei Giudei che non avevano accolto Gesù era ancora aperto. Ma oggi, volendo individuare un bersaglio “più attuale” per la rampogna del Vescovo di Ippona, a chi si potrebbe pensare? L’attingere alla sacra Scrittura, avendola “sulle labbra ma non nel cuore,” e il presentare, “da infedeli” (di fatto), “la grazia della fede,” indicando “ad altri la fonte della vita,” fa venire in mente qualcuno?

December 31, 2007

Benedetto futuro


Il momento è solenne: finisce il 2007, sta per iniziare il 2008. Embè, direbbe chiunque a questo punto, che c’è di così solenne? Da quando si festeggia il capodanno, il passaggio è di routine, pura convenzione festaiola, semplice scusa per far baldoria. Vero, ma è anche il momento in cui si tentano dei bilanci, ci si guarda un po’ dentro, ci si interroga sul «futuro», questo incubo del nostro tempo—o almeno così è per molti, a torto o a ragione.

Prendiamo ad esempio due piccoli pezzi di bravura come le riflessioni di fine anno di Barbara Spinelli e Lucia Annunziata, entrambi su La Stampa di oggi. Della prima è ammirevole questa frase, che meriterebbe di diventare una massima da collezione:


La storia non si fa con i se ma il futuro sì, è sempre ancora nelle nostre mani farlo andare in una direzione o l’altra.

Da proporre senz’altro per Bartlett’s Quote-a-Day. Segue persino una spiegazione, del tipo “istruzioni per l’uso,” perché non si sa mai, giustamente, in mano di chi andranno certe perle di (laica) saggezza:

Bisogna trovare un equilibrio naturalmente, tra la presunzione dell’onnipotenza e la passività di chi crede che le cose accadano o non accadano senza il nostro concorso.

Grazie, dunque, signora Spinelli. Ora abbiamo il viatico che ci mancava per l’anno nuovo.

Di Lucia Annunziata—che è un’italiana quasi del tutto americanizzata nel tipo di approccio alla sua professione, e questa è una bella cosa—è apprezzabile il linguaggio diretto e tutto il ragionamento, a partire dall’idea centrale: il ‘68 è acqua passata, e dunque “Good By sixties—la pace sia con voi.” Anche qui, ovviamente, ci sta un bel «grazie, signora Annunziata», perché, se anche la “scoperta” non è da premio Nobel, ci si rende benissimo conto che non è mica facile scrivere queste cose quando si ha un certo background. E questo nonostante il fatto che, indubbiamente,


le star italiane di quei tempi accusano qualche mal di testa. Paolo Mieli, direttore due volte del Corriere, il più importante giornalista uscito dalle fila degli Anni Sessanta, è oggi un astro dell'establishment italiano, Ferrara fa la dieta contro l'aborto, D'Alema vive elegantemente fuori dal Paese, Capanna si occupa di Omg, Sofri è un gentile signore che dispensa saggezza, e tutti noi ci guardiamo allo specchio venti chili e quarant’anni più tardi. Più grassi, più comodi e più che mai convinti di noi stessi - in completo diniego del nostro transito su questo palcoscenico.

Non è toccante questa foto di gruppo quarant’anni dopo—esatto, nel 2008 saranno 40 tondi tondi!—, ciascuno coi suoi “mali di testa,” le panze e il grigio inesorabile dei capelli? Toccante e lacerante, forse, almeno per coloro i quali di una speranza come questa—una speranza che salva!—pensano di poter fare a meno, e fanno in effetti a meno. A tutti gli altri, invece, magari il futuro preoccupa un po’ meno, perché c’è sempre quella “pazza idea” che, comunque, la strada porta laddove la fede e l’impegno personale dei singoli—che tutti insieme fanno una gran bella squadra!—è giusto che portino: un mondo nuovo, più giusto, più «gentile» e «più tutto» è non solo possibile, è una promessa precisa, un impegno assunto in circostanze inequivocabilmente … impegnative. Sì, si può obiettare, ma quando? Ok, oltre il tempo e lo spazio, certo, ma anche hic et nunc. Non dimenticare: il centuplo quaggiù e l’eternità (cfr. Mc 10, 29-30). Altro che paura del futuro! Altro che il terrore di andare oltre quella che è stata una breve stagione, the Sixties, appunto, la generazione dei baby boomers, della quale Annunziata canta il malinconico ma ineluttabile tramonto!

Ora, con questo non si vuol rivendicare alcunché e, men che meno, sbertucciare alcuno, semplicemente si vorrebbe far sommessamente presente per quale ragione alcuni non sono più di tanto afflitti per il futuro, cui anzi vanno incontro con animo sereno, per dir così, e si sentirebbero in colpa qualora dovessero cedere anche per un solo istante al pessimismo e al «malessere» di cui ha parlato il New York Times.

Comunque, Buon Anno a tutti. A prescindere, è chiaro.
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P.S.: A risentirci tra qualche giorno.

December 30, 2007

Ferrara e l'Innominabile

San Michele sconfigge Satana, Raffaello Sanzio, 1518 - Parigi, Musée du LouvrePuò un giornalista “benintenzionato” ma “spregiudicato” farla a Giuliano Ferrara e ricevere in cambio—oltre che un amichevole buffetto di rimprovero—un po’ di pubblicità gratuita al suo sito Web? Certo che può, a patto che Giulianone utilizzi il blog di Camillo e che l’autore dello scherzetto riveli al mondo che il Cardinale Lopez Trujillo, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha inviato una lettera di incoraggiamento al direttore del Foglio per la sua proposta di “moratoria sull’aborto.” E che il "reo" in oggetto fornisca informazioni dettagliate su quel che Ferrara pensa (forse senza saperlo) di certe trame oscure ordite da un personaggio ingiustamente trascurato dalle cronache, nonché dai teologi e da un sacco di preti, ma non da Benedetto XVI, che al contrario ha deciso di occuparsene approfonditamente e con la massima determinazione—salvo smentite poco convincenti.

December 29, 2007

La dieta speciale di Giuliano Ferrara

Giuliano Ferrara si sta dando parecchio da fare a sostegno della sua proposta di “moratoria sull’aborto.” Su Camillo, come molti già sapranno (qui, tra un cambiamento "strutturale" del blog e un altro, ci s’era dimenticati di darne notizia), il direttore del Foglio tiene un diario della “dieta speciale” che sta seguendo per richiamare l’attenzione sulla questione:

Una dieta speciale per la moratoria sull’aborto. Perché siano garantiti fondi al movimento per la vita e ai centri di assistenza che lavorano contro l’aborto, come ha chiesto ieri il giornale dei vescovi e come dovrebbero chiedere i giornali borghesi e laici. Una dieta semplice, che consiste nell’assumere soltanto liquidi dalla vigilia di Natale (dalla mattina della vigilia di Natale) al primo dell’anno (alla mattina del primo giorno del 2008). Non lo chiamo digiuno perché sono grasso, sebbene io pensi in generale di essere felicemente grasso e di recente mi senta un grasso molto in forma, orgoglioso di avere lo stesso peso corporeo (quello mentale è un altro paio di maniche) attribuito a Tommaso d’Aquino.

La dieta, dunque, scade il primo gennaio, e così il diario, si presume, quindi c’è ancora tempo per leggere e per riflettere. Retrospettivamente segnalo la risposta a un’intervista di Carlo Maria Martini a Europa, in cui il cardinale che ha scelto di vivere a Gerusalemme se la prende con gli «atei devoti». Nell’occasione Ferrara insiste sull’idea di “festeggiare il quarantennale della Humanae vitae, e comunque la vita e la famiglia, con cinque milioni di pellegrini a Roma, nella prossima estate,” il che, a suo avviso, “sarebbe un eccellente segno di contraddizione e di modernità della chiesa cattolica.”

December 28, 2007

You may not be interested in war ...

Michael Barone on Benazir Bhutto's Tragic Death:

Her death is a reminder that we really do live in a dangerous world. Pakistan is a nuclear power with a military and a secret service that seem laced with supporters of Islamist terrorism. Many Americans would like to go back on holiday from history. But as Leon Trotsky is supposed to have said, “You may not be interested in war, but war is interested in you.” I suspect that this tragic event will have an effect on the campaign going on so hot and heavy right now in Iowa and New Hampshire.

Emergenze nazionali

Che uno non possa occuparsi di tutto, ad esempio tenersi informato, riflettere, confrontare e formarsi opinioni su qualsiasi emergenza, è un fatto di cui occorre farsi una ragione, anche se a volte dispiace molto. Una delle questioni che sicuramente meriterebbero di essere studiate e approfondite accuratamente è l’emergenza rifiuti di quella bellissima regione italiana che è la Campania. Che poi uno, dopo qualche inutile tentativo di capirci qualcosa, si arrenda e aggiunga questa alla lunga lista delle cose di cui ha smesso di occuparsi, è appunto motivo di frustrazione e di rammarico. Poi, d’accordo, c’è una remora che potremmo definire imbarazzo, ma questo è un fatto privato. Comunque ho letto una cosa che mi è sembrata utile: non dico a capire, perché solleva quasi soltanto domande, ma insomma è meglio che niente.

December 27, 2007

Benazir Bhutto assassinata

Benazir Bhutto, ex primo ministro pakistano e presidente del Pakistan People Party (PPP), è stata assassinata da un kamikaze a Rawalpindi. L'attentato è stato rivendicato da Al Qaeda. Disordini in tutto il Paese.

December 23, 2007

Merry Christmas!


And now, folks, it’s time to remind ourselves what the spirit of Christmas is all about. The following lovely ballad from Johnny Cash—not heard very often—is just an idea …


Ed ora, gente, è arrivato il momento di ricordarci che cos'è veramente lo spirito del Natale. La ballata che segue—pochissimo conosciuta—del grande Johnny Cash è soltanto un'idea ...


MERRY CHRISTMAS TO YOU ALL!

BUON NATALE A TUTTI!



Christmas As I Knew It

One day near Christmas when I was just a child
Mama called us together and mama tried to smile
She said you know the cottoncrop hasn't been too good this year
There's just no spending money and well at least we're all here
I hope you won't expect a lot of Christmas presents
Just be thankful that there is plenty to eat
That's quite a blessing that'll make things a little more pleasant
And us kids got to thinking how really blessed we were
At least we were all healthy and best of all we had her
Roy cut down a pigapple tree and we drug it home Jack and me
Daddy killed a squirrel and Louise made the bread
Reba decorated the tree with popcorn strings before we went to bed
Mama and daddy sacrificed cause this Christmas was lean
But after all there was the babies Tom and Joanne babies need a few things
I whittled a whistle for my brother Jack and though we fought now and then
When I gave Jack that whistle he knew I thought the world of him
Mama made the girl's dresses out of flower sacks
And when she ironed them down you couldn't tell that they hadn't come from town
A sharecropped family across the road didn't have it as good as us
They didn't even have a light and it was way past dusk
And mama said well I bet they don't even have coaloil or beans to boil
A log apples cranges and such
Me and Jack took a jar of coaloil nd some hickernuts we'd found
We walked to the sharecropper's porch and set 'em down
A poor old ragged lady eased open the door
She picked up the coaloil and hickernuts and said
I sure do thank ye and quickly closed the door
We started back home me and Jack and about halfway we stopped looked back
And in the sharecropper's window at last was a light
So for one of the neighbors and for us it was a good Christmas night
Christmas came and Christmas went Christmas that year was heaven sent
Then daddy put on his gumboots waited for the thaw back home in Dyess Arkansas.

December 21, 2007

Silent Night



Imagine a snowy Christmas Eve, a small church in a little mountain village, deep inside a pine forest. Inside the church a kids choir is singing an unknown but amazing song:

Stille Nacht! Heil'ge Nacht!
Alles schläft; einsam wacht
Nur das traute hoch heilige Paar …


This is, more or less, the kind of experience the villagers of Oberndorf, Austria, must have had some two centuries ago. On that Christmas Eve, a song was born that would have been translated into hundreds of languages, and is now sung by countless millions every December all over the world.

As Christmas historian Bill Egan puts it, the German words for the original six stanzas of the carol we know as “Silent Night” were written by assistant pastor Fr. Joseph Mohr in 1816. On December 24, 1818 he journeyed to the home of musician-schoolteacher Franz Gruber. Joseph showed Franz the poem and asked him to add a melody and guitar accompaniment so that it could be sung at Midnight Mass. The rest is history.

Tomorrow is the fourth Sunday of Advent. To live it properly, I thought the listening of the carol might be helpful. But, to point out the universality of “Silent Night,” how about Enya’s Irish version going along with the images of a Christmas Tree at Lagoa Rodrigo de Freitas, Rio de Janeiro?


A proposito di moratoria

Trasferita dal piano morale a quello legislativo, la denuncia angosciata e scandalizzata della “morte legale” procurata dall’aborto non può approdare a una irrealizzabile, metafora a parte, “moratoria dell’aborto”, bensì solo alla conservazione o al ripristino della “morte illegale”, cioè della clandestinità dell’aborto e della persecuzione penale delle donne in carne e ossa. Che non è, finora, l’orizzonte dichiarato del redattore dell’appello, e mi auguro che non lo diventi mai.

Questa la conclusione della “Piccola posta” di Adriano Sofri sul Foglio di ieri (e ripubblicata oggi in seconda pagina). La risposta di Giuliano Ferrara è uno degli editoriali di oggi. Sono due piccoli capolavori, e soprattutto sono la dimostrazione di come può e, forse, dovrebbe essere il dialogo su una materia come l’aborto tra persone che la pensano in maniera diversa. Cito solo la conclusione del direttore del Foglio, con la quale concordo e nella quale mi riconosco in maniera sostanziale.

Quanto al ripristino della morte illegale e della persecuzione legale verso le donne incinte, sai bene e lo scrivi che non ci penso nemmeno. Ma una drastica rottura nell’accondiscendenza vile, sottolineata dall’ipocrita e soddisfatta campagna sui diritti umani universali in tema di pena di morte, obliosa dell’essenziale, ci vuole. Io la chiamo moratoria. Tu chiamala come vuoi, nell’amicizia di sempre.

December 20, 2007

E che la Forza sia con voi

Per la prima volta, da molto tempo a questa parte, il dibattito politico è tornato ad essere interessante—oltre che, come al solito, estenuante, ma a questo, purtroppo, non c’è rimedio—, e tuttavia, della “pregnanza” del momento non tutti si sono accorti, a giudicare dai commenti che si ascoltano e leggono in giro (anche nella blogosfera). Qualcuno, come lo stolto del proverbio orientale, a chi gli indica la Luna muove obiezioni sul dito. Veltroni e Berlusconi, ciascuno alla sua maniera, hanno il merito di aver restituito alla politica il ruolo centrale che le spetta, ma c’è chi continua a far finta di niente, probabilmente perché non si è ancora reso conto che un’era è irrimediabilmente finita.

Di Berlusconi e della svolta che, piaccia o no, ha impresso al centrodestra, si è già parlato su questo blog, e non credo, per quel che mi riguarda, di aver molto da aggiungere. E’ di Veltroni, invece, che qui non s’è detto ancora (quasi) nulla, e dunque è ora di colmare la lacuna. Da cosa cominciare? Beh, dall’intervista al Foglio di martedì scorso (che ieri, in un ritaglio di tempo, ho riprodotto qui in vista di questo post), cui è stato appioppato un titolo ambizioso: “Il manifesto politico di W.” Scelta azzeccata, direi. Quello che più di tutto colpisce, nell’intervista, è la capacità di «visione», e questa, lo confesso, è una sorpresa (per me), per quanto piacevole. E’ visione—corroborata da una buona dose di coraggio—il ragionamento sull’«identità» (“figlia della storia, delle culture, delle radici, delle ragioni,” cioè “un valore”), sul rapporto tra stato laico e punto di vista religioso (“riconoscimento della rilevanza nella sfera pubblica e non solo privata delle religioni e delle varie forme di spiritualità”) e sulla bioetica (“non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito”). E’ visione l’approccio ad un tema particolarmente spinoso della politica estera quale l’«esportazione della democrazia»:


«Credo […] che non si possa avere un atteggiamento ideologico di contrapposizione all’idea che la democrazia possa nascere da un sostegno esterno, quando non nasce spontaneamente. Se mi si chiede cosa hanno fatto i soldati americani i cui corpi sono sepolti ad Anzio e a Nettuno, io risponderei così: “Hanno cercato di portare la libertà e la democrazia in un continente dove la libertà e la democrazia ce l’eravamo giocate.”»
[…]
«Rispetto a Saddam Hussein sicuramente le cose stanno migliorando. Quando si vive sotto una dittatura è chiaro che quando la dittatura finisce le cose migliorano.»

E’ visione il giudizio su Berlusconi:


«Io considero quello di non aver capito Berlusconi un sottosistema di un problema più grande, cioè il fatto di non aver letto le trasformazioni della società. Berlusconi è stato in grado, per esempio, nel rapporto con l’imprenditoria di dare voce a un’Italia che voleva rompere un po’ di lacci sulla quale ha messo una cosa che a me non piace culturalmente, e cioè una visione del mondo egoista, se vogliamo, individualista della crescita sociale. Combattere la politica di Berlusconi è stato ed è giusto, ma l’errore della sinistra è stato naturalmente quello di demonizzarlo.»

Ed sono visione i riferimenti all’«impazzimento giustizialista» dell’epoca di Tangentopoli (ma in questo è stato preceduto da Fassino e D’Alema), alla “Cosa bianca,” al partito senza correnti, a Nicolas Sarkozy e a Bernard Kouchner, e soprattutto il discorso sulle riforme, sulla necessità che il Pd corra da solo e l’auspicio che altrettanto facciano gli altri. Si può essere d’accordo o meno, in tutto o in parte, ma non si può negare che Veltroni sta dimostrando di essere un leader e di voler diventare uno statista, perché sono appunto il coraggio—di sfidare l’impopolarità e di farsi dei nemici, dentro e fuori il suo partito—e la visione ciò che fa veramente la differenza, e statista è colui che riesce a perseverare e a mantenere la rotta a qualunque costo quando è convinto di essere nel giusto, ma di questo, ovviamente, Veltroni deve ancora dare dimostrazione, anche se sembra sulla buona strada.

Del resto, come si legge oggi sul Corriere, pare che Walter Veltroni sia costretto a ripetere sempre più spesso, negli ultimi tempi, una frase significativa: «Guardate che io non mi faccio bruciare a fuoco lento». Significativa e sintomatica. Nel pezzo di Maria Teresa Meli si legge che Massimo D'Alema, in un'intervista a Vanity Fair, mette in guardia Veltroni dal fare una legge elettorale su misura di Pd e Forza Italia. E’ uno stop vero e proprio, scrive la Meli, e penso che abbia ragione. E non c'è solo D'Alema, chiarisce la Meli, a mettere i bastoni fra le ruote, c'è anche Piero Fassino (“i fassiniani si sono incontrati in gran segreto l'altro giorno …”).

C’è da sorprendersi? Macché, semmai ci sarebbe da sorprendersi del contrario: è una lotta per la sopravvivenza politica, cioè un diritto esercitato da tutti coloro che fanno politica (questo va detto per stoppare preventivamente gli ipocriti, che sono una brutta razza). Dunque non c’è da stracciarsi le vesti. Bisogna piuttosto sperare che Walter tenga duro, e che tenga duro anche Silvio. E che entrambi escano vincitori da una “guerra” che sarà senza esclusione di colpi. Ma questa è sempre stata la politica.

Il futuro, come è normale che sia, è nelle mani dei leaders dei due maggiori partiti: sta a loro dare all’Italia la grande riforma attesa da decenni. Sistema tedesco o francese, importa relativamente poco, quel che conta è innanzitutto un sistema elettorale che ci consenta di andare oltre il bipolarismo che abbiamo conosciuto e che ha fallito miseramente, e poi realizzare le riforme istituzionali che meglio si coniughino con la legge elettorale che si sceglierà. Senza pasticci e, possibilmente, volgendo la prua verso un tendenziale bipartitismo—nulla da spartire col bipolarismo, of course—che, ovviamente, non potrà suscitare gli entusiasmi dei “nanetti” di sartoriana memoria. E che la Forza sia con voi.

December 18, 2007

Ayman al-Zawahiri: che gli ha preso?

Ayman al-Zawahiri, l’ideologo di al-Qaeda e il vice di Osama bin Laden, è infuriato con il mondo intero (o quasi). Infatti, in una lunga intervista messa su Internet lunedì da al-Sahah, il dipartimento informazioni di al-Qaeda, ha innanzitutto attaccato il re saudita Abdullah e Benedetto XVI, il primo per es­sere andato in udienza dal secondo, il quale è pur sempre «il Papa che ha offeso l’islam», e dunque dovrebbe essere considerato infrequentabile da tutti i buoni musulmani.

Ma un momento prima, nel medesimo video, al-Zawahiri ave­va malmenato gli ule­ma che oggi vietano ai musulmani di com­piere contro gli americani quel jihad che avevano considerato un do­vere, in altri tempi, quando avevano a che fare coi russi.

Nel video, inoltre, ce n’è anche per l’Iran, che sarebbe in combutta con gli Stati Uniti per spartirsi l’Iraq. Per al-Zawahiri, praticamente, le minacce rivolte da Ahmadinejad ad Israele sarebbero «pura propa­ganda». La ciliegina sulla torta, infine, è un attacco ad al-Jazeera, sia pure senza nominare esplicitamente la famosa emittente araba.

Che cosa gli ha preso? Per capire, la cosa migliore è leggere attentamente un paio di articoli pubblicati su Avvenire e sul Messaggero di oggi. Il primo riporta l’opinione di padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della San­ta Sede e di monsignor Gian­franco Ravasi, presidente del Pontifi­cio Consiglio per la Cultura. Il secondo l’ha scritto di suo pugno il generale Carlo Jean.

Ecco cosa dice padre Lombardi:
«I contatti di dialogo portati avanti da autorevoli esponenti musulmani co­me il re d’Arabia e i 138 teologi e in­tellettuali islamici sono un fatto significativo per tutto il mondo musulmano. Si trat­ta di voci che vogliono esplicitamen­te impegnarsi per la pace. […] Queste vo­ci hanno una importan­za crescente e questo evidentemente preoccupa chi questo dialogo non vuole».

Ed ecco l’opinione di monsignor Ravasi:
«Che ci siano quelli che vogliono sicu­ramente il duello e lo scontro, noi lo sappiamo ed è una costante: questo at­teggiamento è la via più semplice che vuole evitare qualsiasi incontro, qual­siasi comprensione, qualsiasi forma di umanità. […] D’altra parte bisogna dire che queste persone non rappresentano as­solutamente l’orizzonte intero di mol­ti credenti, anche dell’islam».

Sul Messaggero, invece, Carlo Jean spiega molto bene come si sono messe le cose per “la vera perdente,” vale a dire al-Qaeda, che “non è riuscita a trasformare l’Iraq in un Vietnam, per indurre gli americani al ritiro, lasciando mani libere ai radicali ed aprendo la strada alla loro presa di potere anche in Arabia Saudita.” Non solo, il bilancio in Iraq, dove evidentemente il surge e il nuovo approccio politico del generale Petraeus e dall’ambasciatore Crocker stanno dando ottimi risultati, è semplicemente disastroso (per al-Qaeda, of course):
forte diminuzione del numero delle vittime; deflusso dei jihadisti stranieri; ritorno di rifugiati e sfollati; accordi fra i capi tribù sunniti e gli Usa per la costituzione di reparti per un totale di 65.000 soldati, a cui vanno aggiunti altri 12.000 dei battaglioni tribali di protezione; nuova legge sulla de-baathizzazione, che consentirà il recupero di funzionari preparati; frammentazione del fronte sciita a danno degli elementi filo-iraniani; tentativo di accordo con i sunniti del pittoresco Moqtada al-Sadr, ed altri ancora.

Ma segnali altrettanto negativi per al-Qaeda provengono anche dall’esterno dell’Iraq:
la conferenza di Annapolis, a cui ha partecipato anche la Siria, isolando Iran, Hezbollah e Hamas; migliori rapporti fra gli Usa e l’Iran, consolidati dalla pubblicazione del rapporto Nie, che sdrammatizza la minaccia del nucleare iraniano, aprendo la strada ad accordi fra i due Paesi; invito ad Ahmedinajad da parte del re saudita Abdullah di partecipare alla Hajj, il pellegrinaggio annuale che, dal 18 al 20 dicembre, riunirà oltre due milioni di pellegrini nei Luoghi Santi dell’Islam.


Insomma, non c’è da meravigliarsi che lorsignori siano imbestialiti. E che siano disperatamente alla ricerca di qualche via d’uscita.

''They lose. We win''

This is what I'd like my Country's future leader to look like, but at the moment I'm pleased with the fact that Rudy is the most prominent candidate for president of the United States of America:



Giuliani's remarks in Tampa, Florida.

Click here to read the full transcript of the speech.
[Hat tip: rudy08.blogspot.com]

December 16, 2007

What the New York Times doesn't say (updated)


“All the world loves Italy because it is old but still glamorous,” as Ian Fisher wrote in his report on the Bel Paese, published in the New York Times last Thursday. But these days, he added,

for all the outside adoration and all of its innate strengths, Italy seems not to love itself. The word here is “malessere,” or “malaise”; it implies a collective funk — economic, political and social — summed up in a recent poll: Italians, despite their claim to have mastered the art of living, say they are the least happy people in Western Europe.

This is quite true, as well as the rest of Fisher’s wide-ranging report. The malaise is generalized, though, for instance, unemployment is low, at 6 percent, and the Country “does have Ferrari, Ducati, Vespa, Armani, Gucci, Piano, Illy, Barolo—all symbols of style and prestige.” I would say that, in addition, Italy also has hundreds of thousands of highly competitive small enterprises, scattered throughout the national territory, which are the real strength of this Country, but perhaps it’s easier for an American journalist to refer to the above mentioned and well known “symbols of style and prestige,” rather than to spend extra time trying to give account of what is going on throughout the Country. Well, to tell the truth, the Author gives credit to Peter Kiefer, who contributed reporting from Trieste, but the state of the art of the chair-making sector isn’t perhaps as representative as it could seem at the first sight.

Yet, the “malessere” is generalized. It’s mainly a psychological malaise, due to essentially political causes, namely the result of a massive political failure, as shown by La Casta (“The Caste”)—a book, as Fisher fairly noted, which sold a million copies “by exposing the sins of Italy’s political class and how it became privileged and unaccountable.”

But Fisher doesn’t fail to mention and to give scope to the hero of the moment, Beppe Grillo, a comic actor, comedian & blogger who, even though with a reputation for eccentricity, has always been politically engaged, especially in defiance of political uses/abuses, corruption, ineptitude, inefficiency, etc. One of the battles Grillo is being fighting in these days is directed not so much against the politicians as against the system of parties in itself.

What is not so intelligible is that the report fails to mention that both La Casta and Beppe Grillo are somehow being successful in forcing the system to reform itself. Which would be a good reason to be cautiously optimistic about the future of this Country. Whatever Beppe Severgnini, as well as other famous Maîtres à penser providentially interviewed by the NYT, might think about the whole matter.
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UPDATE December 27, 2007
On December 21, Giuliano Amato, the Minister of the Interior of Italy, wrote to The New York Times in response to the article by the NYT’s Rome correspondent Ian Fisher. Amato argued that Italy is doing fine, the article’s view was “only a parody:”

Take a look at the data. According to the most recent research by Mediobanca, Italy hosts a “fourth generation capitalism” with an export growth rate in the last decade of 6 percent (11 percent in 2007) and a growth in revenue of 5 percent. The industries concerned have become multinationals, with investments in China, and by now represent 33 percent of our productive system.
In trade, Italy has lost position in terms of volume, but not in terms of value. We have started to export higher value products, with higher quality, more research and innovation. This applies not only to fashion, wine and furniture, but also to helicopters, cruise ships, motorcycles, car components, and high-tech machinery.

Mr. Fisher, in turn, answered him, and, in general, discussed the reaction to his article in Italy with The Lede. He quoted for himself, among others, no less than Rev. Raniero Cantalamessa, the preacher for the pope and the papal household Just today, and Umberto Eco, Italy’s most prominent writer and essayist. But he knows that, “for as long as I am here, […] I will be known as ‘the guy who wrote that story’—and people will either like me or hate me for it.”

December 14, 2007

Aiutaci, Italia!

Angela Merkel, di fronte alle proteste cinesi, lo aveva detto senza giri di parole: «Nella mia veste di cancelliere federale, decido io chi ricevere e dove». Prodi, evidentemente, è fatto di un’altra pasta. Ma, come diceva don Abbondio, uno il coraggio, se non ce l’ha, non se lo può dare, e quindi, anche se Della Vedova ha ragione («Prodi si vergogni: non era all'estero, lo ha evitato»), non è il caso di farne un dramma. Mettiamoci una pietra sopra, dunque, e smettiamo di torturarci.

Del resto non vogliamo ascoltare il consiglio buddista che il Dalai Lama ha impartito ai parlamentari che l’hanno ascoltato oggi a Roma? «Amore e buon umore, calma e compassione—ha detto—riducono lo stress, perché l'odio e la diffidenza fanno male al corpo e all'anima». Vabbè, l’odio, in ogni caso, lo lasciamo agli irriducibili anti-Cavaliere, ché qui non ne saremmo capaci neanche se volessimo. Diciamo, piuttosto, niente malumori, arrabbiature selvagge e mancanza di carità cristiana, e così riduciamo lo stress e stiamo in salute.

Più o meno allo stesso modo, cioè da vero buddista, sembra essersi regolato Massimo D’Alema, che pure avrebbe avuto un buon motivo per essere risentito nei confronti di Tenzin Gyatso, e invece ha reagito con grande equilibrio e saggezza. Giudicate voi: innanzitutto ha chiarito, doverosamente, che «il governo non è disposto a cedere a nessuna pressione nel suo sostegno per l'affermazione dei diritti umani in Cina», ma subito dopo ha aggiunto che neppure intende «cedere», il governo medesimo, «a chi pretende di definire l'agenda di incontri del Dalai Lama, che non sono stati chiesti». Insomma, era quasi offeso, il Ministro degli Esteri, che Sua Santità non avesse chiesto alcun incontro, ma con ineffabile magnanimità ha saputo infine aggiungere un magnifico «siamo lieti che sia qui» (e si è percepito appena un filo di malsimulato rammarico per essere stato ingiustamente snobbato).

Una cosa è certa: a noi, di tutto questo gran dibattere di colloqui richiesti o no (ma di fatto, ad ogni buon conto, preventivamente negati) resterà ben poco nella mente e nel cuore, quel che non potremo facilmente scordare sono queste parole rivolte al popolo italiano:


«Abbiamo bisogno del vostro sostegno morale, pratico e concreto. E' importante per noi che dall'estero venga espressa preoccupazione […]. Fino a quando i cinesi non si renderanno conto che non si può andare avanti in questa maniera, non si potrà trovare una soluzione.»

December 13, 2007

Eppur si muove ...

Qualcosa sembra muoversi davvero, al centro. Per informazioni chiedete a Bruno Tabacci, ma prima date un'occhiata qui.

Oltre ogni limite di stupidità

E’ una cosa che penso da molto, un sospetto atroce, troppo surreale per essere esternato, troppo poco credibile per essere argomentato. E pure quando la «notizia» irrompe nella vita di tutti i giorni si stenta a filarci dietro. Ma una notizia è una notizia, e fino alla smentita ufficiale resta in piedi, volenti o nolenti. Ma nessuno, finora, pare abbia smentito. E allora? Allora, se tanto mi dà tanto, io esterno, in omaggio a sua maestà la notizia, che poi, nella fattispecie, è quella che abbiamo appreso dal Giornale di ieri, tramite la lettera al Direttore spedita da un lettore il cui figlio frequenta la classe IV C della Scuola Elementare “Villani” di Firenze:


La maestra di disegno ha nei giorni scorsi invitato gli alunni a fare un disegno che rappresentasse il Natale e mio figlio si stava quindi accingendo a rappresentare la «Natività di Cristo» quando è intervenuta detta maestra «vietando» al bambino di disegnare «Gesù bambino».Mio figlio è rimasto molto amareggiato da questa vicenda, anche perché non è riuscito a comprendere la ragione di tale assurdo divieto ed ha riferito il proprio turbamento a noi genitori.Pensando l'incidente si fosse verificato per un equivoco, mia moglie si è quindi recata personalmente a parlare con la maestra di disegno ma questa, appresa la ragione del colloquio, si è «inalberata» affermando che sarebbe «una scemenza» (testuali parole) voler rappresentare la nascita di Gesù Cristo ed associarla al Natale […].


Che ci si creda o no, questa cosa pare sia accaduta veramente. Tanto che oggi, su Avvenire, si può leggere un editoriale che la commenta—e che condivido, nella sostanza—in maniera giustamente, comprensibilmente indignata. Ma il sospetto che ho, come dicevo sopra, è atroce, e quindi, da un certo punto di vista, il commento di Marina Corradi mi sembra piuttosto inadeguato, come le considerazioni—parimenti indignate, giustificate, comprensibili—di quel genitore nella lettera al Giornale. Il sospetto che ho è questo: che si stia consolidando, nella nostra società, una componente laicista che, nelle sue frange più estreme (ma non per questo inconsistenti sul piano “quantitativo”), abbia varcato drammaticamente il Rubicone dell’imbecillità, della più proterva e irriducibile chiusura mentale, e dunque di un oscurantismo e di un’intolleranza che non hanno più freni e limiti.

Mi vengono in mente gli anni lontani della “contestazione” studentesca e in particolare la rivendicazione del diritto alla creatività e alla libertà di espressione artistica: fiorirono allora, opera di giovani e brillanti talenti, i primi murales: a volte stupendi, quasi sempre gradevoli e, a loro modo, intelligentemente provocatori. Poi il “verbo” è arrivato ai meno dotati, ed ecco che i murales sono spariti per far posto ai “graffiti” assolutamente idioti, privi di qualsiasi qualità artistica, che deturpano le nostre strade, i monumenti, i palazzi. Temo che il laicismo “nobile” e sempre rispettabile di un tempo si sia fatto soppiantare dal laicismo volgare e incolto di gente come quella di cui si occupa l’ottimo editoriale di Avvenire.

White Christmas


So I keep on posting about Christmas stories, legends, songs, poems, etc. This time is White Christmas’ turn, a widely celebrated song, perhaps the most famous and popular of all the Christmas songs. After all, who on Earth isn’t dreaming of a White Christmas? Ok, I know, must there be someone, statistically speaking, but if you have ever met one you would have walked away from them, wouldn’t you?

The morning after Irving Berlin wrote the song (it was early 1940) the great American songwriter went to his office and—as related by Wikipedia—told his musical secretary, “Grab your pen and take down this song. I just wrote the best song I've ever written—hell, I just wrote the best song that anybody's ever written!”

First performed by Bing Crosby in the 1942 musical Holiday Inn—in a duet with Marjorie Reynolds, dubbed by Martha Mears (click here to see the YouTube video)—the song went on to receive the Academy Award for Best Original Song. Since then “White Christmas” has become a Guinness Book of World Records song: over 100 million copies sold worldwide (this encompassing all versions, including on albums).

It is also to be recalled that the lyrics of the song struck a chord with the soldiers fighting in the Second World War and their families who were waiting for them back home.

In the video below Bing Crosby’s velvety smooth voice goes along with old-fashioned picture postcard landscapes—a touching jump into the past ... Enjoy!



December 11, 2007

Il dilemma del centro

Sul Corriere di oggi, Angelo Panebianco (come tutti) si interroga sulla possibile nascita di un partito di centro, qualora naturalmente venga varata una nuova legge elettorale proporzionale. Cosa sarà? “Un partito piccolo,” dice il professore, ma anche, come chiunque può immaginare, un partito che potrebbe disporre di un grande «potere coalizionale». Ebbene, questo sarebbe un fatto positivo? E a quali condizioni?

Tra due forze maggiori, definite un po’ perfidamente come una “socialdemocrazia annacquata” e un “liberalismo economico annacquato,” potrebbe mai il nuovo partito smentire la regola che la competizione elettorale ideale sia quella tra due grandi partiti alternativi tra loro e che affidare le sorti del Paese a un partito di centro, “ago della bilancia,” ecc., ecc., procura solo guai? Panebianco sembra piuttosto pessimista. E non a torto, credo. A meno che, aggiungerei, non si verifichi un fatto veramente nuovo per la politica italiana, e cioè che l’iniziativa di occupare il centro del sistema politico sia assunta, come scriveva qualche giorno fa su La Stampa Luca Ricolfi (un articolo tempestivamente segnalato da Walter),

anziché dalle forze del mondo cattolico, da sempre parte integrante del «partito della spesa» - dalle minoranze riformiste e liberali presenti sia nei partiti sia al di fuori di essi. Penso a uomini politici come Daniele Capezzone, Bruno Tabacci, Giorgio La Malfa, Nicola Rossi. O a membri della classe dirigente come Luca Cordero di Montezemolo, Mario Monti, Mario Draghi. In questo caso quel che nascerebbe al centro del sistema politico non sarebbe una piccola Dc, ma un medio partito liberal-democratico. Non il partito dei dipendenti pubblici e delle clientele, ma il partito della modernizzazione e del merito.

Consegnarsi a un partito ago della bilancia, ovviamente, presenterebbe i suoi risvolti negativi, ma questi, faceva notare Ricolfi, “forse” sarebbero compensati dalla “vocazione riformatrice e liberale” di quella formazione.

Ecco, qui si comincerebbe a ragionare. Un partito che pratica la “politica dei due forni,” infatti, non è un male in sé e per sé: se in questo modo si costringono i due partiti maggiori a contendersi l’alleato facendo a gara a chi è in grado di recepire nella maniera più convincente e sostanziale impegni e programmi autenticamente liberali e riformisti, ci si può anche stare, perché il gioco vale la candela.

Ma, come si diceva, l’ipotesi è alquanto remota, quella più probabile è che venga fuori una piccola Dc. In tal caso, un bel «no, grazie» interpreterebbe in maniera elegante i sentimenti della stragrande maggioranza del corpo elettorale, che avrebbe tutte le ragioni del mondo.

December 10, 2007

Paola Binetti e la libertà di coscienza

Giuliano Ferrara, ancora lui. Stavolta in casa (sul Foglio) e in difesa di Paola Binetti. E contro l’uso strumentale della «libertà di coscienza» da parte “del­l' illuminismo del tipo dark,” cioè quando essa “e l'obiezio­ne che sgorga dal fondo del cuore” sono rivolte rigorosamente “contro il presbitero, il vescovo, il car­dinale o più semplicemente l'avversario.” Ché quando “la purezza inappellabile di una decisione presa nel foro interiore” sfavorisce coloro, ecco che gli Illuminati si stracciano le vesti.

Croce, del resto, diffidava del termine «coscienza», giudicato rettorico, e forse, in un certo senso, non aveva tutti i torti. Così sembrerebbe, ad esempio, stando al ragionamento del direttore del Foglio, che avanza un’interessante ipotesi: che cioè

Croce avesse intuito, avendo vissuto con tutte le sue ambiguità la fase moder­nista del cattolicesimo europeo, il ser­peggiare, per lo meno potenziale, di una nozione di coscienza come violazione sciatta della disciplina e della coesione razionale del pensiero, per non dire (e non era affar suo) dell'unità e del vigore dogmatico di una fede incarnata nella storia e proiettata fuori della storia.

Ma per noi non-crociani non è inevitabile diffidare del termine in se ipso, lo è piuttosto il ritenerlo troppo spesso abusato da retori e ipocriti.